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Se c'è un argomento che oggi appare indiscutibile è che il mondo è sempre più inquinato e la causa di questo inquinamento sono i Paesi sviluppati, con le loro industrie con relativo consumo di combustibili fossili, e anche con la loro agricoltura. I paesi poveri ovviamente sono le vittime, sia perché sarebbero depredati delle risorse sia perché pagano le conseguenze dell'inquinamento. Da qui anche tutte le politiche globali, invocate e in parte realizzate, che prevedono il "risarcimento" dei paesi ricchi verso i paesi poveri, con relativo flusso di denaro.
La questione dell'inquinamento sta però in tutt'altro modo. Ci riferiamo anzitutto a quello atmosferico, il più citato negli allarmi, ma il discorso è generale. il problema vero dell'inquinamento, infatti, non è lo sviluppo ma il sottosviluppo. L'equivoco non è certo nato per caso, e un contributo importante a questa manipolazione della verità lo ha dato sicuramente la massiccia propaganda anti-CO2, condannata come inquinante - quando non lo è - e di cui abbiamo parlato nella scorsa puntata.
Vediamo dunque la questione dell'inquinamento. A spiegare sinteticamente come stanno le cose ci ha pensato l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che, nella più completa inchiesta sull'inquinamento atmosferico mai effettuata, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2018, afferma che oltre il 90% delle morti correlate all'inquinamento atmosferico avvengono in paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa e in Asia. L'indagine si basa sui dati raccolti in 4300 città di 108 paesi e spiega come la maggior parte dell'inquinamento nei paesi a basso reddito si produca all'interno delle abitazioni.
NEI PAESI SVILUPPATI L'INQUINAMENTO È IN COSTANTE DIMINUZIONE
Per cucinare e per scaldarsi, infatti, ben 3 miliardi di persone usano legname, carbone o letame, sprigionando gas altamente inquinanti. Peraltro c'è un legame tra questo tipo di inquinamento e la deforestazione, anche questa in gran parte provocata dalla pratica di una agricoltura primitiva e dalla povertà. Si ricorderà, ad esempio, la grave crisi del Sud Est asiatico del 1997-1998, quando per diverse settimane bruciarono le grandi foreste del Borneo: dieci milioni di ettari di terreno furono avvolti dalle fiamme, soprattutto in Indonesia, e una grande nube per mesi coprì diversi paesi, dal Sud Est asiatico fino alla Cina. Gli incendi furono innescati come conseguenza della grave crisi finanziaria della regione che lasciò senza lavoro milioni di persone, in gran parte immigrati che, tornando nei loro villaggi, avevano bisogno di legna per cuocere cibo e di terreno da coltivare.
Al contrario nei paesi sviluppati l'inquinamento atmosferico, malgrado la propaganda dica il contrario, è in costante diminuzione. E non certo da quando sindaci illuminati si sono inventati le zone C o a traffico limitato. Il processo è iniziato molto prima, anzi si tratta di un processo che accompagna naturalmente lo sviluppo. Quando la principale preoccupazione delle persone è mettere insieme un po' di cibo quotidiano, non c'è né tempo né risorse per preoccuparsi di altro. È quando i bisogni primari sono soddisfatti che si comincia a guardare alle altre condizioni di vita; è quando aumenta il benessere che cominciano ad esserci risorse per migliorare le condizioni igieniche, sanitarie e ambientali. È una osservazione elementare, ma che è confermata ovviamente dai dati: già nel 2002, il rapporto ambientale dell'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico, Oecd nell'acronimo inglese), denominato Oecd Environmental Outlook, affermava che nel suo insieme l'inquinamento atmosferico nei paesi industrializzati era diminuito del 70% in quaranta anni, e le previsioni erano di una ulteriore significativa diminuzione nei successivi venti anni. Previsione peraltro confermata dalla realtà: basterebbe consultare i rapporti annuali delle varie Arpa regionali (le agenzie per la protezione dell'ambiente) per avere la conferma di una continua diminuzione dell'inquinamento atmosferico nel corso degli anni.
LO SVILUPPO GENERA RICCHEZZA E TECNOLOGIE MENO INQUINANTI
Ciò peraltro non dovrebbe stupire: l'inquinamento nelle città è principalmente provocato dai sistemi di riscaldamento e dal traffico automobilistico (soprattutto quello pesante). In questi decenni, i vecchi sistemi di riscaldamento a kerosene sono stati quasi completamente sostituiti da sistemi meno inquinanti: nel 2016 il Politecnico di Milano calcolava che nel capoluogo lombardo i 3500 impianti a gasolio ancora in funzione (appena il 2% di tutti gli impianti di riscaldamento) inquinavano dieci volte più di tutto il resto dei sistemi, centrali a gas. E anche le emissioni inquinanti delle automobili sono drasticamente diminuite: basti pensare che un'auto di media cilindrata costruita negli anni '70 del XX secolo, inquinava quanto più di cento auto dello stesso segmento costruite oggi.
Tutto questo è stato ed è possibile perché lo sviluppo permette di generare quella ricchezza che da una parte rende possibile la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione di tecnologie meno inquinanti, e dall'altra permette ai cittadini di acquistarle.
Qualcuno potrebbe obiettare che comunque tutto questo è soltanto una parziale riparazione all'inquinamento globale causato dalla rivoluzione industriale, con il relativo uso dei combustibili fossili. Che è come dire che, quanto a inquinamento, si stava meglio nel 1700. Ma anche questo non è corretto. Sono tante le testimonianze dell'epoca che ci dicono esattamente il contrario e basterebbe leggere una significativa poesia di Giuseppe Parini, scritta nel 1759, La salubrità dell'aria. C'è una descrizione realistica dell'aria nauseabonda che si respira a Milano, che al confronto la Milano di oggi appare come una località di montagna.
Ma anche questo non dovrebbe sorprendere: laddove non ci sono sistemi fognari, non si seppelliscono gli animali morti, dove il sistema di trasporto comune è rappresentato dai cavalli (per la cronaca un cavallo adulto produce circa 15 kg di escrementi al giorno e 20 litri di urina), si può ben capire che la situazione dell'inquinamento può ben diventare drammatica. Ma questa è anche la condizione generale dei paesi attualmente in condizioni di sottosviluppo.
Se davvero si vuole diminuire l'inquinamento perciò, non si deve fermare lo sviluppo, come oggi l'ecologismo dominante pretenderebbe, e come le politiche per il clima sono indirizzate a fare. Al contrario, è proprio lo sviluppo che va incoraggiato e accelerato: per far uscire i popoli dalla povertà e al contempo migliorare le condizioni ambientali grazie alla possibilità di usufruire di nuove tecnologie meno inquinanti.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Riccardo Cascioli, nell'articolo seguente dal titolo "Sviluppo sostenibile, un inganno contro l'uomo" spiega perché il concetto di "sviluppo sostenibile" nasce da una concezione negativa dell'uomo e le politiche globali di sviluppo sostenibile hanno come reale obiettivo il controllo delle nascite nei paesi poveri e il freno alla crescita economica dei paesi ricchi.
Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 16 settembre 2019:
La concezione dello sviluppo è un elemento chiave per comprendere come una propaganda ideologica ambientalista abbia indotto una così grave deformazione della realtà che porta oggi il cittadino comune ad avere un'idea errata dei meccanismi della natura e del rapporto degli uomini con la natura e fra loro stessi. Abbiamo visto nelle precedenti puntate come si sia arrivati a considerare lo sviluppo (e quindi i paesi industrializzati, che usano combustibili fossili) come causa di tutti i mali attuali, ambientali in generale e per il clima in particolare. Quando è invece vero che è il sottosviluppo, con tutte le sue implicazioni, ad essere casomai un problema per l'ambiente.
Questo è però il retroterra - e la falsa credenza - da cui nasce la presunta "terapia", lo sviluppo sostenibile. È un dato di fatto che oggi il concetto di "sviluppo sostenibile" sia diventato una parola d'ordine globale. [...]
Comunemente si fa riferimento a sviluppo sostenibile per intendere una crescita economica che tenga conto dell'ambiente. Il che la fa suonare come cosa buona e desiderabile. Ma detta così l'affermazione è talmente generica che teoricamente potrebbe intendere scelte concrete anche molto diverse. In realtà bisogna andare all'origine del concetto per capire quale sia il fine vero.
Intanto, si deve dire che il concetto di sostenibilità è mutuato dalla biologia: lo si usa ad esempio negli anni '50 del XX secolo nello studio dei tassi di riproduttività dei pesci per stabilire la sostenibilità della pesca. È quindi un classico esempio di traslazione di teorie scientifiche dal mondo animale al mondo umano secondo uno schema tipico della cultura riconducibile al darwinismo sociale, che tende a negare l'unicità della specie umana rispetto alle varie specie animali.
I primi tentativi di promuovere il concetto di sviluppo sostenibile applicato agli uomini sono negli anni '70, ma la consacrazione vera e propria si ha con la Commissione Internazionale Onu su Ambiente e Sviluppo, detta anche Commissione Brundtland dal nome dell'ex premier norvegese Gro Harlem Brundtland che la presiedeva. La Commissione, istituita nel 1983 dall'allora segretario generale dell'Onu Perez de Cuellar, termina i suoi lavori con la pubblicazione nel 1987 del Rapporto intitolato "Our Common Future" (Il nostro futuro comune). Qui sviluppo sostenibile viene definito come «lo sviluppo che incontri i bisogni del presente, senza compromettere le possibilità per le future generazioni di incontrare i loro bisogni».
È una formula che potrebbe apparire di buon senso, ma il vero obiettivo di quel rapporto è dimostrare che la crescita della popolazione è la vera responsabile di sottosviluppo e degrado dell'ambiente. Citiamo ad esempio dal capitolo dedicato a "Popolazione e risorse umane": «Ogni anno il numero di esseri umani aumenta, ma l'ammontare di risorse naturali con cui sostenere questa popolazione, e migliorare la qualità di vita nonché eliminare la povertà di massa, resta definita... Gli attuali tassi di crescita della popolazione non possono continuare. Essi già compromettono la capacità di molti governi di provvedere l'istruzione, i servizi sanitari e la sicurezza alimentare per la popolazione, per non parlare della possibilità di elevare il tenore di vita. Questa divisione tra numeri e risorse è oltretutto rafforzata dal fatto che la maggior parte della crescita della popolazione è concentrata in Paesi a basso reddito e in regioni ecologicamente svantaggiate".
Su questa linea si svolgerà anche il Vertice sull'Ambiente a Rio de Janeiro nel 1992, richiesto proprio dalla Commissione Brundtland. Lì i capi di Stato e di governo di oltre 170 paesi firmano l'Agenda 21 (il riferimento è al 21mo secolo) e il Piano di Azione che si fondano su due obiettivi chiari: controllare le nascite nei paesi poveri, frenare lo sviluppo dei paesi ricchi. È proprio su queste due direttrici che si innestano tutte le politiche ambientali globali attuali, incluse quelle specificamente centrate sui cambiamenti climatici. Ad esempio, il numero 5.3 dell'Agenda 21 così recita: «La crescita della popolazione mondiale e la produzione combinata con livelli di consumo insostenibili mette sotto una dura e crescente pressione le capacità del nostro pianeta di sostenere la vita».
È per questa concezione negativa dell'uomo che la Chiesa ha fin dall'inizio respinto l'uso del concetto di sviluppo sostenibile. Basti pensare a un documento del 1994, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, "Dimensioni etiche e pastorali delle tendenze demografiche": «Secondo questa corrente di pensiero - afferma il documento al no. 24 -, il controllo delle nascite è la pre-condizione indispensabile per lo sviluppo sostenibile dei Paesi poveri. Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo dove i diversi fattori (cibo, salute, educazione, tecnologia, popolazione, ambiente, ecc.) sono armonizzati in modo da evitare una crescita sbilanciata e uno spreco di risorse. I Paesi sviluppati definiscono per gli altri quello che deve essere, dal loro punto di vista, sviluppo sostenibile. Questo spiega perché certi Paesi ricchi e importanti organizzazioni internazionali vogliono aiutare questi Paesi, ma a una sola condizione: che accettino programmi per il sistematico controllo delle nascite». [...]
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