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OMELIA DELLA NOTTE E DEL GIORNO DI NATALE
Una grande luce rifulse
di Giacomo Biffi
 

1) MESSA DELLA NOTTE

La celebrazione natalizia - prima di tutto con questa Eucaristia notturna e poi con i vari riti di questi giorni, ma anche con le molte manifestazioni festose e luminose che l'accompagnano in ogni angolo della cristianità - è un grande inno di riconoscenza e di lode a Dio, che ha rischiarato la nostra notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo.

UNA LUCE RIFULGE NELLA NOTTE
Come aveva detto il profeta, su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una grande luce rifulse (Is 9,1). Davvero tenebrosa è la nostra terra e noi ce ne accorgiamo sempre più, anche perché si sono spenti o stanno spegnendosi tutti i bagliori ingannevoli. La nostra epoca ha visto via via esaltati i miti più falsi e più ossessivi: il mito del nazionalismo, della inevitabile lotta di classe, del razzismo, dello scientismo senza saggezza e senza amore, del permissivismo senza buon senso, dell'edonismo sfrenato. Agli inizi le ideologie sembrano sempre luccicanti e fascinose; poi, quando si impongono e si assolutizzano, si rivelano tutte soffocanti e crudeli.
Stregato e illuso da questi dogmi infondati e senza verità, il nostro secolo - il secolo dell'affermazione spavalda della ragione rattrappita in se stessa e dell'umanesimo senza Dio - ci ha regalato stragi e catastrofi sociali che non trovano paragoni nella storia: le guerre totali, gli eccidi di popolazioni innocenti reclamati dalle utopie del momento, i genocidi, la soppressione legalizzata e ufficialmente propagandata di vite incolpevoli, il dissenso ecologico, il dissesto morale. Immersa in questa notte, di cui solo adesso si può cominciare a misurare interamente l'orrore, l'umanità ha però conservato un filo di luce e un piccolo germoglio di speranza: ha sempre continuato, anche nei momenti più ottusi e più tetri, a celebrare il Natale.
E proprio dal Natale la fiducia può rifiorire; proprio grazie all'annuncio di gioia e di salvezza dato ai poveri e agli umili si supera ogni avvilimento. Da Betlemme ci giunge ogni buon auspicio possibile, se però ci riconosciamo - noi, uomini tutti - poveri di bene vero e di sapienza; se ci vogliono collocare tra i semplici, che non dalle voci e dalle infatuazioni mondane attendono di essere illuminati; se prendiamo posto non tra i personaggi potenti e famosi, ma tra i pastori che con cuore limpido vegliano nella notte e aspettano senza scoraggiarsi l'alba di Dio.
La gloria del Signore li avvolse di luce (Lc 2,9) - abbiamo ascoltato - perché non avevano una loro gloria da difendere e da vantare.

IL NATALE CI È OFFERTO PER CONSENTIRCI DI CONTINUARE A SPERARE
Come disperare dell'uomo, quando Dio ha voluto farsi uno di noi?
Come si può temere che non ci sia più un futuro per questa famiglia di creature fragili e spavalde, dotte e dissennate, calcolatrice e prodighe, che però quasi d'istinto ogni anno bene o male si pone in ascolto del canto degli angeli che annuncia pace e salvezza?
Il Natale ci è dato proprio per consentirci di proseguire a sperare. Ed è la cosa che oggi, forse più che ogni altra, avvertiamo il bisogno.
È vero, la vicenda in cui siamo immersi è troppo spesso deludente e ingrata; e lo è anche per colpa nostra, cioè di ciascuno di noi: il cristiano sa che la prima critica è sempre verso se stesso. Ma non possiamo abbandonarci al pessimismo, se - come ci ha esortato san Paolo e come l'odierna festa ci incoraggia - aspettiamo sul serio, nei pensieri e nelle opere, la manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo (Tt 2,13).
Quel neonato bambino, che oggi contempliamo nell'incredibile indigenza di una mangiatoia, ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo che gli appartenga (Tt 2,14): questo bambino è dunque il principio di un'umanità nuova, cui dobbiamo sempre tentare e ritentare di dare spazio, a cominciare dalla nostra coscienza e dalla nostra vita.

UN TRAGICO PARADOSSO
L'odierna festa ci ripresenta ogni volta un tragico paradosso: da una parte i figli di Adamo, che sembra si compiacciono di degradarsi sempre più, di allontanare da sé e censurare ogni prospettiva che li salvi dalla disperazione e dell'assurdo, di scalzare dalla propria cultura ogni persuasione che dia qualche adeguata motivazione all'agire secondo dignità e secondo giustizia; e dall'altra parte Dio che non si arrende davanti a tanta stoltezza, e tenacemente li insegue col suo amore: li insegue magari anche solo con l'incanto innegabile del Natale e la nostalgia della innocenza perduta.
Un grande scrittore antico, gloria e vanto della nostra regione, quasi sbigottito di fronte all'enigma del volontario scadimento umano, così esclamava in una sua omelia natalizia: "O uomo, perché così ti avvilisci, tu che agli occhi di Dio sei tanto prezioso? Perché tu, così onorato da Dio, a questo modo ti disonori? Perché indaghi scientificamente sulla tua origine, e non ti domandi mai quale sia il senso e lo scopo della tua venuta nel mondo?" (Pietro Crisologo, Sermone, 148,2).
Le interrogazioni appassionate di San Pietro Crisologo, dopo quindici secoli, centrano ancora il nostro vero problema, e ancora ci possono aiutare a vivere nell'autenticità questi giorni privilegiati.
La poesia del Natale - per chi la sa cogliere - è un grande dono e può, almeno inizialmente, consolarci dello sconforto e dell'amarezza dei tempi che stiamo vivendo. Ma un dono incomparabilmente più grande è passare dall'emozione effimera alla verità eterna, dal godimento spensierato alla percezione del mistero sostanziale dell'incarnazione del Figlio di Dio, dal gioco superficiale dei sentimenti al coinvolgimento profondo della vita.
E questo dono appunto vogliamo oggi per noi e per tutti implorare dal Signore.

2) MESSA DEL GIORNO

Di questi tempi non sono molte le buone notizie. La lettura dei giornali è quasi ogni giorno deprimente; dalla radio alla televisione ci sono offerti spesso motivi di profondo sconforto. Qualche volta si ha l'impressione di vivere in un mondo che si stia sgretolando e non trovi punti di riferimento affidabili per avviare una qualche ripresa.

PROROMPETE INSIEME CON CANTI DI GIOIA, ROVINE DI GERUSALEMME
Si è allora tentati di usare, per descrivere la situazione, la parola "rovina", che abbiamo ascoltato nella prima lettura, della profezia di Isaia: le "rovine di Gerusalemme" possono ben rappresentare la società in cui viviamo, soprattutto in rapporto agli ideali e ai valori.
Il secolo ventesimo però non era cominciato così: aveva anzi fatto balenare la prospettiva allettante di un'umanità illuminata da una scienza rigorosamente autonoma e fiera di sé; aveva sventolato il vessillo di una libertà senza vincoli; aveva promesso una giustizia terrena senza il timore di un giudizio trascendente e un umanitarismo senza la virtù cristiana della carità. E molto di valido e di apprezzabile è stato anche attuato. Ma del grande progetto ideologico oggi ci restano soprattutto vistose e deludenti macerie. Ci limitiamo a richiamare qualche esempio.
Prima di tutto "le rovine della ragione"; che sono molte, ma ne indichiamo una sola: gli uomini che, in omaggio alla razionalità (o meglio al razionalismo), hanno estromesso dalla loro attenzione tutta la realtà invisibile ed eterna, oggi sono comicamente arrivati a una fede quasi universale nell'oroscopo e nei responsi dei maghi e dei cartomanti.
Poi le "rovine della libertà". Molti, specialmente giovani, ai quali è stata predicata l'emancipazione da ogni autorità e da ogni principio, si sono trovati sottoposti alle più tragiche schiavitù, come quelle della droga e delle varie aberrazioni morali.
Infine le "rovine della serenità di spirito". Censurato il pensiero di Dio e del rendiconto finale da dare a lui, le paure non sono scomparse, sono anzi dilagate fino a diventare ossessive: paura dell'aria inquinata che respiriamo, dei cibi sofisticati, delle malattie e dei contagi senza rimedio, degli infarti improvvisi, delle crisi economiche ricorrenti, degli stranieri che ci invadono, della violenza e della disonestà che non si riesce più a frenare.
Dove si estingue la fiducia in un Padre che ci ha creato e ci ama, nasce fatalmente un mondo atterrito.
Una riflessione a parte meritano le "rovine della famiglia", che stanno all'origine di molti nostri guai.
I bambini dell'inizio del secolo avevano a disposizione una padre, una madre e una mezza dozzina tra fratelli e sorelle. I bambini di oggi non hanno più né fratelli né sorelle; in compenso qualche volta hanno una mezza dozzina tra padri, madri, succedanei e facenti funzioni. Che meraviglia, se poi sono sempre più numerosi i nevrotici, i disadattati, i ribelli?

PERCHÉ L'UOMO RINASCA
A questo punto qualcuno potrebbe chiedere: ma che cosa centra tutto questo col Natale? C'entra, perché, in mezzo a questo squallore il Natale è l'unica "buona notizia".
La parola di Dio, che ci ha parlato di "rovine", ci ha detto che anche queste "rovine" possono ricominciare a sperare: Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo (Is 52,9).
Dal momento che il verbo di Dio - cioè la parola, il pensiero, l'intelligenza del Padre - si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (cf. Gv 1,14), la nostra ragione può essere salvata da se stessa, dalle sue deviazioni e dalle sue intemperanze. È lui la luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1,9): chi se ne lascia rischiarare è preservato dal non senso di un'esistenza che sembra venire dal niente per andare a finire nel niente e dall'assurdità di un pellegrinaggio terrestre senza indicazioni e senza mèta; chi se ne lascia rischiarare può finalmente cominciare a vivere da creatura ragionevole e sensata.
A quanti credono nel suo nome è dato di sottrarsi davvero a tutte le tirannie: alla tirannia delle prepotenze politiche, dei condizionamenti psicologici e sociali, delle passioni accecanti. Quel bambino, che oggi contempliamo silenzioso nell'umiltà di una stalla, un giorno pronuncerà su questo argomento una frase decisiva: Se rimanete fedeli alla mia parola… conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 8, 31.32).
Dal presepe risuona dunque un annuncio che è ancora capace di ridonare pace, gioia, speranza anche ai nostri tempi inquieti.
Perciò di qui, dal Natale, dall'Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità (Gv 1,14) che è entrato una volta per tutte nella nostra storia, si può e si deve ripartire a lavorare perché l'uomo rinasca.

LA SPLENDIDA NOTIZIA DEL NATALE
Comprendiamo allora che la cosa più urgente e benefica che l'umanità possa aspettarsi è che questa "buona notizia" risuoni nelle orecchie e nel cuore di tutti: la "buona notizia" che a Betlemme è stata proclamata per la prima volta dagli angeli, ed è la ragione vera (anche se dimenticata da molti) perché a Natale si debba fare tanta festa.
A chi oggi, toccato dalla grazia di questa celebrazione, si propone di fare personalmente qualcosa per portare un po' di rimedio alle "rovine" del mondo e alleviare qualcuna delle angosce dei suoi fratelli, si presentano molti campi di operosità feconda e preziosa. Ma l'opera più benedetta e necessaria, cui dobbiamo tutti pensare, è quella della "nuova evangelizzazione": è quella cioè di far conoscere e riconoscere a tutti come Redentore e Signore il bambino nato a Betlemme, perché, come dice la parola di Dio, in nessun altro c'è salvezza; non c'è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (At 4,12).
Quanto più triste sarà lo spettacolo posto davanti ai nostri occhi della stoltezza e dalla corruzione degli uomini e delle istituzioni, tanto più ci apparirà in tutta la sua splendida attualità natalizia l'esclamazione del profeta: Come sono belli sui monti i passi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: Regna il tuo Dio (Is 52,7).

 
Titolo originale: Ecco, vi annunzio una grande gioia
Fonte: Un Natale vero?