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STORIA DELLA INFINITA GUERRA ARABO-ISRAELIANA
Le verità taciute su Gerusalemme dai tentacoli ideologici dei mass-media in favore della Jihad islamica dei terroristi di Hamas, del leader turco Erdogan e dello sciita iraniano Khamenei
di Luca Della Torre
 

Uno dei rischi più gravi che minano le relazioni internazionali politiche di questo avvio di millennio è l'opera di dis-informazione e mistificazione dei fatti della Storia che, come nella Fattoria degli animali di George Orwell, mira ad instaurare un sistema di pensiero unico totalitario in nome di un'ipocrita distorsione dei concetti di libertà e di democrazia.
La guerra arabo-israeliana ce ne offre un esempio ed è necessario ripristinare i recinti di una verità storica e di una interpretazione storiografica che non si lasci appannare la mente dai tentacoli ideologici che i mass-media propinano al lettore con doloso opportunismo.
I violenti scontri armati che divampano in tutto Israele e nelle Striscia di Gaza sono nati per il minacciato sfratto di famiglie palestinesi da parte dei proprietari ebraici di abitazioni nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, il cui suolo fu acquistato già nel lontano 1870 da sudditi ebrei dell'Impero ottomano. La propaganda ideologico-religiosa di tutto il mondo arabo ed islamico - perennemente litigioso ed in conflitto nel proprio seno tra fedi sunnita e sciita, arabi ed iraniani, organizzazioni terroristiche istituzionalizzate come Hamas e Hezbollah, monarchie assolute e populismi totalitari della Fratellanza Musulmana - si è immediatamente ricompattata in un refrain che a livello di cancellerie internazionali, UE ed ONU, è tristemente noto: Israele è uno Stato che si macchia di crimini contro l'umanità e deve essere sottoposto alla macchina della giustizia penale internazionale.
Dalla striscia di Gaza, sotto il governo del movimento terroristico di Hamas (si consideri che la stessa mitissima Unione europea ha da anni riconosciuto come terrorista l'organizzazione politica palestinese che amministra Gaza) piovono migliaia di razzi - più di millecinquecento ad oggi - sul territorio di Israele; il leader turco Erdogan, autentica palla al piede della diplomazia NATO in quanto promotore della aggressiva strategia politica neo-ottomana pan-turanista e pan-islamica, definisce pubblicamente gli Ebrei «terroristi senza pietà»; la Guida Suprema del regime teocratico sciita iraniano Khamenei dichiara che Israele non è un Paese, ma un rifiuto della storia, e come tale va eliminato dalla faccia della terra. In sostanza, l'intera Jihad islamica - quel filone di pensiero politico religioso da cui sono sorte tutte le cellule terroristiche che hanno seminato il sangue in Europa in questi anni - si è ricompattata e mobilitata contro il diritto di Israele ad essere riconosciuto e tutelato nella sua esistenza ed integrità territoriale come previsto dai pilastri giuridici del diritto internazionale, artt.2, 42, 51, 55 dello Statuto dell'ONU.

ALCUNI PUNTI FERMI
Alla luce di questo quadro drammatico, è bene che alcuni punti fermi - sotto il profilo storico-giuridico del diritto e delle relazioni internazionali - siano rammentati e puntualizzati.
Nel 1948, dopo che l'Onu stabilisce concordemente con la Risoluzione 181 la partizione della Palestina - per secoli parte del territorio dell'Impero ottomano - in due Stati sovrani (con l'assenso unanime sia degli USA che dell'URSS, sia dei Paesi occidentali che di quelli della Cortina di Ferro, dell'Africa e del Sud America, con la sola eccezione dei membri della Lega Araba), gli Stati arabi violano il patto internazionale ONU, e attaccano le forze ebraiche, che nonostante l'inferiorità numerica salvano i territori assegnati al popolo ebraico e costituiscono lo Stato di Israele. Nel corso di quel primo conflitto gli Arabi si resero responsabili di crimini perseguibili dal Diritto Internazionale umanitario e dei conflitti armati: gli storici ben conoscono le vicende della deportazione dei cittadini ebrei dai quartieri di Gerusalemme, e l'espropriazione delle loro case dal quartiere di Sheihk Jarrah in particolare; la totale distruzione dei cimiteri ebraici della Valle di Cedron ad opera dei carri armati della Giordania, che per sfregio con i cingoli schiacciarono tutte le lapidi funerarie; la loro utilizzazione come manto stradale lungo il Monte degli Ulivi a Gerusalemme.
Nel 1967 le forze armate corazzate dei Paesi della Lega Araba si ammassano ai confini del territorio israeliano, circondando dalla Siria al Libano, dall'Egitto all'Arabia Saudita Israele: una condotta che secondo la Risoluzione 3314 dell'ONU rientra nelle fattispecie di aggressione ai danni di uno Stato e autorizza quindi il ricorso alla legittima difesa ex art.51 della Carta ONU: ne scaturirà la guerra dei Sei Giorni, come verrà ricordata, in cui l'esercito israeliano guidato dal generale Moshe Dayan, sbaragliò i Paesi arabi, riunificò Gerusalemme conquistando la Città Vecchia con il Muro del Pianto, ed entrò in possesso - al fine di garantire un "cuscino di difesa" dei territori israeliani di fronte alle ripetute aggressioni arabo islamiche - anche della Cisgiordania, parte della Giordania fra il 1948 e il ‘67, della striscia di Gaza, parte dell'Egitto, oltre che delle alture del Golan in territorio siriano.

UNA PERENNE AZIONE TERRORISTICA ALIMENTATA DAI PAESI ARABI
Nel 1973 ancora una volta - con un atto di guerra in violazione dell'art. 2 dello Statuto ONU - gli Stati arabi islamici attaccano Israele di sorpresa durante la festività "dello Yom Kippur": il generale Ariel Sharon rovescia le sorti del conflitto con un'audace offensiva e conquista l'intera penisola egiziana del Sinai.
Nel 1982, dopo i ripetuti attacchi dal sud del Libano da parte dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) capeggiata da Yasser Arafat, che ha fatto di Beirut la sua base, destabilizzando totalmente il Paese grazie all'uso politico dei campi profughi palestinesi, Israele invade il Paese dei cedri. Fino al 2000 Israele manterrà la sua presenza in quei territori, a causa della perenne azione terroristica filopalestinese alimentata dai Paesi arabi.
Siamo agli anni delle cosiddette "Intifade", guerriglie molto invasive sotto il profilo militare, short acts of war in diritto internazionale, in cui l'odio delle popolazioni arabe islamiche verso l'esistenza di Israele come Stato sovrano è alimentato da una propaganda ideologica sempre più giustificata dal valore religioso della Jihad, della guerra santa islamica.
È questo l'acme della inaffidabilità diplomatica e della inadeguatezza politico culturale del mondo arabo e palestinese in particolare, nel gestire pacificamente le relazioni internazionali: Ehud Barak, il generale più decorato al valore nella storia di Israele, diventato primo ministro in quota al Partito Laburista, dunque un progressista moderato, propone ufficialmente al leader palestinese Arafat la creazione uno Stato di Palestina con Gerusalemme Est come capitale: sciaguratamente Arafat, succube delle aspirazioni geopolitiche panislamiste e della demagogia del radicalismo della Fratellanza Musulmani nei Paesi arabi sunniti, rifiuta la proposta.
E veniamo al conflitto di questi giorni, combattuto con migliaia di razzi da Gaza, scontri nelle strade di Gerusalemme, stato di emergenza nella città arabo-israeliane ai confini con Gaza. I movimenti terroristi di Hamas e della Jihad palestinese hanno a disposizione missili di diversa gittata, con un raggio di azione che va dagli 8 chilometri ai 180, un arsenale che è fornito dall'Iran e dalla Cina, secondo le fonti dell'International Institute for Strategic Studies e dell'IDF, le forze armate israeliane. E' ancora valida la distinzione giuridica tra un'aggressione militare ingiustificata e la liceità della legittima difesa?

Nota di BastaBugie: Gianandrea Gaiani nell'articolo seguente dal titolo "Disarmare Hamas a Gaza è solo un miraggio" spiega la situazione dopo il recente breve conflitto di Gaza.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 25 maggio 2021:

Mentre il cessate il fuoco mediato da Egitto e Qatar sembra reggere all'indomani della fine delle e ostilità a Gaza è tempo di bilanci e anche se tutti si dichiarano a loro modo vincitori al termine di dieci giorni di scontri non mancano gli elementi su cui riflettere.
Dall'inizio dell'operazione israeliana "Guardiano delle mura" le Brigate Ezzedin al-Qassam (braccio armato di Hamas) e il Movimento della Jihad Islamica hanno lanciato contro Israele 4.340 razzi, 640 dei quali abortiti al momento del lancio o caduti all'interno della Striscia mentre il sistema di difesa anti missile Iron Dome ha abbattuto circa 3600 razzi, pari al 90% di quelli sparati contro Israele; i missili non intercettati hanno invece colpito le città di Nevit Haasara, Sderot, Ashkelot, Ashdod e Lod, le periferie di Gerusalemme, Nazareth, Beersheba, Holon e la stessa Tel Aviv. Tredici le vittime in Israele tra cui un militare con 117 i feriti gravi (114 civili e tre militari) mentre la risposta militare israeliana ha causato la morte di almeno 248 persone, più della metà delle quali appartenenti alle milizie e oltre 1900 feriti. I bombardamenti israeliani avrebbero distrutto o danneggiato 2mila edifici e 500 rampe di lancio dei razzi oltre a depositi di armi e oltre 100 chilometri di tunnel che collegano la Striscia di Gaza con il territorio del Sinai egiziano.
Da questi numeri si possono trarre alcune valutazioni che rendono però difficile attribuire la vittoria in modo netto e incontrovertibile. Innanzitutto le perdite sono state in generale molto limitate considerando la massa di armi e la potenza di fuoco impiegata, a conferma che Israele ha ben difeso il suo territorio e ha colpito quasi sempre in modo "chirurgico" il nemico evitando carneficine tra i civili usati come "scudi umani" dai miliziani palestinesi. Hamas ha subito perdite rilevanti in termini di uomini e comandanti ma che potrà rapidamente compensare con nuovi arruolamenti e nomine mentre i razzi utilizzati, a cui aggiungerne alcune centinaia distrutti dai raid aerei israeliani nei depositi potrebbero rappresentare un sesto o addirittura in decimo dei 30mila o forse 50mila che secondo fonti d'intelligence israeliane e statunitensi sarebbero presenti a Gaza.
Questo significa che è difficile proclamare la sconfitta di Hamas e Jihad Islamica palestinese se possono in ogni momento disporre delle capacità militare di riaprire le ostilità cercando di bersagliare le città israeliane. Non è certo un caso che Gerusalemme punti oggi a un accordo internazionale che garantisca il disarmo di Hamas, impossibile però da accettare per i miliziani sostenuti dall'Iran ma anche da Turchia e Qatar. Inutile farsi illusioni che una missione internazionale (dell'ONU) possa raggiungere un simile obiettivo, Basti ricordare che i 12 mila caschi blu schierati in Libano meridionale dal 2006 avevano tra i loro compiti il disarmo delle milizie (soprattutto quelle di Hezbollah) che a oggi non è mai stato neppure tentato su vasta scala. Il disarmo di milizie così radicate sul territorio e che hanno il totale controllo della popolazione, volontario o basato sul terrore, si può concretamente attuare solo dopo aver inflitto loro una decisiva sconfitta militare.
Nel caso di Hamas a Gaza l'unica possibilità di scongiurare nuovi lanci di razzi contro le città israeliane è riposta in un'operazione militare su vasta scala che permetta di conquistare la Striscia di Gaza metro dopo metro eliminando ogni sacca di resistenza e distruggendo tutti i depositi di armi e razzi. Certo Israele avrebbe difficoltà a giustificare alle cancellerie e all'opinione pubblica internazionale una durissima campagna militare casa per casa (resa ancor più feroce dalla resistenza che opporrebbero miliziani consapevoli di non avere scampo) e ancor di più il ripristino di quell'occupazione della Striscia che mantenne fino al ritiro del 2005.
Per questo, anche un'opzione bellica tesa ad annientare i miliziani palestinesi, dovrebbe prevedere che Israele ceda il controllo del territorio di Gaza all'Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen e alle forze egiziane. Il Cairo, alle prese con le milizie jihadiste del Sinai, avrebbe tutto l'interesse a stabilizzare Gaza ma potrebbe non essere disposta a schierare migliaia di soldati e poliziotti all'interno del territorio abitato da 2,5 milioni di palestinesi.
Certo si tratta solo di ipotesi e di opzioni che per ora non sembrano essere all'ordine del giorno. Tuttavia, se è vero che il disarmo di Hamas costituisce il primo passo verso la pace, è altrettanto vero che non potrà essere effettuato se non utilizzando con determinazione strumenti coercitivi militari.

 
Titolo originale: Le verità taciute sulla guerra di Gerusalemme
Fonte: Corrispondenza Romana, 19 maggio 2021