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La pagina evangelica offertaci dalla Chiesa in questa domenica presenta alla nostra attenzione due quadri distinti: nel primo è raffigurata la solitaria, prolungata preghiera di Gesù sul monte; nel secondo vediamo i discepoli che in una fragile barca lottano contro il vento e la tempesta. Due scene molto diverse: una di contemplazione e di pace e una di fatica e di paura, ciascuna col suo dono e col suo insegnamento.
IRRINUNCIABILE BINOMIO: PREGHIERA E IMPEGNO OPEROSO
Salì sul monte, solo, a pregare. È una annotazione frequente nella narrazione evangelica, che sottolinea spesso come Gesù ricercava sempre, entro la sua giornata affaccendata, uno spazio per un po' di solitudine orante. La scorsa domenica abbiamo visto come il Signore, prima dell'episodio della moltiplicazione dei pani, si era ritirato in disparte, in un luogo deserto. Adesso, dopo che la folla si fu saziata, si allontana anche dagli apostoli per abbandonarsi da solo a una prolungata preghiera, che va dal tramonto fino verso la fine della notte. È per lui un'abitudine, una necessità si direbbe, di non lasciar passare giorno, per quanto intenso di lavoro a vantaggio degli altri, senza trovare un po' di tempo nel quale intrattenersi in modo totale col Padre. È sufficiente riflettere su questa condotta del Figlio di Dio per cogliere tutta la vuotezza e l'inconsistenza di molte opinioni correnti a proposito della preghiera; opinioni che possono sembrare a prima vista geniali e non conformiste, e sono soltanto il prodotto di spiriti che vivono in superficie e non sanno amare; opinioni dalle quali, poco o tanto, siamo influenzati tutti. Si dice qualche volta: la vera preghiera consiste nel far del bene agli altri, nel faticare con animo retto; basta fare il proprio dovere, esercitare la carità, impegnarsi per la giustizia. Ebbene, a Gesù non bastava. Tutta la sua vita era una laboriosa donazione ai fratelli; eppure egli non riteneva che fosse completa, senza questo colloquio segreto, appassionato, lungo col Padre. Certo, chi passasse tutto il tempo a pregare e poi non facesse il proprio dovere o si dimenticasse di aiutare gli altri, non sarebbe nel giusto e ci sarebbe da dubitare della autenticità della sua stessa orazione. Ma non è nel giusto neppure chi si dimentica di adorare, di ringraziare, di implorare il suo Creatore. Le due cose, come si vede, non solo non si escludono, ma si richiamano necessariamente in un retta esistenza cristiana. Si dice anche: io posso pensare sempre a Dio, anche durante le mie normali occupazioni. Tutta la mia giornata diventa così una preghiera, senza che sia indispensabile dedicare uno spazio esclusivo alle pratiche religiose. Ma l'esempio di Cristo mette in luce la vanità anche di questa seconda opinione. Siamo sinceri: le persone che ci interessano veramente, un po' di tempo per sé ce lo prendono. Se Dio non ci prende neppure dieci minuti al giorno, neppure un'ora alla settimana, vuol dire che non è tra quelli che contano per noi, vuol dire che è posto ai margini della nostra vita, vuol dire che non siamo capaci di un po' d'amore per lui.
PREGHIERA INDIVIDUALE E PREGHIERA COMUNITARIA
In questi anni qualcuno ha insegnato che l'unica vera preghiera è quella comunitaria, mentre l'orazione individuale sarebbe un modo intimistico, sentimentale e dunque non autentico di pregare. Abbiamo visto che Gesù non è di questo parere. Egli prega insieme coi suoi apostoli, partecipa ai riti della sinagoga, si associa al culto ufficiale del suo popolo; ma desidera anche pregare appartato, nel silenzio della campagna deserta e delle cime dei monti, con la libertà di espressione che è propria di ogni spirito aperto, ricco, creativo. Così dobbiamo fare noi. La preghiera comunitaria è doverosa e irrinunciabile; se vogliamo che il Padre ci ascolti, dobbiamo imparare a fondere la nostra voce con quella dei nostri fratelli. Soprattutto dobbiamo imparare a partecipare tutti attivamente, consapevolmente e appassionatamente, alla preghiera liturgica, che è la voce della Chiesa (la sposa del Signore, sempre ascoltata e gradita a Dio), addirittura è la stessa voce del Cristo totale, di cui noi siamo il corpo. Ma questa non può essere la sola forma di preghiera. Anzi, essa stessa si trasformerebbe in un ritualismo senz'anima o in una manifestazione di pura fraternità umana, se ciascuno dei partecipanti non avesse anche una sua vita personale di orazione e non avesse il gusto di intrattenersi, nel segreto del suo cuore, in un rapporto suo proprio, unico,geloso, incomunicabile, con il Dio che è il centro e il senso della sua vita.
QUANDO LA NOSTRA FEDE VIENE MESSA ALLA PROVA
Passiamo al secondo quadro. Gli apostoli, che si erano imbarcati nel pomeriggio, a un certo momento sono sorpresi da uno di quegli improvvisi colpi di tempesta, che sono abbastanza frequenti sul mare di Tiberiade. E mentre scende la sera e la notte avanza con le sue angosce e i suoi incubi, lottano con tutte le forze contro la violenza delle onde, fino a che cominciano a disperarsi. Verso la fine della notte, Gesù venne verso di loro camminando sul mare. Non arriva subito. Nonostante l'urgenza che i suoi apostoli hanno di essere soccorsi, indugia molto a intervenire. Sono i ritardi di Cristo, gli inspiegabili ritardi di Cristo, che mettono a dura prova la nostra pazienza e la nostra fede. Capitano quei momenti, quando tutto sembra andare a rotoli, tutto sembra perduto, e noi abbiamo l'impressione di essere stati abbandonati. Le nostre invocazioni pare che trovino il cielo sordo o distratto. Il Signore non viene. La notte sembra non passare più e noi sentiamo che stanno per esaurirsi in noi tutte le scorte della speranza. Ma alla fine il Signore arriva. Verso la fine della notte, lui che ha detto: Ecco, io sono con voi ogni giorno, fino alla fine del mondo, si rende presente e ci rianima: Coraggio, sono io, non abbiate paura. C'è anche il comportamento di Pietro, che merita di essere considerato; Pietro, che ancora una volta appare generoso e spavaldo, entusiasta ed esitante, coraggioso fino alla temerarietà e pavido fino allo smarrimento. Il suo impetuoso desiderio di essere vicino a Gesù e di condividere con lui ogni esperienza, gli fa osare un'impresa superiore non solo alle sue forze native, ma anche alla esiguità della sua fede. E Gesù lo lascia fare; non pone limite alle sue aspirazioni, non lo trattiene entro i confini della prudenza. Così lo porta a convincersi della sua debolezza e lo aiuta a fondarsi più sicuramente sulla base dell'umiltà e della fiducia nel Signore. E alla fine lo salva. Ci riconosciamo un po' tutti in Pietro. La nostra vita e la nostra fede conoscono l'alternarsi della sicurezza gioiosa e della inquietudine, della esaltazione inebriante e del terrore che tutto si concluda con un naufragio senza ritorni. Ma non temiamo: la mano di Gesù c'è anche per noi. Anche a ciascuno di noi è rivolto il rimprovero pungente e dolce, che scuote e ridona fiducia: Uomo di poca fede, perché hai dubitato?
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
ALTRA OMELIA XIX DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 14,22-33,2)
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