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Dopo un ingresso trionfale sul palco dell'Ariston per la settantesima edizione del Festival di Sanremo, Benigni ha spiegato di voler dedicare il suo monologo a un libro della Sacra Scrittura: il Cantico dei Cantici. In quel momento la metà degli spettatori ha iniziato ad annoiarsi per partito preso, il resto del pubblico si è annoiato nei successivi secondi per le banalità e le falsità esposte dal comico toscano.
Benigni ha spiegato di aver scelto il Cantico dei Cantici perché non c'è niente di meglio, in un festival della canzone, che parlare della "canzone delle canzoni" (che infatti in inglese si dice Song of the Songs). «Mi sono messo a cercare la canzone più bella che sia mai stata fatta. Alla fine l'ho trovata: è la canzone delle canzoni. È il Cantico dei Cantici che sta nella Bibbia».
Fin qui tutto perfetto. Di per sé l'idea di introdurre un libro della Bibbia in uno spettacolo mondano come il Festival di Sanremo può apparire di certo audace, ma Benigni non smentisce le aspettative e riesce, col suo monologo, a trasformare il Cantico dei Cantici (una vera perla letteraria, come lui stesso afferma) in nient'altro che un inno all'amore carnale. Come se il pubblico dell'Ariston avesse bisogno della Bibbia (e di Benigni) per trovare il coraggio di fare sfoggio delle proprie fantasie sessuali.
In pochi minuti Benigni riesce con la sua tipica parlata entusiasta ed entusiasmante a ridurre il testo biblico a un manifesto del sesso libero, perché - afferma - l'invito è rivolto «a tutte le coppie che si amano, gli uomini con le donne, le donne con le donne, gli uomini con gli uomini...». Per Benigni, dopo aver ascoltato il Cantico dei Cantici, il pubblico avrebbe dovuto rispondere con una grande orgia sul palco di Sanremo: «Io sarei per metterci qui tutti quanti, e fare l'amore, qui sul palco, anche l'orchestra... sarebbe una serata bellissima». Perché «siamo nati per l'amore e per fare l'amore», e l'amore è un «frammento di infinito», uno strumento per raggiungere l'immortalità.
UNA LETTURA PERSONALE E FUORVIANTE
Secondo il comico, il CdC è entrato per sbaglio nel canone biblico, in un momento di "distrazione" dei teologi (sic!) i quali - sostiene Benigni - «ce lo volevano togliere» per paura del messaggio d'amore che trasmette. Certo, perché dopo tanto sangue e violenza, dopo tante guerre e assassini, l'Antico Testamento trova finalmente l'amore nel Cantico dei Cantici che sarebbe dunque - a dire di Benigni - il libro «più importante della Bibbia». Inoltre potrebbe essere stato scritto da una donna, il che tradirebbe secoli di misoginia espresse dalla cristianità. Per neutralizzare e tenere nascosto il potente messaggio di amore (umano e sessuale) contenuto nel CdC, la Chiesa, imbarazzata, avrebbe inventato le interpretazioni allegoriche, per ingannare i lettori e distoglierli dal significato prettamente sessuale del testo; per questo si è cominciato a dire che il libro parlava simbolicamente «dell'amore tra Dio e la Chiesa». Fin qui Benigni.
Una lettura del tutto personale di un testo che - in quanto Parola di Dio, testo sacro per milioni e milioni di persone - avrebbe meritato un minimo di rispetto e di preparazione. Un testo che avrebbe tanto da dire agli uomini e alle donne di oggi, se solo non si lasciassero catechizzare da qualsiasi improvvisato esegeta. È vero che il CdC rivela chiaramente una verità che molti, nella loro ignoranza e malafede, faticano a credere: ossia che Dio benedice l'amore umano, anche quello carnale (leggere la storia biblica di Tobia e Sara). Di conseguenza anche la religione ebraica e il cristianesimo, nonostante le accuse di sessuofobia, hanno da sempre considerato l'amore umano e l'atto sessuale tra l'uomo e la donna come un evento sublime, in cui - nel dono reciproco e totale di sé - gli uomini collaborano all'opera creatrice di Dio. Nessuna strabiliante novità, nessuna nuova scoperta, dunque.
NESSUNA ANOMALIA
Altro errore di Benigni è quello di considerare il CdC un'anomalia all'interno della Bibbia. In primo luogo sposando il pregiudizio (che giustamente non rende contenti i fratelli ebrei) secondo cui l'Antico Testamento sarebbe un libro horror, pieno di cattiveria, violenza, guerre, infedeltà, assassini, massacri e altre terribili disgrazie. Leggendolo, si scopre invece che si tratta di una storia di salvezza, di alleanza, di amore, di promesse e di fedeltà (in risposta all'infedeltà). Una storia stupenda di cui andare fieri e non un libro da addomesticare con imbarazzo. Il CdC non è dunque un'anomalia. Forse lo è dal punto di vista letterario, [...] ma dal punto di vista dei contenuti si inserisce perfettamente in un contesto, quello biblico, che dà ampio spazio al tema dell'amore, umano e divino. L'amore sponsale come paradigma dell'amore di Dio per il Suo popolo è infatti uno dei filoni che percorre trasversalmente le Scritture, dalla Genesi all'Apocalisse di San Giovanni (e di cui il libro di Osea è un esempio eclatante, mediante un'interpretazione sponsale dell'alleanza).
Non un'anomalia, dunque, ma un poema d'amore che canta l'incontro e il legame inscindibile tra Dio e la Sua sposa, Israele, tra Cristo e la Chiesa, tra il Creatore e ogni amina umana. L'amato e l'amata come cantava il mistico Giovanni della Croce. L'interpretazione allegorica non è dunque frutto dell'imbarazzo o del timore di fronte a un messaggio "dirompente", ma nasce con il testo stesso: il CdC è il compimento delle promesse, il vino nuovo annunciato dai profeti, la Gerusalemme Celeste cantata da Tobia, la Terra Promessa vista da Mosè. Ridurre il CdC a un'anomalia, a una (in)felice svista dei teologi, è una deformazione della realtà frutto di una decontestualizzazione del testo e di una lettura superficiale dell'opera.
Infine, utilizzare la Bibbia per sventolare la bandiera arcobaleno, beh... questo si poteva di certo evitare, perlomeno per un fatto di rispetto, non tanto verso i fedeli (che non cambieranno idea né scenderanno in piazza per una lezioncina di pochi minuti) quanto verso sé stessi, poiché un altro oratore avrebbe evitato una così spudorata strumentalizzazione a fini politici del testo sacro.
Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "Sanremo, è il festival del cristianesimo calpestato" spiega come mai dopo Roberto Benigni, Achille Lauro e Fiorello al Festival di Sanremo la religione cristiana ne esce svilita, vilipesa e falsificata.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 8 febbraio 2020:
Agatha Christie ebbe a dire una volta: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». I nostri tre indizi, trovati lungo le serate del Festival di Sanremo, hanno altrettanti nomi: Roberto Benigni, Achille Lauro e Fiorello. I tre indizi provano che... ve lo sveliamo dopo.
Iniziamo da Roberto Benigni che ha recitato e prima spiegato il Cantico dei Cantici. [...] Benigni ci spiega che il Cantico ha destato sempre molto imbarazzo in ambito ecclesiale e dunque per occultarne il vero significato lo hanno rivestito di significati simbolici. In realtà è tutto molto più semplice: Dio ha creato l'uomo e la donna attratti naturalmente l'uno verso l'altra. Una realtà, quella della sessualità, dunque buona agli occhi della Chiesa. Non è dello stesso avviso il Roberto nazionale quando dichiara che «l'amore fisico veniva considerato come il più grave dei peccati», precipitando così nei soliti stereotipi anti ecclesiali. L'attrazione tra i due amanti nel Cantico dei cantici assume significati polivalenti: è la celebrazione dell'amore umano, ma anche divino. Se siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, anche nell'attrazione sessuale si riverbera questa somiglianza. E così illustrare il mutuo desiderio di due giovani serve per spiegare il legame sponsale di Cristo con la Sua Chiesa, l'unità della Santissima Trinità, il desiderio della nostra anima di congiungersi con Dio e molto altro: una cosa non esclude le altre.
Inoltre per Benigni un'altra fonte di imbarazzo sta nel fatto che nel Cantico la protagonista è una donna. Il solito cliché della Chiesa misogina, proprio lei che riconosce in una donna - Maria - la più perfetta tra tutte le creature. Ma a monte viene da rispondere al comico toscano: se la Chiesa fosse stata imbarazzata dal Cantico, perché, a suo dire, libro «inaudito, scandaloso», non faceva prima a non inserirlo nella Bibbia? [...]
Secondo indizio: la performance di Achille Lauro che canta "Me ne frego", però senza accenti fascisti. Il cantante, dopo qualche battuta musicale e altrettanti inciampi nell'intonazione, si spoglia di una lunga veste damascata e rimane con un costumino paillettato color carne alla baywatch che impietosamente aderisce alle sue non avvenenti grazie. Il rimando implicito è a San Francesco quando si spogliò davanti al padre, rinunciando ad ogni avere.
Terzo indizio già da noi analizzato qualche giorno fa (clicca qui): Fiorello vestito da sacerdote che apre il Festival.
Come si diceva poc'anzi, i tre indizi fanno una prova: il tema religioso serve per costruire presentazioni, monologhi e performance musicali. In tutti e tre i casi però la religione cristiana ne esce svilita, vilipesa, strumentalizzata, falsificata e derisa, però - si badi bene - senza cattiveria, senza malanimo. Ma per quale motivo così tanto interesse per le tematiche religiose?
Proviamo ad azzardare qualche risposta. In primo luogo perché è necessario scandalizzare altrimenti passi inosservato. E quindi o ti spogli o parli male/irridi qualcuno o qualcosa (Achille Lauro ha puntato su entrambi i tavoli da gioco). Se spari contro i cattolici vai sul sicuro dato che questi, nella maggior parte dei casi, ti applaudiranno. Nella migliore delle ipotesi ripeteranno belanti i soliti ritornelli: bisogna trovare del buono anche in chi ci critica, occorre aprirsi al dialogo e al confronto e via sbadigliando. Il cecchinaggio del cattolico è pratica venatoria quasi obbligatoria perché tutte le altre specie faunistiche sono ormai protette: il povero, la donna, l'extracomunitario, l'appartenente ad altre religioni, il disoccupato, il sovrappeso, il politico di sinistra. Inoltre questi sono individui in genere irascibili. Il cattolico è invece animale mite che si fa catturare senza problemi. Gli butti lì un'esca avvelenata al sapore della solidarietà o della condivisione e il gioco è fatto.
In secondo luogo l'assenza nella società del fatto religioso fa da contraltare alla presenza dello stesso sul palco dell'Ariston. Vogliamo dire che il vuoto di fede offre l'occasione per svaligiare indisturbati i tesori preziosi del cattolicesimo e portarseli via. Così come quando i padroni di casa sono usciti e i ladri ne approfittano per rubare. Lasciati abbandonati per strada, come un cane in autogrill quando si parte per le vacanze, la dottrina, i sacramenti, la storia cristiana, le tradizioni di fede, i principi morali ecco che il primo Fiorello o Achille Lauro che passa li prende e ne fa quello che vuole. Sta a noi custodire i gioielli di famiglia, presidiarli a costo della vita.
In terzo luogo il dileggio a danno del cattolicesimo nasce dall'ignoranza che si presenta con due volti. Il primo volto è quello dell'ignorante cattolico che non conosce le ragioni della fede e della morale e quindi pur credendo in alcuni principi non riesce a difenderli. Ne consegue che ad ogni attacco batte in ritirata e si rifugia in un atteggiamento remissivo. Il secondo volto è quello dell'ignorante a tutto tondo, cioè di colui che ignora le verità cattoliche e dunque non solo non le difende, ma rema contro, ossia disprezza e plaude chi, come lui, disprezza.
Ultima motivazione per spiegare questa moda di pescare nel sacro che è fiorita sul palco di Sanremo: il cattolicesimo così come viene presentato dalla maggioranza degli uomini di Chiesa ha la consistenza di una pappetta per anziani senza dentiera, un insieme di fervorini sbiaditi, incolori e soprattutto prevedibilissimi, oppure una storiella puerile, quasi fiabesca, già risibile di suo (figuriamoci nelle mani di un comico). Se dunque l'identità pubblica del cattolicesimo è così priva di nerbo, così indefinita e scialba, così malleabile, diventa facile per chiunque usarla a proprio piacimento, trasformarla, come una barbapapà, in ciò che si desidera: uno sketch per Fiorello, un monologo un po' spinto per Benigni, una performance naturista per Lauro.
Si obietterà: colpa solo dei cattolici se accade tutto ciò? Ovviamente no, il mondo fa la sua parte, ma chi non crede logicamente porta l'acqua al mulino del relativismo, del secolarismo e di altri ismi. Insomma, ci dobbiamo stupire che Fiorello si vesta da prete e Benigni offra una lettura laica della Bibbia?
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