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« Torna agli articoli di Mauro Faverzani
Gli Stati Uniti ed il mondo non meritano Barack Obama, più simile alle piaghe d'Egitto – è il caso di dirlo – che al vecchio Uncle Sam. Pochi anni della sua Amministrazione son riusciti a far perdere alla superpotenza occidentale non solo credibilità e potere, bensì anche il controllo dello scacchiere internazionale.
Ora Washington chiede al Congresso il permesso per la sua nuova avventura bellica in Siria, pur volendoci trascinare l'intero Occidente, nonostante gli Usa siano di fatto isolati: invisi ai Fratelli Musulmani – che pure han sostenuto e sostengono ‒ tanto quanto ai salafiti, ai militari ed ai civili, sono guardati con sospetto dai leader moderati, che li considerano troppo deboli e pasticcioni, tanto quanto dai lupi islamici, che per loro nutrono solo odio e sete di vendetta, benché stupiti d'esser ritenuti interlocutori credibili dagli stessi di cui vorrebbero sbarazzarsi. Un'incredibile politica estera totalmente fallimentare, dunque, da qualsiasi punto di vista la si voglia considerare, così da dar buon gioco al vicepremier siriano Qadri Jamil, nell'affermare che gli Usa «sono ormai divenuti oggetto di sarcasmo da parte di tutti».
Sul banco degli imputati non ci sono gli Stati Uniti, ragion per cui – tanto per esser subito chiari – sarebbe ideologico riproporre la solita, trita e ritrita deriva antiamericanista, risposta sbagliata ad un problema vero. In discussione c'è, nello specifico, l'ultimo inquilino della Casa Bianca, che ha dimostrato di muoversi con una superficialità tattica, un pressapochismo tecnico, un'improvvisazione strategica tale da far impallidire anche la peggiore gestione repubblicana della Storia statunitense. Specialmente nelle aree più "calde" del pianeta, quel Medio Oriente messo a ferro e fuoco dalle cosiddette "primavere arabe", passepartout in realtà dell'islam più crudele e forsennato.
Quanto azzardato fosse assegnare un premio Nobel per la Pace sulla "fiducia" a Barack Obama nemmeno dieci mesi dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, lo conferma oggi proprio la vicenda siriana. Negli ultimi tempi gli Stati Uniti in fatto di politica estera hanno dimostrato di non azzeccarne una: ovunque intervengano, "dopo" è peggio. La "primavera araba" è lì a dimostrarlo con stravolgimenti costruiti su bufale, come i 50 mila anziani e bambini del cui massacro fu accusato Gheddafi oppure le elezioni vinte dai Fratelli Musulmani al Cairo. Ed i "rimedi" sono peggiori dei mali, come confermano la mezzaluna a Tripoli, sharia e corruzione in un Egitto in fiamme, nonché il rapido processo di forzata islamizzazione della Tunisia e poi ancora i disordini in Turchia, Eritrea ed Etiopia.
Ora è la volta della Siria, traendo spunto dall'utilizzo di armi chimiche contro i civili a Ghouta, episodio dubbio e di ancor più dubbia matrice, se cioè ne siano responsabili Assad o i ribelli, i quali ‒ secondo il magistrato svizzero Carla Del Ponte, membro della Commissione Onu per i diritti umani in Siria ‒ già al gas nervino, il Sarin nello specifico, avrebbero fatto ricorso la scorsa primavera nel silenzio generale, anzi nell'omertà, visto che proprio gli Usa esautorarono gli ispettori dell'Onu dal compito d'accertare chi l'avesse utilizzato, come scritto dal "Wall Street's Journal".
È difficile ritenere i ribelli siriani, sostenuti dai fanatici sunniti, dal Qatar, da Al Qaeda, dai talebani, dai salafiti, dal turco Erdogan, migliori di Assad, come dimostrano già in queste settimane le chiese distrutte, i Vescovi ed i sacerdoti ammazzati o rapiti, i cristiani massacrati o ridotti alle catacombe, le loro case ed i loro negozi devastati da una furia incontrollata. Tutto ‒ ciò ch'è ancor più tragico ‒ nel silenzio internazionale, con i "grandi" preoccupati solo di giocare a RisiKo, proponendo fallimentari soluzioni studiate a tavolino.
Con l'unica eccezione della Santa Sede, che ha invitato al digiuno ed alla preghiera con un richiamo simile a quello di Benedetto XV contro l'«inutile strage» del primo conflitto mondiale, sperando che gli esiti non siano i medesimi. Intendiamoci: non piacciono i dittatorelli e che ingiustizie ve ne siano, specialmente nelle aree critiche del mondo, è sotto gli occhi di tutti. Altrimenti non sarebbero "critiche"… Ma rispondervi con interventi dissennati, forieri solo di morte e distruzione, consegnando interi popoli – finora retti da una "calma relativa" e da equilibri precari ‒ all'islam più sanguinario e fanatico, non ce lo possiamo proprio permettere.
Dietro i disordini in Tunisia, Egitto e Libia ci sono sempre e solo i Fratelli Musulmani, che puntano alla leadership in Medio Oriente ed al controllo nel Mediterraneo, con le armi e con i denti. E che pare vi stiano riuscendo, incredibilmente con la complicità dell'Occidente. V'è un'ultima cosa, da considerare: come mai gli esagitati pacifisti a senso unico, scesi nelle piazze contro la Presidenza Bush ancora sanguinante per le ferite provocate dall'11 settembre, ora che la Casa Bianca è occupata dall'iperdemocratico Obama, "uno di loro", tacciono? Dove sono con le loro bandiere arcobaleno? L'attuale Presidente degli Stati Uniti non ha mantenuto una sola delle promesse fatte: disse di voler chiudere la prigione di massima sicurezza per sospetti terroristi di Guantanamo, descritta dai media come l'anticamera dell'inferno, e non lo ha fatto. Disse di voler por fine a tutte le guerre. E l'Afghanistan è proseguito con la guerra dei droni, "frutto" dell'attuale Amministrazione, nonché con i nuovi fronti, come la Libia e la Siria. Dove sono i pacifisti? La sicurezza mediterranea è troppo importante: compromettendo gli equilibri euroasiatici, ne esce pregiudicata la stabilità mondiale. Per questo, oggi, Obama è un lusso, che politicamente non ci possiamo permettere.
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