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Mercoledì 27 aprile la Corte Costituzionale ha definito illegittime le norme che attribuiscono al figlio di una coppia il cognome del padre in modo automatico. Per dare al figlio soltanto il cognome paterno d'ora in poi sarà necessario che entrambi i genitori siano d'accordo. Questa notizia non deve stupirci.
Già in moltissimi paesi europei vigevano leggi simili, se non ancora più estreme. In Spagna vengono dati entrambi i cognomi. Nei Paesi Bassi si attribuisce di comune accordo uno dei due cognomi. In Germania, Svizzera, Grecia, Ungheria, Romania e Croazia viene assegnato ai figli il cognome scelto dai genitori per tutta la famiglia. In Francia e in Belgio si possono assegnare entrambi i cognomi in ordine alfabetico. Addirittura in Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Austria viene attribuito automaticamente il cognome della madre dall'anagrafe, a meno che si dia indicazione della propria scelta. In Lussemburgo siccome sono più indecisi fanno un sorteggio.
Quindi la legge attualmente vigente in Italia non è un caso isolato, ma è parte di un processo di revisione del ruolo della donna all'interno della famiglia che ha colpito tutto l'Occidente. Si dice infatti che una volta la famiglia avesse uno stampo esclusivamente patriarcale: il padre veniva chiamato capofamiglia ed era lui che decideva tutto, mentre la donna era relegata al ruolo di serva del marito, alla cura dei figli e alle faccende domestiche. In quest'ottica il fatto di dare anche il cognome della donna non è impuntarsi per una cosa da niente, ma è un segno del nuovo ruolo assunto dalla donna all'interno della famiglia.
Se una femminista mi esponesse così le motivazioni del dare anche il cognome materno al figlio gli direi che ha ragione, eccetto che nella soluzione. È verissimo che dare il cognome materno al figlio non è una quisquilia burocratica, ma rivoluziona sostanzialmente il ruolo della donna. Il problema è che il vecchio ruolo che aveva la donna nella famiglia andava benissimo e quello nuovo storpia la sua natura. Permettere alla donna di dare il cognome ai propri figli è l'ennesimo passo avanti nella decostruzione del ruolo del padre e del maschio e del conseguente crollo della famiglia. E questo va a scapito anche della donna. È insomma un ulteriore passo avanti di questa ideologia cieca nei confronti della realtà. Sì, sto parlando di realtà perché dare il cognome del padre al figlio (e anche alla moglie) non è una convenzione sociale che può essere cambiata perché risolve i problemi dati dalla realtà biologica. Infatti il cognome del padre risolve l'incertezza della paternità per i figli e, se proprio vogliamo dirla tutta, la moglie dovrebbe portare il cognome del marito a sua maggior garanzia.
IL COGNOME DEL PADRE PER I FIGLI
Nel nostro DNA ci sono scritti due bisogni fondamentali: quello di sopravvivere e quello di riprodurci. Per questo esistono l'istinto alla sopravvivenza e quello dell'accoppiamento sessuale. In questo caso ci interessa il secondo. Noi ci riproduciamo perché istintivamente desideriamo trasmettere i nostri geni alla generazione futura. Non ci basta che la specie umana si riproduca, ma ogni individuo desidera che siano i suoi geni ad essere portati avanti. Traducendo in un linguaggio contemporaneo: non ci basta sapere che qualcuno faccia sesso, ma vogliamo essere noi personalmente a farlo. E siccome la natura mette un piacere dove ci realizziamo, noi ci realizziamo trasmettendo i nostri geni alla generazione futura.
Pensiamo agli animali che, pur di accaparrarsi le femmine per potersi riprodurre, sono disposti a lottare fino all'ultimo sangue. Quindi è interesse di ogni maschio, animale o umano che sia, far sì che sia solo lui a generare figli dalla sua femmina e nessun altro. Altrimenti starebbe sprecando le sue risorse e le sue energie per mantenere i figli del suo rivale: oltre al danno la beffa! I latini spiegavano questo concetto dicendo: "Mater semper certa, pater numquam". Da qui capiamo l'esigenza del padre di imporre il cognome: così facendo lo riconosce come suo e si impegna a mantenerlo e proteggerlo. Da questo discende che il bambino entra a far parte della famiglia del padre, è sottomesso alla sua potestà e per questo ottiene il diritto ad essere mantenuto dal padre, il diritto all'eredità e a tutte le cose che sono dovute ad un figlio. Diversamente no. Infatti ogni vero diritto nasce da un dovere e il diritto ad essere mantenuto dai genitori nasce dal dovere di stare sottomesso a loro.
Dai ragionamenti fatti sul cognome paterno si può capire che questa non è una rivendicazione fine a sé stessa, ma deriva dal fatto che è l'uomo a esercitare il ruolo di capofamiglia con tutto il carico di responsabilità che esso comporta: se la famiglia va male o patisce la fame è colpa sua.
Comprendiamo quindi come imporre il nome o il cognome è un gesto dalla portata grandissima. Dare il nome infatti è sempre stato un atto di autorità. Pensiamo nei vangeli a quando Gesù cambia il nome a Simone, che da quel giorno si chiamerà Pietro. In questo modo Gesù aveva affermato di avere il potere su di lui. Era Gesù che comandava e Pietro obbediva. La stessa cosa deve succedere in famiglia. Il padre infatti deve prendersi la responsabilità di mantenere e difendere la famiglia e per questo motivo è lui che ha il diritto, ma anche il dovere di comandare. Se per non prendersi la responsabilità scaricasse sulla moglie l'onere di decidere, verrebbe meno a un suo preciso dovere.
Diversamente da quello che in genere si crede, in famiglia non si può decidere in due. Non è possibile che siano entrambi i genitori a comandare, ma deve essercene uno che ha l'ultima parola. Ogni realtà ordinata ha una e una sola guida. Pensiamo ad una azienda, una squadra di calcio, uno stato ecc. Se ci fossero due persone a comandare nel momento in cui si trovassero in disaccordo ci si bloccherebbe. Inoltre credere che l'accordo sia sempre possibile a condizione di parlarne abbondantemente è un'illusione tutta femminile. Se in una famiglia vi dicono che comandano tutti e due in realtà ci sarà sempre uno che ha l'ultima parola. E se l'uomo ha abdicato dal suo ruolo di capofamiglia per "decidere insieme", state sicuri che, quando si troverà in disaccordo con la moglie, farà un ulteriore passo indietro e lascerà decidere a lei trasformandosi piano piano in un'ameba. E chi dei due debba comandare ce lo indica la natura: all'uomo viene donata maggior forza fisica e maggior logicità nel ragionamento proprio per adempiere a questo compito. Alla donna invece viene data una maggior sensibilità ed emotività che le permettono di svolgere meglio il suo compito di cura nei confronti del marito, dei figli e, di conseguenza, della loro casa. Una donna affezionata a suo marito farà dei gesti di amore che a lui non sarebbero mai venuti in mente.
IL COGNOME DEL MARITO PER LA MOGLIE
Quindi, come conseguenza di tutto quello che è stato detto facciamo un passo ulteriore: non solo i figli devono avere il cognome del padre, ma anche la moglie dovrebbe prendere il cognome del marito. Infatti il cognome indica la persona a cui sei soggetto. Finché vivi in casa con i tuoi genitori è a loro che sei soggetto e sono loro che ti proteggono e ti mantengono. Quando invece vai a vivere con il tuo marito è lui che prende su di sé il dovere di mantenerti e di proteggerti e ti accetta nella sua famiglia: per questo è giusto che la donna porti il cognome del marito. Questa cosa è magnificamente spiegata quando Gesù istituisce il sacramento del matrimonio, ribadendo l'insegnamento originario di Dio sulla sessualità. Ad un certo punto Gesù dice, citando quello che Dio aveva detto ad Adamo ed Eva: "Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne". Fate bene attenzione alle parole: l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre. Perché non dice che anche la donna li abbandonerà? Perché la donna non abbandona nessuna sicurezza. L'uomo infatti abbandonerà la sicurezza della casa paterna e diventerà responsabile della sua vita. La donna no. La donna passerà dalla protezione dei suoi genitori a quella del marito. Non sarà in nessun momento abbandonata a se stessa. E il cambio di cognome dopo il matrimonio esprime proprio questa realtà: io porto il cognome di colui che mi protegge, di chi ha la responsabilità su di me.
Persino Hilary Clinton porta il cognome del marito Bill, ex presidente degli Stati Uniti, in quanto deve tutta la sua carriera politica a lui. E non si può certo dire che la Clinton sia antifemminista, anzi. Stesso discorso per Ursula von der Leyen, attuale presidente della Commissione europea. Il suo cognome è in realtà quello del marito.
In conclusione dobbiamo augurarci che un giorno le donne possano tornare a capire che la loro realizzazione non passa dal competere con l'uomo su chi ha il potere, ma riconoscano il loro ruolo naturale nella cura della famiglia. L'uomo invece non deve farsi da parte per una falsa umiltà che in realtà è sovvertimento degli incarichi naturali voluti da Dio e deresponsabilizzazione per il maschio, ma ritorni ad essere il re della sua famiglia che da lui prende il cognome.
DOSSIER "IL COGNOME DEL PADRE"
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