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UBRIACHI DI SERIE TELEVISIVE
Inchiodano i giovani davanti alla tv per ore e trasmettono un'ideologia in cui i valori sono ribaltati, la moralità calpestata e persino il diavolo è positivo
di Mario A. Iannaccone
 

Le serie televisive, nelle loro varie tipologie, serial, miniserie, sit-com ecc., sono il tipo di narrazione oggi più seguito, più dei lungometraggi cinematografici e più del romanzo o del fumetto. Questo anche grazie all'aumento in percentuale di giovani assidui a serie tv trasmesse oggi sui grandi schermi ad alta definizione, ben diversi dai televisori di 10 o 15 anni fa, che ne rendono più gradevole la visione; non a caso molta parte degli sforzi produttivi cinematografici si stanno spostando sulle produzioni televisive (anche ad altissimo budget). È aumentato anche il numero di supporti sui quali è possibile vedere i contenuti, portatili, tablet e addirittura cellulari. Questi sono preferiti dalle generazioni più giovani per il 30% (ricerca Primaonline 30.10.2017), percentuale che andrà nel tempo aumentando in tutte le età. Inoltre, sono diventate più numerose le piattaforme di distribuzione streaming come Netflix e Infinity o pay-per-view, che favoriscono, per le loro caratteristiche, fenomeni di binge watching (guardare sino a ubriacarsi) ovvero il guardare per ore episodi successivi di una stessa serie (mediamente praticato da circa il 40% della fascia 13-25 anni).
Ultimo dato su cui le statistiche sono unanimi: il tempo medio di visione giornaliera per tutte le fasce d'età giovani supera le 4 ore quotidiane, e il giro d'affari ha oltrepassato i 100 miliardi di dollari annui solo per il video on demand.

RACCONTANO IDEOLOGIE
Se le serie assorbono un tempo così elevato della vita quotidiana degli spettatori, soprattutto giovani - il giovane è più influenzabile -, ci si può chiedere cosa raccontano.
È un fatto che la gran parte di queste serie rientrino in un ambito di influenza che riflette l'ideologia progressista-libertaria di cui sono espressione tanto le élite di Hollywood e della televisione - produttori, finanziatori, artisti - quanto gli interessi che rappresentano - fondazioni, istituzioni finanziarie e sovranazionali. Non dovrebbe quindi essere una sorpresa scoprire che il fronte libertario-progressista utilizzi come mezzo privilegiato proprio le narrazioni televisive ubique e facili da fruire. Molte di queste serie (ogni anno ne escono decine di nuove) sposano un'ideologia demoralizzante coerente e ripetuta. In esse, l'aborto è normalizzato, l'omosessualità viene vista come la tendenza "più" normale, positiva e diffusa. Ad esempio, per citarne una fra le tante, nella pluripremiata (e continuamente osannata, lodata) serie Orange is the New Black, si raccontano le vicende carcerarie di una giovane wasp lesbica, arrestata per un vecchio reato dopo che si era rifatta la vita come "etero"; in carcere però torna lesbica. Qui, gli uomini o le donne "etero" vengono rappresentati come fanatici religiosi, ignoranti e violenti. La serie, prodotta da Netflix, è emblematica di una tendenza in atto: la religione è continuamente vilipesa; le detenute s'incontrano per le loro effusioni in una specie di cappella dove è collocato quello che pare un disadorno altare cattolico.
La serie viene acclamata più per le sue esplicite tendenze che per la qualità. Blasfemia e demoni vincono in serie più raffinate come Penny Dreadful, dove una donna cattolica non può liberarsi dal demonio e tutto quanto lei credeva si dimostra inutile o controproducente e alla fine accetta la dannazione.

SGANCIAMENTO DI OGNI COMPORTAMENTO SESSUALE DALLA PROCREAZIONE
Simili situazioni vengono mostrate in serie di lungo corso come Supernatural o True Blood e nuove come Outcast: la costante è l'anticristianesimo (più spesso anticattolicesimo radicale), la promozione della fluidità dei generi, la normalizzazione del tradimento (difficile trovare famiglie unite) e dell'aborto. Lo sganciamento di ogni comportamento sessuale dalla procreazione è ribadito dall'esagerazione dei problemi che portano i bambini: sono noiosi, petulanti, peggiorano la vita degli adulti. Centrale è anche l'elemento di lotta antipatriarcale e la distruzione del ruolo e della figura del padre, platealmente proposto nelle serie umoristiche (con le sue famiglie "allargate") e crime. Per quanto riguarda i temi di crimine ho mostrato l'evidenza di tutto ciò nel libro Meglio regnare all'inferno (Lindau, 2017), dedicato al tema dei serial killer. In serie decisamente scadenti ma non per questo meno "premiate" tutti questi comportamenti appaiono insieme. In Grace & Frankie, ad esempio, prodotta dalla ex diva Jane Fonda, due donne settantenni apprendono un giorno che i loro mariti coetanei sono gay e vogliono sposarsi. Gli effetti della rivelazione (l'ormai celebre coming out) sono seguiti in una sit-com che vorrebbe essere divertente ma è tetra, funerea; i due uomini convolano a "nozze" mentre le donne vanno a vivere insieme sottintendendo un legame lesbico sottotraccia: i ruoli dei padri e delle madri vengono ridicolizzati. Il coming out dei due neo-gay - vi recita un imbarazzante Martin Sheen - è trattato come qualcosa di coraggioso e giusto e la famiglia ricomposta nella nuova configurazione, guardata male da pochi "bigotti" fanatici, risulta migliore della precedente versione.
Già in Will e Grace la famiglia "arcobaleno" includeva diverse tendenze sessuali ed era vista come un bene. Una persona molto giovane che guardi simili serie potrebbe uscirne confusa, tuttavia, un preadolescente potrebbe annoiarsi a guardare i personaggi senili, in vena di tardiva fluidità di genere, di Grace & Frankie. Ecco perché i riformatori dell'antropologia che orientano il mercato televisivo hanno già pensato alle serie LGBT per bambini. La Disney, ad esempio, (Disney Channel è pieno di sorprese di questo tipo) ha inaugurato la serie Andy Mack nella quale un tredicenne si mostra consapevolmente e felicemente gay. Non di rado essere demoni o dalla parte del male non è così male, come nella serie Lucifer dove il diavolo si presenta come un personaggio positivo.

DISARMATI DI FRONTE AL FENOMENO
Tutte queste serie, e molte altre ancora, promuovono comportamenti che James Hillman, ispiratore di molta nuova televisione, definiva, appunto, de-moralizzanti ovvero "distruttori della morale" e promotori della demoralizzazione quale sana modalità di vivere una vita insensata. Che questo avvenga continuamente nella miriade di serie e film tv continuamente riproposti, con qualche eccezione che non rompe la regola, è piuttosto evidente se si vuole guardare al fenomeno con un minimo di freddezza. Ciò che più sorprende è il completo disarmo dei cattolici: non esistono più luoghi in cui una critica non semplicemente moralistica ma anche tecnica, secca, motivata venga affrontata e portata avanti nel tempo con competenza e determinazione. Come accade nel campo del cinema e del romanzo, la gran parte del mondo cattolico pare aver ceduto del tutto le armi o aver minimizzato qualcosa che nel tempo si è configurato come una catastrofe. Cambiamenti profondi nei comportamenti e nelle convenzioni derivano anche da come la televisione e i media hanno operato e stanno operando.
L'accettazione dell'aborto e della denatalità è parte di quest'opera. Forse sembra crudo dirlo ma il non comprendere la potenza di fuoco, l'intelligenza e la sottigliezza con cui il cattolicesimo è stato combattuto negli ultimi decenni sta condannando i cattolici stessi all'irrilevanza. Se non alle catacombe.

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Titolo originale: Ubriachi di serie tv
Fonte: Il Timone, dicembre 2017 (n° 168)