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« Torna agli articoli di Matteo Delre
Se n'è parlato molto quest'estate, anche grazie ad anticipazioni e rivelazioni da parte del Daily Mail: Disney sta lavorando su un remake di "Biancaneve e i sette nani". Che però non sarebbero più stati nani, ma un pegno pagato all'ideologia woke: alcuni dovevano essere di colore, altri di altezza normale, altri disabili, altri di genere misto e così via. Speculazioni? Si direbbe di no: le foto del quotidiano inglese apparivano genuine e la stessa protagonista del nuovo live-action, Rachel Zegler, aveva dichiarato senza mezzi termini che sì, sarebbe stato un prodotto politicamente corretto, «perché ce n'è bisogno». Previsto in uscita nel 2024, la nuova fatica del colosso americano vedrà la luce però soltanto nel 2025, a causa di uno sciopero organizzato dal sindacato degli attori contro gli studios di Hollywood, ma non è l'unico inciampo che la produzione si è trovata ad affrontare.
L'ennesimo stravolgimento di un prodotto culturale antico e amato, ancor più per il fatto che si tratti di una favola indirizzata ai bambini, aveva infatti suscitato un coro di proteste in tutto il mondo occidentale. Non è la prima volta che accade: nulla ormai si salva dalle "riletture" woke, dall'opera lirica al fumetto, passando per i classici della letteratura, tutto viene reinterpretato quando non addirittura riscritto per renderlo conforme ai parametri dettati da un'ideologia divenuta egemone, sebbene rappresentante di una o più microscopiche minoranze. Sotto il vello dell'inclusione, della parità, del rispetto, oltre agli stravolgimenti di opere d'arte del passato, si nasconde secondo molti anche un chiaro scopo propagandistico e di indottrinamento verso i più piccoli, com'è appunto il caso di Biancaneve.
MARCIA INDIETRO
Tuttavia, notizia recente, sembra che Disney abbia fatto marcia indietro: niente più nani politicamente corretti, tornano i sette simpatici piccoletti creati dalla fantasia dei fratelli Grimm e già in passato messi su pellicola dalla major americana in un indimenticabile cartone animato del 1937. Gli araldi del politicamente corretto incassano e fanno buon viso a cattivo gioco: indispettiti e un po' isterici, si concedono ora di urlacchiare contro gli "odiatori" che hanno speculato per settimane contro la casa produttrice americana, la quale giammai intendeva produrre un film buono al massimo per un gaypride. Un grande malinteso, certo, come no. Foto e dichiarazioni della produzione Disney erano evidentemente allucinazioni di vecchi barbogi troppo attaccati a valori noiosi e arretrati, desiderosi di fermare le magnifiche sorti e progressive dell'incombente arcobaleno.
Sciocchezze, naturalmente. Il progetto era quello svelato dal Daily Mail e ammesso da varie fonti legate alla Disney. In questo senso, la marcia indietro è inquadrabile in tre scenari possibili.
Il primo e più svilente è che fin dall'inizio la casa di produzione intendesse realizzare un remake tradizionale, ma abbia utilizzato l'arma della polemica che le pulsioni woke portano sempre con sé per avere un po' di pubblicità gratis. Cinico ma assolutamente possibile essendo Hollywood, a detta anzitutto di chi ci lavora, il prototipo occidentale dell'immoralità più spinta.
Una seconda ipotesi è che la Disney non regga più di fronte ai continui tonfi al botteghino e al calo verticale del suo titolo in borsa (-15,75% negli ultimi sei mesi). Per quanto i commissari politici woke si siano infiltrati nell'industria cinematografica e dell'intrattenimento, alla fine per un'azienda privata sono i numeri a contare e quando questi si schiantano clamorosamente contro il noto muro del "go woke, go broke" e il pianto degli azionisti comincia a essere insistente e fastidioso, allora forse un risveglio vero avviene.
PROTESTE PLANETARIE
Terza e più probabile ipotesi, il clamore e le proteste planetarie contro l'ennesima azione orientata a violentare un'opera del passato, per di più destinata ai bambini, devono aver trasmesso alla Disney la proporzione con cui la misura risulta ormai colma. Anche la pazienza più collaudata ha un termine ed è facile raggiungerlo quando una, di per sé anche lodevole, attenzione particolare verso minoranze che rischiano l'esclusione prende le fattezze dell'ossessione e i caratteri dell'indottrinamento. In questi casi la saturazione è dietro l'angolo e il mondo, evidentemente ancora popolato maggioritariamente da persone di buon senso, deve essere riuscito a urlare direttamente nell'orecchio della Disney il proprio senso di rigetto e la totale mancanza di opportunità nel portare a termine operazioni di revisione così forzate e ambigue.
Quale che sia la ragione del ripensamento della Disney, tuttavia, rimane un fatto incontrovertibile: per natura, le persone desiderano usualmente veder rappresentata la realtà per quella che è. Non escludono l'eccentricità, ovviamente, anzi essa è portatrice di effetti speciali se dosata sulla stessa misura con cui i fenomeni appaiono nelle comunità. I gruppi di cui la cultura woke si fa portavoce rappresentano statisticamente qualcosa di simile al pulviscolo, all'interno delle varie società, e di ciò andrebbe tenuto conto nel momento in cui si propone un prodotto, quale che sia, alla collettività. Il che è ancora più vero se si tratta di creazioni destinate ai bambini, per i quali i genitori vogliono stimoli alla risata, allo stupore, al divertimento, alla fantasia e, se possibile, un contributo all'educazione ai valori condivisi e maggioritari dell'umanità, affinché li acquisiscano per poi decidere liberamente, all'età giusta, se metterli in discussione oppure no.
Nell'illusione di poter rappresentare la realtà contemporanea, Disney ha abdicato da tempo a questo ruolo e, al di là dell'eccezionale ripensamento su Biancaneve, pare intenda proseguire con decisione nella strada che l'agenda mondiale del politicamente corretto le ha imposto. Faccia pure. Più cocciutamente persiste, più grande sarà l'ondata di riprovazione che la travolgerà, costringendola a correzioni in corsa. Di flop in flop, alla fine capirà, se non fallisce prima, che la realtà contemporanea è ben altro dai diktat di gruppi d'interesse e lobby ideologiche che nulla hanno a che fare con la domanda proveniente dai consumatori e ancor meno con una natura umana che sì, è paziente e indulgente, ma che, raggiunto il punto di saturazione, non lascia scampo. Ancor più se in ballo ci sono i suoi figli.
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