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COME COMBATTERE GLI SCRUPOLI (CHE NON SONO LA VOCE DI DIO, MA DEL DIAVOLO)
La ricerca di una perfezione impossibile rende la vita cristiana logorante e spinge prima o poi lo scrupoloso ad arrendersi
di Roberto Marchesini

Oggi ci occupiamo degli scrupoli. La parola «scrupolo» deriva dal latino scrupulus, cioè sassolino. È il proverbiale "sassolino nella scarpa", ossia qualcosa di microscopico che però è fastidiosissimo e sembra enorme, gigantesco. È un problema spirituale che consiste nel sentirsi perennemente e gravemente inadempiente nei confronti delle leggi morali e religiose, dei propri doveri di cristiano. È un grosso problema psicologico che procura enormi sofferenze: ansia, inquietudine, continuo esame su pensieri, azioni e omissioni, momenti di profondo sconforto. Vediamo quindi di analizzare il problema e di proporre qualche aiuto per chi ne soffre.
Il primo e fondamentale scoglio da affrontare è la consapevolezza di avere un problema. Bisogna accettare l’idea che non si è obiettivi nel valutare se stessi, non si è in grado di fare una valutazione realistica e serena della propria persona. In una parola: si manca di umiltà. Per fare un esempio, è come se io facessi un viaggio in automobile e indossassi un paio di occhiali da sole; se mi dimentico di averli indossati, entrando in una galleria non vedrò più niente. Se, invece, sarò consapevole di indossare un paio di lenti scurenti, all’ingresso in galleria solleverò gli occhiali e potrò vedere la strada. La persona scrupolotica indossa, nel valutare se stesso, le proprie azioni e i propri pensieri, delle lenti scurenti: vede tutto più nero di come le cose sono in realtà. Se si rende conto che il mondo non è buio e oscuro, ma è il suo modo di vedere le cose, può «fare la tara», ossia prendere le distanze dalla sua opinione viziata dagli scrupoli.
Bisogna poi considerare che gli scrupoli non sono nostri amici, un aiuto per vivere cristianamente, tutt’altro: sono il nostro peggior nemico. Consideriamo le conseguenze degli scrupoli: isolamento, tristezza, sfiducia in Dio e nella Sua promessa di salvezza, omissione dei doveri di stato e, infine ma non ultimo, il peccato. Perché spesso, l’unico rimedio alla tristezza o, addirittura alla disperazione indotta dagli scrupoli, è il peccato mortale. Si capisce immediatamente, quindi, che gli scrupoli non sono la voce di Dio che parla alla nostra coscienza, ma uno strumento del diavolo che ci inganna, ci allontana dall’amore di Dio e ci conduce al peccato. Come scrive sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi Spirituali: «Il demonio osserva bene se un’anima è grossolana o delicata. Se è delicata, cerca di renderla ancor più delicata fino all’eccesso, per turbarla e confonderla maggiormente; per esempio, se vede che uno non consente né a peccato mortale né a peccato veniale, né ad alcuna ombra di peccato volontario, allora il demonio, quando non può farlo cadere in qualche cosa che sembri peccato, cerca di fargli credere peccato quello che peccato non è, come una parola o un pensiero senza importanza» (349). Restando sempre agli Esercizi, sant’Ignazio spiega (nelle regole per il discernimento degli spiriti) che gli spiriti buoni, con le loro ispirazioni, serenità e gioia; mentre inquietudine e tristezza sono gli effetti delle ispirazioni degli spiriti malvagi. Dunque, chi decidiamo di ascoltare? Il nostro angelo custode o il nostro diavolo custode?
Una volta che lo scrupolotico ha sviluppato un atteggiamento diffidente nei confronti dei propri tormenti, si può procedere limitando o eliminando i continui rimuginamenti. Non possiamo perdere intere giornate a interrogarci accanitamente su ogni pensiero, azione o omissione: abbiamo delle cose da fare, abbiamo i nostri doveri di stato, ci sono persone che hanno bisogno di noi. Anche in questo caso, è una questione di umiltà: si tratta di accettare che, in questa vita, non tutto è chiaro, definito, prima di ombre. Fa parte della condizione umana: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa» (1 Cor 13,12). Procediamo a tentoni, sforzandoci di vivere meglio possibile, ma dobbiamo accettare la nostra limitatezza. Certi che, dopo questo esilio, sempre per seguire san Paolo, «vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (ibidem). Si tratta solo di aspettare.
Occorre chiarire un punto: la tentazione non è un peccato. Sì, perché lo scrupolotico considera peccato anche le tentazioni. Bene: Gesù non ha mai commesso un solo peccato, nemmeno veniale; eppure è stato tentato (Mt 4). La tentazione è una occasione, permessa da Dio perché possiamo guadagnarci il Paradiso; se superiamo la tentazione non abbiamo peccato ma, al contrario, abbiamo guadagnato dei meriti. Dunque il punto non è se siamo stati tentati o meno, ma come ci siamo comportati nella tentazione: l’abbiamo superata oppure no?
Altro punto: il Catechismo insegna che, perché ci sia un peccato mortale, devono essere soddisfatte contemporaneamente tre condizioni: materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso (CCC 1857). La materia grave è definita dai Dieci Comandamenti; la piena avvertenza consiste nella consapevolezza che quella cosa sia un peccato; il deliberato consenso è la piena e libera adesione della volontà al compimento di un atto malvagio conosciuto come tale. Se non c’è questa libera adesione al male, non c’è peccato mortale. Giovanni Paolo II, nella sua purtroppo dimenticata Teologia del corpo, insegna che il peccato non consiste (soltanto) nell’atto ma, soprattutto, nell’intenzione. «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla [cioè con l’intenzione di desiderarla], ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28). Se, dunque, ho il dubbio di aver mancato di rispetto a Dio o alle cose sante, di aver indugiato in pensieri sconvenienti o peggio, posso chiedermi: avevo l’intenzione piena e deliberata di compiere un peccato mortale?
È fondamentale avere un confessore o un direttore spirituale (cosa, quest’ultima, sempre più difficile); ma è ancora più importante affidarsi a un confessore o a un direttore spirituale. Spiego. Molti scrupoli riguardano proprio la confessione: mi sarò spiegato bene? Avrò confessato proprio tutto? Avrò omesso qualcosa? Avrà capito bene la gravità di ciò che ho fatto? La penitenza sarà adeguata? L’assoluzione sarà valida? Eccetera eccetera. Ora: il buon Dio ha stabilito il mondo in modo ordinato; il che significa che ognuno ha il suo ruolo e le sue responsabilità. Il ruolo del confessore è confessare; quello del direttore, dirigere. È il loro compito, non il nostro. La responsabilità di chiedere delucidazioni, chiarimenti, di valutare la gravità dei peccati e di comminare una penitenza adeguata è del confessore; la valutazione dello stato spirituale e morale del diretto è del direttore. Quindi, se ci affidiamo a loro, facciamolo davvero. Lasciamo a loro la responsabilità: se sbagliano, ne risponderanno loro. O vogliamo forse saperne più di loro? E torna nuovamente il tema dell’umiltà...
Ed ecco, infine, la regola aurea: nel dubbio, non è peccato. Il bene e il male non generano dubbi: sono chiari. Se io voglio liberamente compiere una azione malvagia sapendo che è un male, non ho dubbi; se io voglio fare del bene, non ho dubbi. Se ho dei dubbi, è uno scrupolo. Quindi devo rigettarlo.

I RIMEDI
I rimedi agli scrupoli secondo il Compendio di teologia ascetica e mistica di padre Adolphe Tanquerey (1854-1932):
944. Bisogna combattere lo scrupolo subito da principio, prima che si sia profondamente radicato nell’anima. Ora il grande, anzi, a dir vero, l’unico rimedio è la piena e assoluta obbedienza a un savio direttore: oscuratasi la luce della coscienza, bisogna ricorrere ad altra luce; lo scrupoloso è come una nave senza timone e senza bussola: bisogna rimorchiarlo. (...)
945. (...) Ora con lo scrupoloso, non si deve discutere ma parlare con autorità, dicendogli nettamente quel che deve fare. Per ispirare questa confidenza, il direttore deve meritarla per competenza e premura.
946. Guadagnata la confidenza, bisogna esercitare l’autorità ed esigere obbedienza, dicendo allo scrupoloso: se volete guarire, dovete ubbidire ciecamente: obbedendo, siete pienamente al sicuro, quand’anche il direttore sbagli, perché Dio in questo momento a voi non chiede altro che di obbedire. La cosa è talmente così, che se voi non vi sentiste di obbedirmi, bisogna che vi cerchiate un altro direttore: la sola ubbidienza cieca vi potrà guarire e vi guarirà certamente.
947. Venuto il tempo, il direttore inculca il principio generale, che darà modo allo scrupoloso di disprezzar tutti i dubbi; occorrendo, lo può anche dettare in questa o altra simile forma: "Per me, in fatto di obbligo di coscienza, non c’è che l’evidenza che conta, ossia certezza tale che escluda ogni dubbio, certezza calma e piena, chiara come due e due fanno quattro; (...) fuori di questo caso, per me nessun peccato". Quando lo scrupoloso si presenterà affermando di aver commesso un peccato veniale o mortale, il confessore gli dirà: Potete giurare di aver chiaramente visto, prima di operare, che quell’azione era peccato e che, avendolo chiaramente visto, pure ci avete dato pieno consenso? Questa interrogazione chiarirà la regola e la farà capir meglio.

RICORDA
Sconfiggere gli scrupoli in 7 mosse:
1) Fai la tara a quello che pensi (non sei obiettivo).
2) Gli scrupoli sono il tuo nemico (non un tuo amico).
3) Evita i rimuginamenti.
4) La tentazione non è un peccato.
5) Se non avevi l’intenzione di fare il male, non è un peccato.
6) Affidati (ciecamente) al confessore o al direttore spirituale.
7) Se hai dei dubbi, non è un peccato.

 
Titolo originale: Il diavolo si nasconde negli scrupoli
Fonte: Bussola Mensile, maggio 2024