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« Torna agli articoli di Mauro Faverzani
Dopo l'ubriacatura referendaria, si può tornare a parlare di nucleare senza catastrofismi. Immediatamente dopo l'esito delle urne, del Giappone nessun media ha più parlato, nemmeno per render conto di quanto la situazione stesse migliorando: un silenzio assordante è calato sui reattori fumanti, sulla contaminazione di aria ed acqua, sul fatto che i piani per la costruzione di nuovi impianti proseguiranno, nonostante tutto. Così come proseguiranno anche in Cina e negli Stati Uniti. Anche perché il nucleare soddisfa, da solo, circa il 14% della produzione mondiale di energia elettrica, ben il 28% di quella europea ed il 75% di quella francese, dove non a caso l'energia costa alle imprese la metà del prezzo pagato da quelle italiane. Occorre pensarci bene prima di denuclearizzare. In Asia sono in cantiere almeno altri 43 reattori. Ma nessuno ne parla. Riflettori puntati invece sulla Germania, che ha annunciato la chiusura delle proprie centrali: sì, quelle vecchie ed obsolete, però, il cui ciclo di vita si è concluso da tempo. Ma tant'è.
Per avere il quadro completo della situazione, occorre far notare come l'Italia conviva con ben 26 centrali straniere a soli 200 chilometri dal confine e continui ad importare a prezzi stratosferici da Francia e Germania almeno il 15% del proprio fabbisogno energetico. Chi più è stato "tirato per la giacchetta" in questo periodo è stato il Santo Padre, osannato a corrente alternata ovvero solo quando strumentalizzabile. Un esempio: che la Caritas in Veritate ed anche il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa condannino lo sfruttamento delle risorse naturali non rinnovabili, quando non sia solidale e condiviso con i Paesi emergenti, non significa bocciarne l'uso, ma l'abuso. Ciò che mai si cita è, ad esempio, l'intervento ufficiale della Santa Sede alla conferenza ministeriale dell'Aiea, Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, svoltasi lo scorso 21 giugno, laddove afferma: «Il settore nucleare può rappresentare una grande opportunità per il futuro. Ciò spiega il 'rinascimento nucleare' a livello mondiale », che « sembra schiudere orizzonti di sviluppo e prosperità». Ancora, ci si scorda della posizione ufficiale della Chiesa, espressa a chiare lettere dal Presidente emerito del Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace", Card. Renato Raffaele Martino: «La Santa Sede – ha dichiarato – è favorevole e sostiene l'uso pacifico dell'energia nucleare», che «non va guardata con gli occhi del pregiudizio ideologico, ma con quelli dell'intelligenza, della ragionevolezza umana e della scienza». Il Presidente degli Stati Uniti Obama ha autorizzato la concessione di garanzie pubbliche su un finanziamento destinato alla costruzione di due nuovi reattori in Georgia. Il Presidente francese Sarkozy ha deciso inoltre di creare un Istituto internazionale per l'Energia Nucleare, in cui far confluire i propri migliori docenti e ricercatori. Politici, qualcuno potrebbe dire. Allora, lasciamo che a parlare siano gli scienziati come il premio Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia, secondo cui «una delle ragioni dell'anomalia italiana, ma a mio parere non l'unica, deriva dalla passata decisione strategica del Paese, che oggi non esiterei a definire assurda, di puntare massivamente per la produzione energetica sul petrolio, l'idroelettrico, il poco carbone e l'assenza del nucleare». Eppure la scelta dell'atomo diminuirebbe le bollette degli italiani del 20%. E sul fronte ambientale, va rilevato come ogni reattore di nuova generazione produca la stessa energia di 3 mila pale eoliche e sottragga l'emissione nell'aria di una quantità di anidride carbonica pari a quella prodotta ogni anno da 4 milioni e mezzo di auto. Mai affidare le scelte ad una paura emotiva ed irrazionale: già accadde in Spagna. Si sono ritrovati Zapatero. Vogliamo fare la stessa fine?
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