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OMELIA XXXI DOMENICA T.O. - ANNO B (Mc 12,28-34)
Non sei lontano dal regno di Dio
di Giacomo Biffi
 

Le letture che vengono proposte questa domenica alla nostra meditazione ci invitano a riflettere non su qualche aspetto particolare o su qualche elemento del cristianesimo, ma sulla questione fondamentale del nostro rapporto con Dio. In che cosa consiste essenzialmente la religione? Che cosa vuol dire essere religiosi?
Ci sono anche uomini non religiosi (filosofi, psicologi, sociologi) che hanno dato a questa domanda le risposte più disparate. Ma non mette conto di prenderle in considerazione: chi è stonato non può spiegarmi che cos'è la musica; chi è cieco non può venirmi a parlare dei colori; chi non ha mai amato non può cercare di farmi capire l'amore.
Ma anche gli uomini religiosi qualche volta danno a questa domanda (magari senza esplicita consapevolezza) risposte inadeguate; cioè risposte che sono anche vere, ma non colgono l'essenziale.

LE RISPOSTE INADEGUATE INTORNO AL CONCETTO DI "RELIGIONE"
1) La religione consiste negli atti di culto

La religione consiste negli atti di culto: preghiere, genuflessioni, candele, processioni, segni di croce, ecc. Certo, tutte queste cose sono o possono essere espressioni genuine del sentimento religioso.
Ma chi identifica tutta la religione con gli atti di culto, o presto o tardi finirà con l'annoiarsi, e potrà capitare che, di fronte a una prova, abbandoni lo stesso pensiero di Dio.
2) La religione consiste in precetti e proibizioni
La religione consiste nell'osservanza dei precetti, o addirittura in una serie di proibizioni: non fare questo, non fare quello.
Certo, chi è veramente in rapporto di amicizia con Dio, si sforzerà nella sua vita di rispettarne la legge. Ma chi identifica tutta la religione con una legge da osservare, presto o tardi la troverà antipatica e insopportabile: le leggi come tali non possono dare entusiasmo; nessuno si sente preso da un grande trasporto interiore per il codice della strada o il regolamento di polizia.
3) La religione consiste nel far del bene agli altri
La religione consiste nel far del bene agli altri. È quella forse oggi più diffusa, quasi come uno slogan pubblicitario. Ma è certamente insufficiente. Sarebbe una religione che lascia fuori Dio dalla vicenda. San Paolo, quasi presagendo le insipienze e le banalità del nostro tempo, ha scritto: Se dessi in pane ai poveri tutti i miei averi e non avessi la carità, non varrebbe niente.

LA RISPOSTA DI GESÙ: IL RELIGIOSO POSSIEDE LO SLANCIO DI UN AUTENTICO INNAMORATO
Gesù nella pagina evangelica che abbiamo ascoltato ci dà la risposta vera ed esauriente di questo problema.
Amerai. La religione è essenzialmente amore, cioè slancio interiore, dedizione dell'animo, adesione di volontà, offerta totale di se stessi, fedeltà senza limiti e senza condizioni.
Il rapporto religioso è dunque nella sua verità profonda un innamoramento: chi non lo ha capito, non ha capito della religione neppure l'inizio.
Amerai il Signore Dio tuo... amerai il prossimo tuo. Sembrano due forme di amore, e invece è un amore unico, perché il prossimo è l'immagine di Dio, la sua presenza visibile accanto a noi, la gloria del Creatore. Ma i due termini (Dio e il prossimo) devono essere considerati e voluti insieme, senza esclusioni e senza che nessuno dei due possa restare sottinteso.
Chi amasse Dio e non incarnasse quest'amore nell'attenzione ai fratelli, illuderebbe se stesso: probabilmente si tratterebbe, più che di amore di Dio, di un puro compiacimento di sé, di culto del proprio "io", camuffato da religione.
E chi dicesse di voler risolvere tutto il suo amore per Dio nel far del bene agli altri, mostrerebbe di non capire la natura e le leggi dell'amore: nessun amore vero si accontenta delle immagini, delle rappresentazioni, delle trasposizioni; se si ama sul serio qualcuno, si desidera esprimergli il proprio affetto anche e soprattutto direttamente, personalmente, senza intermediari.
Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza. Proprio perché Dio è colui che è tutto, che è sempre vivo, che è l'unico Signore, l'amore per lui non sopporta riserve e attenuazioni. Su questo punto abbiamo forse tutti bisogno di esaminarci.
Non si può amare Dio quando tutto va bene e ribellarsi contro di lui quando le cose vanno male.
Né, al contrario, ci si può ricordare di lui solo quando abbiamo qualcosa da implorare e dimenticarsi di lui quando si è tranquilli e senza fastidi.
Non si può riservare il culto di Dio agli anni svigoriti della vecchiaia, né relegarlo in quelli inesperti della fanciullezza. "Tutto" e "sempre": queste sono le parole che convengono al nostro amore per lui.
Se Dio c'è, deve avere un posto nella nostra vita; un posto sicuro, che non sia in balìa dei nostri cambiamenti di umore; un posto che sia il primo.
Il che significa che tutto nella nostra esistenza deve essere orientato a lui e ispirato da lui: la gioia, il dolore, il divertimento, il lavoro, l'amore, la lotta, la morte. Tutto ha per noi un senso, se è un camminare verso di lui e una ricerca continua della sua volontà.
Insomma, la religione consiste nel capire - veramente e vitalmente - che "egli è l'unico e non ve n'è altri all'infuori di lui".
Se lo capiremo in modo serio e fattivo, meriteremo di ascoltare anche noi l'elogio che Gesù fa allo scriba che l'aveva interrogato: Non sei lontano dal Regno di Dio.

SOLO CONTEMPLANDO LA PASSIONE REDENTRICE POSSIAMO IMPARARE AD AMARE DIO
È possibile amare Dio così? Se noi fossimo stati lasciati a noi stessi, prigionieri della povertà del nostro cuore, questa sarebbe un'impresa disperata.
Ma Dio ci ha amati per primo, e amandoci ci ha allargato il cuore e ci ha posti in condizione di rispondere al suo imprevedibile affetto.
Dio ha tanto amato gli uomini da dare il suo Figlio unigenito, il quale è venuto in mezzo a noi, fatto uno di noi, e ha dato la misura della sua carità "offrendo se stesso": ha provato il suo amore con la sua inenarrabile sofferenza.
Il segreto che ci consente di avere e di mantener vivo l'amore per il Signore Gesù, è la contemplazione di ciò che lui per amore ha voluto patire.
Contemplare la "via della croce", fissare i nostri occhi e la nostra anima sui vari momenti della passione redentrice, questo è il grande mezzo, escogitato dalla pietà cristiana, per imparare ad amare. Noi abbiamo davanti le diverse tappe di questa strada insanguinata, raffigurate e ripresentate dal magistero di una grande arte: ripercorriamole nella fede.
È dunque, per così dire, una scuola d'amore quella che stasera si inaugura in questa chiesa. Il voto che esprimiamo e la preghiera da innalzare a Dio è che questa scuola non manchi mai di alunni appassionati e fedeli.

Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.

 
Fonte: Stilli come rugiada il mio dire