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« Torna agli articoli di Marco Respinti
Lo sanno i cittadini italiani che quando acquistano certe merci a buon mercato alimentano il lavoro schiavistico praticato nella Cina neopostcomunista e lo sfruttamento disumano di manodopera clandestinamente attiva nel nostro Paese? Lo sanno che scegliendo certa apparente convenienza condannano al lavori forzati milioni d’innocenti, relegano a una vita subumana un numero enorme di disperati e favoriscono una mafia pericolosissima? Lo sanno che così facendo pagano di tasca propria l’unico esempio storico di perestrojka riuscita, cioè la sopravvivenza per camouflage e frode di un regime liberticida che altrimenti la storia avrebbe spazzato da tempo? E che usando così i propri sacrosanti e sudati denari aiutano i falsari a beffare il “made in Italy”, insomma si tirano la zappa sui piedi? Evidentemente no; o, al massimo, in buonafede, non ci pensano. Ma, si sa, la buona fede non basta. Soprattutto non impedisce l’ingiustizia.
Per aiutare gl’italiani a ricuperare la memoria, ma anzitutto a trasformare la buonafede in azione virtuosa, c’è ora nel parlamento italiano una proposta di legge unica al mondo. Chiede il divieto di produzione, importazione e commercio di merci prodotte mediante manodopera forzata e in schiavitù. L’iniziativa, cristallinamente bipartisan e trasversale, è dei deputati Alessandro Pagano, Ugo Sposetti, Silvano Moffa, Marco Calgaro, Pietro Laffranco, Luca Volontè, Gabriele Cimadoro, Gabriele Toccafondi, Massimo Polledri, Renato Farina, Daniela Sbrollini, Giuseppe Francesco Marinello, Angelo Compagnon e Alessandro Montagnoli. Domattina alle 11,30 viene presentata nella Sala Stampa della Camera dei deputati assieme al noto dissidente Harry Wu [nella foto], 19 anni di lavoro forzato in Cina, direttore esecutivo della Laogai Research Foundation di Washington la quale ha offerto la propria expertise per la redazione del testo di legge attraverso il suo ramo italiano (www.laogai.it), diretto da Toni Brandi.
La Cina mantiene oggi sul proprio territorio una rete vastissima di almeno 1400 campi dove milioni di persone vengono quotidianamente costrette a lavorare anche fino a 18 ore al giorno per il puro vantaggio economico del regime e di numerose imprese sia cinesi sia internazionali che lì investono indisturbate. Per contro, la Cina applica, contravvenendo agli accordi raggiunti in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio, forti dazi sulle importazioni, come nel caso del settore automobilistico e del comparto agro-alimentare.
In Cina non esiste diritto di proprietà, ma un sistema rigidamente controllato e centralizzato. Non vi è né la certezza del diritto, né quella morale pre-economica che regola la libertà del mercato, né una “società civile” d’intercapedine fra i singoli e lo Stato che possa nutrire il circolo virtuoso dell’intrapresa, dell’investimento, del rischio d’impresa. C’è solo lo Stato, che tutto sorveglia, e che coincide con il governo e con il partito unico. Niente competizione, concorrenza, gara alla produzione di servizi e prodotti migliori: solo contraffazione e mal produzione schiavistica. E in più ci sono le partecipazioni governative, gl’incentivi statali, le sovvenzioni partitiche, le agevolazioni fiscali, i bassi tassi d’interesse e l’uso gratuito di terreni per le imprese che esportano in spregio a ogni regola morale ed economica.
Nel giugno 2008 la Laogai Research Foundation individuò 314 laogai fornitori accreditati e presenti nei database della Dun & Bradstreet Corporation, uno dei maggiori provider internazionali d’informazioni per il credito riguardanti aziende e società. Un secondo rapporto della Fondazione, relativo a una indagine condotta fra il 6 e il 22 ottobre 2009 su 28 grandi siti di commercio internazionale in almeno 10 Paesi, identifica 120 imprese di laogai.
Poi ci sono cosucce come quelle, raccapriccianti, documentate in due dossier pubblicati dalla Fondazione grazie all’editore Guerini di Milano, Traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte (a cura di Brandi e di Maria Vittoria Cattanìa, 2008) e La strage degli innocenti. La politica del figlio unico in Cina (trad. it. a cura di Brandi e Francesca Romana Puggelli, Guerini, 2009). Aborto coatto dopo il primo figlio, vessazioni per madri e famiglie che contravvengono alla “legge”, persino… cucina e consumo alimentare dei feti uccisi…. Quindi esecuzioni capitali “politiche” a migliaia ogni anno, sempre in numero congruo alla richiesta di organi umani per trapianto.
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