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« Torna agli articoli di Massimo Introvigne
La data del 26 aprile 2009 è destinata a rimanere nella storia del Portogallo e della Chiesa per la canonizzazione di San Nuno Alvares Pereira (1360-1431), una figura senza la quale – come ha ricordato il vescovo di Beja mons. Vitalino Dantas O.C.D. – “il Portogallo non esisterebbe”.
La canonizzazione di San Nuno ha una lunga storia. Nel 1438, sette anni dopo la sua morte, il re Edoardo I (1391-1438) ne chiede la canonizzazione al Papa Eugenio IV (1383-1447). Poiché San Nuno aveva trascorso gran parte della sua vita come militare e generale combattendo contro la Spagna per l’indipendenza del Portogallo, il veto spagnolo impedisce che si dia corso alla richiesta del re portoghese. La Spagna, grande potenza cattolica di cui non si può non tenere conto, continua a opporsi alle richieste di beatificazione e canonizzazione che giungono a Roma dal Portogallo ripetendosi in tutti i secoli, fino a che nel 1918 è riconosciuto – senza processo canonico sulla santità – il culto prestato da tempo immemorabile all’eroe portoghese, che Benedetto XV (1854-1922) iscrive nell’albo dei beati. Le richieste di canonizzazione continuano a incontrare però l’ostilità della Spagna. Nel 1940 Pio XII (1876-1958) vorrebbe canonizzare il Beato Nuno e proporlo come modello di soldato cristiano a quanti combattono nella Seconda guerra mondiale. Ma la canonizzazione per decreto non comporterebbe una cerimonia solenne in San Pietro. Il primo ministro portoghese António de Oliveira Salazar (1889-1970) insiste per tale cerimonia solenne. Pio XII rifiuta, sia per il tempo di guerra sia – ancora una volta – per evitare uno scontro con la Spagna appena uscita dalla guerra civile.
Caduta la possibilità della canonizzazione per decreto, rimane l’interesse del Portogallo e dell’Ordine dei Carmelitani, di cui Nuno era diventato religioso negli ultimi anni della sua vita, per una ripresa della causa. È Giovanni Paolo II (1920-2005) – che si sente specialmente legato al Portogallo attraverso la sua devozione alla Madonna di Fatima – che s’interessa alla riapertura del processo canonico, la quale avviene nel 2004. Riesaminata la vita del beato, e approvato dalla commissione medica un miracolo (il recupero dell’uso di un occhio da parte della signora Gulhermina de Jesus, di Vila Franca de Xira), Benedetto XVI può procedere alla canonizzazione, 571 anni dopo la prima richiesta da parte del re Edoardo I. E non senza nuovi problemi con la Spagna: secondo la stampa portoghese insieme a San Nuno il 26 aprile avrebbero dovuto essere canonizzati anche due beati spagnoli, ma per loro la cerimonia è stata rimandata all’11 ottobre dopo un complesso negoziato fra la diplomazia vaticana e quella spagnola, ancora oggi ostile alla canonizzazione del generale che inflisse alla Spagna una delle più gravi sconfitte militari della sua storia.
Per la verità non sono mancate neppure polemiche intra-cattoliche. Alcuni intellettuali “progressisti” e almeno un vescovo hanno criticato la canonizzazione affermando che San Nuno “fu soprattutto un guerriero e chi uccide il prossimo non merita il titolo di santo”. Queste posizioni – che denotano peraltro una profonda incomprensione della natura della santità cattolica – hanno condotto altri a insistere esclusivamente sugli ultimi nove anni della sua vita (1422-1431), nei quali il santo – dopo avere fatto costruire a sue spese il Convento do Carmo a Lisbona – vi si ritira come frate carmelitano, interpretando questi anni quasi come una penitenza per la passata vita militare, vista come qualche cosa di cui San Nuno avrebbe dovuto chiedere perdono a Dio e agli uomini.
Le parole di Benedetto XVI nella solenne cerimonia di canonizzazione hanno fatto giustizia di queste interpretazioni e di questi pregiudizi. Il Papa al contrario ha esaltato la figura di cavaliere cristiano di San Nuno, impegnato nella “militia Christi, cioè nel servizio di testimonianza che ogni cristiano è chiamato a dare al mondo. Caratteristiche del santo sono un’intensa vita di orazione e l’assoluta fiducia nell’aiuto divino. Benché fosse un ottimo militare e un grande capo, non considerò le doti personali preminenti rispetto all’azione suprema che viene da Dio. San Nuno si sforzava di non porre ostacoli all’azione di Dio nella sua vita, imitando Nostra Signora di cui era devotissimo e cui attribuiva pubblicamente le sue vittorie”. Così, il generale Nuno Alvares Pereira diventa “strumento di un disegno superiore” di Dio, quello della fondazione della nazione portoghese indipendente dalla Spagna come nazione missionaria destinata a portare il Vangelo fino agli estremi confini della Terra. Grazie a Nuno il Portogallo può “consolidare la sua indipendenza dalla Castiglia ed estendersi attraverso gli Oceani – non senza un disegno particolare di Dio – aprendo nuove rotte che avrebbero propiziato la diffusione del Vangelo di Cristo fino ai confini della Terra”.
San Nuno è anzitutto una figura emblematica della cavalleria. Paggio alla corte del re è armato cavaliere, per speciale concessione del Gran Maestro dell’Ordine Militare di San Benedetto d’Avis, il futuro re Giovanni I il Buono (1357-1433), all’età di soli tredici anni. È coinvolto, giovanissimo, nella causa dell’indipendenza portoghese e della successione al re Ferdinando il Bello (1345-1383). La reggenza passa alla vedova, la regina Eleonora (1350-1386), notoriamente legata al partito filo-spagnolo, che affretta le nozze fra la figlia (1372-1408) e il re Giovanni I di Castiglia (1358-1390), premessa all’unione dei due regni e alla fine dell’indipendenza portoghese. I nobili e il popolo del Portogallo insorgono e si rivolgono all’Ordine d’Avis, guidato dal Gran Maestro Giovanni, fratellastro del defunto re Ferdinando. Giovanni I di Castiglia reagisce nel gennaio 1384 invadendo la Spagna. Il Gran Maestro Giovanni d’Avis, appena acclamato re del Portogallo con il nome di Giovanni I, nel mese di aprile prende una decisione che sembra avventata ma che si rivelerà decisiva: nomina Nuno Alvares Pereira, che si è coperto di valore nelle prime battaglie con gli spagnoli e ha appena guidato un distaccamento portoghese alla vittoria nella battaglia di Atoleiros, ma ha solo ventiquattro anni, Connestabile del Portogallo e comandante supremo dell’esercito portoghese.
Gli storici militari considerano Nuno Alvares Pereira uno dei più grandi generali europei, e la battaglia di Aljubarrota – del 14 agosto 1385, decisiva per la vittoria portoghese – uno scontro che merita di figurare nella storia delle guerre europee, perché consacra la superiorità (già sperimentata dal futuro santo ad Atoleiros) degli eserciti leggeri e molto mobili su forze numericamente preponderanti incentrate sulla cavalleria. Seimila portoghesi sconfiggono trentamila spagnoli grazie a una strategia che prevede che la cavalleria pesante castigliana sia attirata su un terreno costellato di palizzate appositamente erette per rendere difficili le manovre dei cavalli, i quali sono uccisi da fanti o da cavalieri portoghesi capaci di smontare e risalire rapidamente, mentre i cavalieri spagnoli disarcionati e colti di sorpresa sono uccisi in gran numero. Nuno Alvares Pereira combatte personalmente in prima linea. La vittoria di Aljubarrota – seguita da quella nella lunga (due giorni e due notti) e sanguinosa battaglia di Valverde (15-16 ottobre 1385) – pone fine al sogno spagnolo di conquistare il Portogallo.
Dopo la vittoria nella guerra contro la Castiglia, Nuno Alvares Pereira impegna le ricche ricompense ricevute dal re nel progetto di fondazione del grande Convento do Carmo a Lisbona, la cui costruzione inizia nel 1388. Non pensa ancora a diventare frate: il re gli chiede di riorganizzare l’esercito in vista di un’offensiva contro i musulmani del Nordafrica che, lungamente preparata, culminerà nella battaglia di Ceuta del 21 agosto 1415, l’ultima battaglia del Connestabile Nuno e l’inizio dell’espansione del Portogallo al di fuori dell’Europa.
Vedovo, e privato anche della figlia Beatriz (1380-1415) che gli aveva dato dopo avere sposato il duca Alfonso I di Bragança (1377-1461), figlio naturale del re Giovanni I, tre nipoti – all’origine della casa reale e imperiale di Bragança di cui quindi San Nuno è considerato il capostipite – il Connestabile si ritira a vita privata e nel 1422 entra nel Convento do Carmo, dove pronuncia i voti – per umiltà come semplice “semi-fratello” (semi-frater), rifiutando tutte le cariche e distinzioni che gli sono offerte – il 15 agosto 1423. In convento si segnala per la vita poverissima – lui che era stato considerato l’uomo più ricco del Portogallo – e per la grande carità: ma il re Giovanni I viene spesso a chiedergli consiglio. Era, come ha affermato Benedetto XVI, “il tramonto della sua vita”. La morte, nel 1431 – sulla cui data gli storici disputano ma tradizionalmente fissata alla domenica di Pasqua, 1° aprile di quell’anno – suscita grande emozione e ne mostra la fama di santità. Merita di essere citato il gesto della regina di Spagna Isabella I la Cattolica (1474-1504), che personalmente considera un santo e fa invocare nelle Messe celebrate a corte quello che era stato come generale un fiero avversario del suo Paese.
Nuno Alvares Pereira è sepolto nel Convento do Carmo ma la tomba, il mausoleo e lo stesso convento saranno distrutti dal grande terremoto di Lisbona del 1755 (del mausoleo rimane nei resti del convento, ora un museo, una copia lignea). I resti sono stati ritrovati e dal 1951 riposano nella moderna Igreja do Santo Condestável a Lisbona.
La canonizzazione di San Nuno, ha affermato Benedetto XVI, vuole mostrare alla Chiesa come “la vita di fede e di preghiera è presente anche in contesti apparentemente poco favorevoli alla stessa, ed è la prova che in qualunque situazione, anche in quelle di carattere militare e di guerra, è possibile mettere in atto e realizzare i valori e i principi della vita cristiana, soprattutto se questa è posta al servizio del bene comune e della gloria di Dio”.
Se dunque vi è stato chi ha cercato di sminuire la lunga fase “militare e di guerra” della vita di San Nuno – quasi che solo “il tramonto della sua vita” in convento ne manifestasse la santità – Benedetto XVI al contrario dà rilievo alla “figura esemplare” del Connestabile anzitutto come cavaliere, miles Christi: una vocazione di cui la cavalleria è cifra e nomen, che certo in epoche diverse si manifesta in modi diversi ma che rimane una via eminente di santità per il laico cattolico che consacra la sua vita “al servizio del bene comune e della gloria di Dio”. Certo, Nuno Alvares Pereira vive in un’epoca in cui la cavalleria già inizia a decadere. Accanto a lui ad Aljubarrota combattono i figli delle più grandi famiglie portoghesi, duecento cavalieri che formano “l’ala degli innamorati” e che la leggenda del Portogallo assimila ai cavalieri della Tavola Rotonda. Il nome fa riferimento alle insegne della promessa sposa che ciascun cavaliere porta sul suo scudo, un segno della svolta della cavalleria verso un certo romanticismo sentimentale che tuttavia alla vigilia di Aljubarrota San Nuno sa correggere con un severo richiamo alla preghiera e alla vita eterna. Di fatto, l’“ala degli innamorati” si batterà con straordinario valore e risulterà decisiva nella vittoria portoghese.
Anche l’attività “militare e di guerra” del santo ora canonizzato partecipa dell’esemplarità della sua vita. Di più: mantenendo nella guerra e nelle battaglie la fiducia in Dio, la vita di orazione e una grandissima devozione alla Madonna cui “attribuiva pubblicamente le sue vittorie”, San Nuno si mette al servizio di un “disegno particolare di Dio” il quale misteriosamente è alle origini dell’indipendenza della nazione portoghese e del suo servizio missionario al Vangelo attraverso le scoperte geografiche e le conquiste, “fino ai confini della Terra”. Un mistero che nel 1917 la Madonna verrà a confermare a Fatima promettendo che “in Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede”, non una piccola promessa per una nazione che – avendo alle sue origini un santo, San Nuno Alvares Pereira – in passato, al servizio della Chiesa, fu spesso grande.
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