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L'ITALIA NON E' TUTTA CORRUZIONE
Il romanzo con la vicenda del beato Pino Puglisi, il sacerdote martire ucciso dalla mafia nel 1993
di Giuseppe Brienza
 

Non è tutta corruzione. L'Italia di oggi è ancora in grado di generare testimoni che, compiendo fino in fondo il loro dovere, hanno saputo persino sacrificare la propria vita. Ne ricordiamo uno, parroco in Sicilia che, all'integrità della Fede, ha associato una fedeltà all'uomo che si è fatta anche impegno civico e sociale. Parliamo di Don Pino Puglisi (1937-1993), il primo martire della mafia beatificato dalla Chiesa, ucciso da un killer di mafia il 15 settembre del 1993.
Nell'ultimo suo libro Ciò che inferno non è, ha tessuto un doveroso tributo del parroco di San Gaetano e Maria SS. del Divino Amore nel quartiere Brancaccio (Palermo), lo scrittore di best seller Alessandro D'Avenia. Il protagonista del romanzo è, infatti, un ragazzo, Federico, che si trova a fare una scelta molto difficile: lasciare la sua comunità portandosi con sé il ricordo di una Palermo "paradisiaca", oppure rimanere e affrontare le tenebre di una città che lui nemmeno immaginava potessero esistere.

DON PINO PUGLISI
Al centro della storia troviamo Don Puglisi, il professore del liceo in cui Federico studia. E' proprio lui, infatti, ad introdurre il ragazzo in questo "lato oscuro" della città.
D'Avenia, professore di Lettere in un liceo, ha avuto l'opportunità di conoscere personalmente il sacerdote che fu anche insegnante dei suoi fratelli.
Don Pino Puglisi, beatificato da papa Francesco il 25 maggio 2013, ha aiutato tanti giovani ad uscire dal tunnel della paura e dell'ignoranza, attraverso una pedagogia attiva, coinvolgente, sofferta. Ha quindi lottato fino all'ultimo giorno della sua vita contro la "macchina" mafiosa, togliendo dalla strada centinaia di bambini e ragazzi che, senza di lui, sarebbero sicuramente diventati manovalanza di mafia. E' stata proprio questa la causa che gli ha attirato principalmente l'ira dei boss.
Mons. Vincenzo Bertolone, postulatore della causa di beatificazione di Don Puglisi, l'ha definito il "martire del cristianesimo ordinario". Con la sua vita, infatti, il sacerdote palermitano ha incarnato quella che dovrebbe essere la testimonianza di ogni cristiano: Credente, Coerente, Credibile. «Attuando queste tre "C" nelle nostre vite – ha commentato l'Arcivescovo di Catanzaro -, costruiremo Cittadinanza attiva solidale e responsabile per il bene comune».
L'ordinaria-straordinarietà del martirio di Don Puglisi emerge in particolare da quella che è stata l'ultima sua giornata di vita. Nella quale ha celebrato due matrimoni e, di pomeriggio, prima gli incontri di preparazione al battesimo, poi quello al Comune per riuscire ad ottenere, insieme con gli abitanti della sua borgata, una scuola media per i giovani di Brancaccio. Infine la convivialità organizzata al Centro "Padre Nostro" per festeggiare il suo 56° compleanno. L'ultimo giorno in terra di Don Puglisi, quindi, rappresenta l'icona di un modo straordinariamente ordinario di essere prete e cristiano. O che, almeno, dovrebbe, esserlo.

PRETE ANTICO, PRETE NUOVO
Prete antico come mostrano le sue celebrazioni sacramentali, significativamente nel momento in cui officiava la costituzione di nuove famiglie cristiane, per non parlare dei solenni momenti di preghiera o, infine, della tonante predicazione e l'attività di annuncio e catechesi. Ma anche prete nuovo, perché immerso nel suo tempo, impegnato nel tradurre in scelte sociali e civiche il suo sacerdozio, alimentato da un frequente culto eucaristico che si fa vita e comunità. Di qui la sua difesa della legalità, dei diritti dei giovani e degli studenti, nonché dei disperati di cui cercava di risolvere i problemi nel Centro che ha edificato in una situazione residenziale davvero disgregata. La personalità di Don Puglisi è tutta qui: un riassunto di Tradizione (l'uomo del sacro, che attualizza e riflette comunitariamente il sacrificio eucaristico) e impegno nel temporale (lettura pubblica e predicazione della Scrittura, azione solidale e caritativa).
Per tutto questo sacerdote non poteva non rimanere vittima della mafia, per la sua fede granitica che attraeva e ritagliava sempre più spazi alla criminalità, per le sue opere sacerdotali che sapevano proporre e "reinventare" la Speranza e, infine, per la sua opera appassionata, ha evidenziato Mons. Bertolone, per «edificare, come servitore e tessitore, attimo per attimo, il bene della comunità cristiana, che è anche bene comune, all'interno del quale si danno, dunque, alcuni valori e beni non soggetti alle leggi del mercato, del venire a patti, della trattativa o della collusione con qualunque altro potere che non sia quello divino». La sua festa sarà il 21 ottobre di ogni anno.

 
Titolo originale: C'è un'Italia che inferno non è
Fonte: La Croce, 03/02/2015