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Vi fu un tempo in cui l'antirazzismo era una passione nobile. Era il rifiuto di stigmatizzare qualcuno per il colore della pelle o il popolo di appartenenza. Era il rifiuto di giudicare non umane o comunque inferiori delle persone per le loro caratteristiche biologiche o anche etniche (il concetto di "etnia", a differenza di quello di "razza", ha anche un significato culturale). Oggi invece l'antirazzismo è divenuto un'ideologia intollerante ed estrema, che è parte integrante del pensiero unico politicamente corretto, ovvero dell'ideologia dominante.
Come l'omosessualismo, del resto. Come il femminismo. Come le teorie gender. Alain Finkielkraut ha definito l'antirazzismo "il totalitarismo del XXI secolo". Oggi il nuovo antirazzismo non si prefigge più la sacrosanta battaglia in difesa della dignità umana, ma la sostituzione dei popoli europei in nome dell'egualitarismo estremo e dell'assoluta intercambiabilità degli uomini (in perfetta sintonia con il pensiero economico del capitalismo trionfante). Coincide quindi con l'immigrazionismo.
L'ANTIRAZZISTA DI OGGI
Oggi l'antirazzista del nuovo tipo è un conformista dominato dal risentimento. Il risentimento verso coloro non accettano l'idea della mescolanza dei popoli, verso coloro che non ritengono l'uomo solo un essere universale e quindi intercambiabile, ma lo pensano anche particolare, provvisto di un'identità collettiva sempre specifica. Con un atto di furfanteria intellettuale, il nuovo antirazzista definisce tutti costoro dei "razzisti". Ma l'antirazzista del nuovo tipo, soprattutto, è dominato dal risentimento verso le proprie appartenenze. Odia la propria cultura, la propria storia, la propria religione, la propria tradizione, la propria identità. Quindi se stesso.
Sbandierando il "rispetto delle diffferenze", l'antirazzista ideologico parla con lingua biforcuta, perché le vuole annullare tutte nel "melting pot", nel grande crogiolo della società a razza unica. E' un globalista allo stato puro. E' perfettamente in linea con la massificazione capitalista e l'omogeneizzazione tecnico-economica operata dalla globalizzazione.
E' il profeta dello sradicamento planetario e del nomadismo felice. Il suo è un sogno etnocida, e innanzitutto etnomasochista. Perché naturalmente i primi che dovrebbero sparire nel grande crogiuolo sono i popoli europei. Non a caso l'antirazzista tipico è oggi anche abortista e denatalista. Questo nuovo antirazzista è quindi un nichilista. Sostiene un progetto che si nutre continuamente dell'odio di se stessi.
Al progetto assurdo del dominio dell'uomo bianco su tutti i popoli, tipico della modernità, si sostituisce quello altrettanto assurdo dell'estinzione dell'uomo bianco e della sua cultura, partorito dallo stesso uomo bianco decadente della postmodernità. Così il nuovo antirazzismo si trasforma nel suo apparente contrario: il razzismo. Poiché volere il popolo unico, la razza unica, l'etnia unica, la lingua unica, la cultura unica significa odiare i popoli concreti, le differenze biologiche e quelle culturali. A cominciare dalle nostre.
L'ANTIRAZZISTA VUOLE LA RAZZA UNICA METICCIA
Hitler nel suo folle sogno voleva la "razza ariana" pura. L'antirazzista ideologico vuole la razza unica meticcia. Nichi Vendola ha avuto almeno il coraggio di teorizzarlo apertamente: "Il progresso passa dalla mescolanza delle razze", ha detto. Gli altri progressisti politicamente corretti lo pensano, ma non sempre lo dicono. Spesso sono gli stessi che si battono per la "biodiversità" naturale e che si scandalizzano per l'estinzione del panda. Si impegnano per la salvaguardia del panda, ma vedono di buon occhio l'estinzione dei popoli europei.
In entrambi casi, nel razzismo e nell'antirazzismo ideologico, è palese l'odio per la diversità, per le identità, per le differenze, per la molteplicità, per la pluralità. [...]
Se il razzismo è una forma di etnocentrismo che assolutizza il particolare a scapito dell'universale, l'antirazzismo ideologico assolutizza l'universale a scapito del particolare. Ma l'uomo, come diceva anche Ernst Nolte, è al contempo un essere particolare e un essere universale, perché è solo a partire dalla sua particolarità che può aprirsi all'universalità. Senza la sua particolarità, non sarebbe nessuno. Se il particolarismo senza apertura all'universalità può divenire disumano, l'universalità senza rispetto del particolare è sempre inumana. Viviamo nell'epoca dell'inumano.
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