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«Ha mantenuto la promessa. Ancora». Il soggetto è il presidente degli Stati Uniti d'America Donald J. Trump, l'argomento è la nomina del giudice Brett M. Kavanaugh per la Corte Suprema federale in sostituzione del dimissionario Anthony M. Kennedy e chi esulta, in una email agli iscritti, è Brian Burch, presidente di CatholicVote, una lobby nata per ricordare ai cattolici di votare sempre senza mai scordarsi di esserlo. È un'esultanza giustificatissima. I conservatori, i cattolici stentano infatti a credere alle proprie orecchie. Trump, il Trump che tutti conosciamo, bighellone, gozzovigliatore, sciupafemmine, fantastiliardario ignorante come una capra, drogato di tivù e Twitter, collezionista di fallimenti economici, intrallazzone e già inciucista, non sta sbagliando un colpo sui princìpi non negoziabili. Non lo avrebbe immaginato nessuno. Ci fu un punto di svolta, nella campagna elettorale del 2016, coincidente con la nomination presidenziale, in cui Trump cambiò rotta siglando patti espliciti con quei conservatori che aveva giurato di rottamare. I conservatori plaudirono, ma è ovvio che temessero di venire gabbati. È invece successo il contrario, e gli effetti sono incalcolabili. Trump si affida costantemente ai conservatori, e fra i conservatori sceglie, in numeri sensibili, degli ottimi cattolici. Sì, perché anche Kavanaugh è cattolico, e non di quelli "adulti".
SVOLTA ALLA CORTE SUPREMA
Lunedì sera Trump lo ha scelto per il massimo tribunale del Paese. Nato nel 1965 a Bethesda, in Maryland, Kavanaugh si è laureato allo Yale College nel 1987, si è addottorato alla Yale Law School nel 1990, ed è stato assistente proprio del dimissionario Kennedy. I suoi nemici, e ne ha già tantissimi, non potranno mai accusarlo di essere un ideologo incompetente. Poi ha lavorato con Kenneth Star, sia quando questi era procuratore generale degli Stati Uniti sia quando ha indagato Bill Clinton per lo "scandalo Lewinsky" da special counsel, il procuratore indipendente che non risponde al ministro della Giustizia ma al Congresso federale, e questo gli protegge il fianco destro. Dopo di che ha lavorato nel settore privato da avvocato fino a che, nel 2001, il presidente George W. Bush jr. non lo ha prima voluto tra i propri consigleri giuridici, poi lo ha nominato segretario dello staff della Casa Bianca nel 2003 (responsabile, cioè, del coordinamento di tutti i documenti che partono dal presidente e che a lui arrivano), quindi nello stesso anno lo ha scelto come giudice della Corte d'appello del Distretto di Columbia (la capitale Washington). A quel punto è scesa in campo l'armata Democratica, che ha messo tutto in stallo per quasi tre anni, accusando Kavanaugh di essere troppo schierato. Finalmente, nel maggio 2016, il giudice l'ha spuntata.
I galloni da generale dei conservatori, però, Kavanaugh se li è guadagnati sul campo, combattendo con coraggio e strategia la buona battaglia per la libertà religiosa. Su National Review, Justin Walker lo definisce senza mezzi termini «un guerriero per la libertà religiosa» rimandando documentatamente al mittente certe accuse del tutto speciose con cui alcuni malpancisti di destra in disaccordo con certi suoi tatticismi (ma quando si è in minoranza si hanno forse chance?) stanno finendo per boicottarlo, di fatto unendosi (assurdamente) ai suoi nemici liberal (ma questi sì che hanno di che lamentarsi). Su questo suo pedigree insiste anche Edward Wheelan, presidente dell'Ethics and Public Policy Center di Washington (quello cui fa tra l'altro capo George Weigel, biografo di due Papi), e questo porta diritti a una considerazione fondamentale.
LA LIBERTÀ RELIGIOSA RIASSUME TUTTE LE BATTAGLIE FONDAMENTALI
Oggi la cartina tornasole per un giudice federale statunitense è la libertà religiosa. I conservatori la difendono, gli altri la combattono. C'è un valore intrinseco antichissimo, addirittura atavico nella libertà religiosa, a far data dall'Editto costantiniano di Milano del 313. Ma la questione si è imposta all'attenzione anche del grande pubblico negli ultimi decenni. Tutte le battaglie fondamentali, infatti, dall'aborto all'eutanasia, dalla contraccezione alla sperimentazione sugli embrioni, dall'omosessualismo alla famiglia, dalla libertà di educazione al fisco giusto, possono essere tranquillamente riassunte, e di fatto lo sono, nella libertà religiosa. Infatti, o è lo Stato ad avere l'ultima (e anche la prima) parola sui diritti fondamentali della persona oppure no. Le regole per una convivenza autenticamente civile dipendono cioè ultimamente dal fatto che una persona sia libera di regolare il proprio rapporto con Dio. Né questo fa della libertà religiosa una questione confessionale: essa vale infatti anche per gli atei e per i miscredenti. Per di più, in società secolarizzate dove i credenti tendono a essere minoranza, la libertà religiosa diventa sul serio l'ultimo baluardo. Curioso che a imporsi all'attenzione anche dei non cattolici siano, in questa sfida all'ultimo sangue, i cattolici.
Negli anni 1990 Kavanaugh lavorava nel settore privato. Entrò nella Federalist Society e ne guidò lo "special interest group" proprio sulla libertà religiosa. La Federalist Society è la fucina dei giudici conservatori americani, ovvero dei buoni giudici, ovvero di quelli che tali sono perché difendono appunto la libertà religiosa, ovvero quelli che difendono la legge fondamentale del Paese, ovvero spesso e volentieri dei cattolici. È alla Federalist Society che si deve la "famosa" lista di giudici che Trump tiene "nel taschino", pronto a sfoderarla ogni volta se ne presenti l'occasione. Ognuno abbia lecitamente le proprie preferenze, ma si può stare certi che fino a quando il presidente pescherà da quell'elenco il mondo sarà un tantino più bello. Lo si capisce dai liberal.
LA FEDERALIST SOCIETY
In un articolo denso di notizie importanti, ma letteralmente vergognoso, The Daily Beast descrive la Society come una specie di massoneria cattolica manovrata dal suo vicepresidente Leonard Leo, classe 1965, avvocato, cavaliere di Malta, già stratega e consigliere di Bush Jr. Condizionando le nomine alla Corte Suprema appunto sin dai tempi di Bush Jr., la sua "camarilla" starebbe cercando di sabotare gli Stati Uniti per farne una "teocrazia papista": però nemmeno il nativismo dell'Ottocento americano più anticattolico è arrivato a tanto. In acque simili naviga The Huffington Post. Perché tanto livore? Semplice: Kavanaugh alla Corte Suprema, scrive sempre The Daily Beast, significa «[...] probabilmente la fine del diritto all'aborto e del diritto al matrimonio omosessuale».
Adesso Kavanaugh dovrà passare il vaglio del Senato federale. Alla "Camera alta" oggi i Repubblicani sono 51, i Democratici 47 e gl'indipendenti (che votano sempre con i Democratici) due. Il Repubblicano John McCain è però sempre assente, a causa del tumore al cervello che lo tiene lontano dall'aula. In più le Repubblicane Susan Collins e Lisa Murkowski, pecore nere, si schierano sempre con la Sinistra. Fortunatamente tre Democratici, Joe Manchin, Joe Donnelly e Heidi Heitkamp, sono pro-life. Dopo di che, vale doppio, dovesse servire, il voto del presidente del Senato, che è il vicepresidente federale Mike Pence. Lo scontro per la ratifica è previsto in autunno. Se il Senato votasse prima delle elezioni "di medio termine" del 6 novembre sarebbe l'ideale. Potrebbe sul serio cambiare la storia.
Che ne è di Amy Comey Barrett? Probabilmente non avrebbe resistito al fuoco di fila liberal che avrebbe puntato sulla sua poca esperienza. Resta nella lista di Trump appunto a fare esperienza, pronta magari per la prossima occasione. Del resto nella Corte Suprema i giudici (liberal) Ruth Bader Ginsburg e Stephen Breyer hanno rispettivamente 85 e 79 anni.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Marco Respinti, nell'articolo seguente dal titolo "Libertà religiosa, stella polare della politica Usa" spiega l'importanza di ciò che sta accadendo a Washington. Il 24 luglio si è aperta la convention sulla libertà religiosa voluta dal Segretario di Stato Mike Pompeo e dall'ambasciatore Sam Brownback: Ministerial to Advance Religious Freedom. Il criterio per stabilire i rapporti internazionali sarà ed è guidato dalla libertà di esprimere in pubblico la propria fede. Siamo all'inizio di una svolta epocale che avrà ripercussioni benefiche in tutto il mondo.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 25 luglio 2018:
A Washington si è aperta ieri, martedì 24 luglio, la convention sulla libertà religiosa voluta dal Segretario di Stato Mike Pompeo e dall'ambasciatore Sam Brownback. S'intitola "Ministerial to Advance Religious Freedom", durerà fino a mercoledì 26, verrà approfondita da una serie di eventi collaterali che ne prolungheranno l'effetto per tutta la settimana (alcuni para-ufficiali, quelli ospitati in edifici federali) e raduna primi ministri, capi di Stato, leader religiosi (tra cui Salvatore Martinez, rappresentante personale della presidenza italiana in esercizio OSCE 2018 con delega alla lotta a razzismo, xenofobia, intolleranza e discriminazione dei cristiani e di membri di altre religioni), esperti, attivisti e testimoni per un totale di 80 delegazioni da tutto il mondo. Un evento così non si è mai visto, soprattutto sulla libertà religiosa, "costantinianamente" convocato da un leader politico e non da un capo ecclesiastico, e senza che si tratti di una melassa buonista per dire, falsamente, che le religioni sono tutte la stessa cosa ovvero nulla.
Un evento così sulla libertà religiosa è infatti un evento fondamentale: fonda la convivenza tra gli uomini e regola i rapporti internazionali. Organizzando e ospitando la convention, Pompeo e Brownback danno al mondo un segnale forte e chiaro. Dicono a tutti che il criterio per stabilire i rapporti internazionali sarà ed è guidato dalla libertà di esprimere in pubblico la propria fede traendone tutte le conseguenze concrete (libertà di associazione, questione educativa, missione, etc.) e dicono che la politica estera del Paese più importante del mondo sarà ed è guidata da questo criterio. Ancora una volta, non significa dire che tutte le religioni sono la medesima cosa. Significa dire che il fatto religioso, l'esperienza religiosa, il senso religioso, il rapporto fra uomo e Dio è e non può non essere il primo punto all'ordine del giorno sempre, la prima norma della politica, il parametro basilare dei rapporti internazionali e che i governi altro non possono fare che portare rispetto.
Ciò implica per esempio che se perseguita i propri cittadini a motivo della fede che essi professano, un Paese dovrebbe essere messo in mora. Visto chi governa oggi gli Stati Uniti, e visto il gabinetto di ministri che si è scelto, dopo le parole non dovrebbero affatto mancare i fatti. Nel mondo la libertà religiosa è conculcata in moltissimi luoghi e ambiti. C'è una libertà religiosa impedita con la violenza, la tortura e la morte, e c'è una libertà religiosa ostacolata attraverso i tribunali, i media e il politicamente corretto. I cristiani sono le prime vittime. Tra i luoghi dove la libertà religiosa e i diritti umani che ne derivano è impedita con la violenza ci sono Paesi ambigui come il Pakistan. Oppure l'Iran che in queste ore fa inutilmente la voce grossa e di cui ha annunciato tratterà Pompeo prendendo la parola domenica nella Ronald Reagan Presidential Library a Simi Valley, nella California meridionale. Ma ci sono anche giganti come la Cina e come la Russia con cui una quadra bisognerà trovarla. Impensabile prendere di petto Paesi così per la loro rilevanza e per la loro possanza economica, politica, militare, ma al contempo non si può tacere del fatto che, quanto a politica verso le fedi (e non solo), il regime di Xi Jiping sta di fatto tornando ai tempi cupi del maoismo né che Vladimir Putin, con la scusa di colpire le "religioni straniere" (ma è lo stesso linguaggio che usa Xi Jiping per il quale il primo straniero è da sempre il cristianesimo), decida lui cosa è buono e cosa non lo è in tema di religione (anche perché così tutto ciò che non è ortodossia diventa in fretta nemico).
Per tre giorni a Washington il tema è questo. Come ha detto Pompeo alla vigilia, gli Stati Uniti sono pronti a discuterne anche con i Paesi con cui, sul tema, c'è disaccordo profondo: quelli citati, ma per esempio anche il Libano (martedì 24, quando la convention si è aperta era san Charbel Makhlouf) il cui ministro degli Esteri, Gebran Bassil, partecipa all'evento. Il 19 luglio, infatti, l'American Mideast Coalition for Democracy ha scritto a Pompeo affinché chieda conto a Bassil dell'arresto, all'inizio del mese, di due cattolici maroniti accusati di avere avuto contatti con dei cristiani israeliani durante un convegno sul ricupero della lingua e della cultura aramaiche.
Giovedì, in chiusura, prenderà la parola il vicepresidente Mike Pence, sensibilissimo al tema. In ottobre aveva promesso un'azione politica decisa in favore dei perseguitati per la fede, specialmente cristiani. La sensazione è quella di essere solo all'inizio di una svolta forse epocale.
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