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« Torna agli articoli di Mauro Faverzani
La sua fortuna è divenuta forse anche la sua maggiore disgrazia: sin dal 1302 il convento di San Domenico Maggiore, a Napoli, ha rappresentato un importante centro di diffusione del tomismo. Del resto, proprio qui san Tommaso d'Aquino, allora 19enne, vestì l'abito dell'Ordine dei Predicatori; qui, più tardi, nel 1259, scrisse una buona parte della Summa contra Gentiles; qui, nel 1272, fondò uno Studio Generale (l'equivalente di un'odierna facoltà teologica) e compose la terza parte della Summa Theologiae; qui restò sino ai primi di febbraio del 1274, quando lasciò questa comunità domenicana per partecipare al Concilio di Lione: non vi fece più ritorno, poiché morì durante il viaggio.
Ma il suo spirito ed il suo pensiero continuano ad aleggiare ancora oggi nel convento, esercitando la loro benefica influenza. Evidente dunque l'importanza di tale presenza, addirittura strategica, tenendo conto di quanto lo stesso Concilio Vaticano II abbia raccomandato di avere «san Tommaso per maestro» (Optatam totius, n. 16) e di seguire in modo speciale le sue «orme» (Gravissimum educationis, n. 10). Lo stesso Codice di Diritto Canonico raccomanda l'istruzione dei chierici, «seguendo soprattutto la dottrina di San Tommaso» (can. 252, par. 3).
Ebbene, questo convento, dove san Tommaso si formò, visse ed operò, verrà chiuso ed abbandonato: a deciderlo, è stato proprio il Capitolo provinciale del suo Ordine, quello domenicano. Tra lo sconcerto di molti religiosi e di numerosi fedeli. San Domenico Maggiore rappresenta una delle principali chiese di Napoli: sorge in pieno centro, dal Duecento; qui riposano i resti mortali di regnanti, alta nobiltà, uomini d'armi, politici, religiosi ed artisti; custodisce opere di Tiziano, Caravaggio ed altri eminentissime firme; fu ed è il cuore della Provincia Regni utriusque Siciliae, che nei secoli abbracciò tutta l'Italia meridionale e la Sicilia; recentemente ha ospitato la Facoltà Teologica, l'Istituto Superiore di Scienze Religiose ed una ricca biblioteca; ha editato una rivista internazionale di filosofia e teologia, dal titolo "Sapienza", nonché un'altra pastorale, "Temi di Predicazione"; solo 23 anni fa vi è stato inaugurato l'Istituto Filosofico S.Tommaso d'Aquino. Ed ora, con 900 anni di storia, cultura, arte, formazione sulle spalle, c'è chi è pronto ad assumersi la responsabilità di mettervi la parola fine. Incredibile!
Un episodio grave, purtroppo però non il solo. Più o meno nelle stesse settimane, un altro Capitolo provinciale domenicano ha deciso la chiusura di un altro convento plurisecolare, quello di San Marco, a Firenze, affidato ai Padri Predicatori dal 1436. Da sempre fulcro di vita ascetica, è stato cenacolo di artisti, intellettuali e politici: ha ospitato il co-patrono di Firenze, sant'Antonino, Massimo il Greco (santo per gli ortodossi), diversi Beati, Savonarola, Cosimo de' Medici, Poliziano, Pico della Mirandola, san Filippo Neri, Niccolò Tommaseo, alti ecclesiastici, e poi Giorgio La Pira ed il regista e scenografo Franco Zeffirelli. Custodisce le straordinarie opere del Beato Angelico. Ha accolto una prestigiosa biblioteca, la prima dell'età moderna aperta al pubblico, ed un'antica Farmacia di prestigio europeo.
Ma a tutto questo, ora, si vogliono mettere catenaccio e sigilli. Senza che ne siano chiari i motivi, specie perché da poco conclusisi i lunghi e costosi lavori di riadattamento degli spazi. Il Consiglio provinciale ha lamentato l'impossibilità di mantenere in Firenze il "lusso" di due comunità domenicane (questa e quella di S. Maria Novella), pur continuando a gestire entrambe dal punto di vista liturgico e culturale, attuando una sorta di "pendolarismo" religioso in contrasto con le Costituzioni dell'Ordine, che parlano espressamente di «fratres ibique habitualiter degentes» (n. 260, par. I). Scarsità di "manodopera", si afferma. In realtà, altre comunità – come i due conventi della Provincia a Roma, pure vicini, pure in difficoltà, pure con pochi frati, quindi sostanzialmente in condizioni analoghe a San Marco – vengono viceversa mantenute in vita e restano aperte, senza che – giustamente ‒ alcuno osi metterle in discussione.
Per giustificare l'ingiustificabile, il "burocratese" ed il "sindacalese" fanno la propria irruzione nel campo dello spirituale: così anche i Padri Predicatori, nelle interviste rilasciate alla stampa fiorentina, son ricorsi a termini quali «riorganizzazione» e «razionalizzazione delle risorse», degne più di un'azienda che di un convento. Gli stessi Padri, che da una parte promuovono le beatificazioni di mons. Del Corona e di La Pira, ritenendoli figli spirituali di San Marco, ma dall'altra chiudono la struttura che li ha accolti. Un inspiegabile paradosso, oltre tutto a due anni dal Giubileo dell'Ordine Domenicano, che avrà luogo nel 2016, occasione più per un rilancio che per una cura dimagrante...
Per questo oggi fedeli e non, assolutamente smarriti di fronte a tali scelte dei Superiori, calate dall'alto, si sono fatti promotori di una raccolta-firme, con cui chiedono al Maestro Generale di annullare la chiusura del convento di San Marco, decisa dal Capitolo provinciale in modo giuridicamente legittimo, benché spiritualmente e culturalmente letale. Il Maestro Generale, che peraltro presto si recherà in visita alle tre Province italiane dei Predicatori (quindi, anche a quella in questione) è l'unica autorità dell'Ordine, dotata del potere e dell'autorità necessari per una decisione di questo tipo. Per questo, una richiesta analoga giunge anche – e per gli stessi motivi ‒ dai fedeli della chiesa partenopea di San Domenico Maggiore.
Vicende tristi, queste, vicende che, concludendo, spingono a due ordini di conclusioni. La prima: i Domenicani furono tra i primi non solo a respirare a pieni polmoni, ma addirittura a far maggiormente circolare il cosiddetto soffio dello «spirito del Concilio» (pensiamo, ad esempio, al ruolo svolto da molti esponenti di spicco di tale Ordine nell'ambito della cosiddetta "nouvelle théologie"). Visti i frutti – emorragia di vocazioni, seminari svuotati ed ora anche conventi chiusi – v'è da chiedersi, se, anziché di un soffio, non si sia trattato di un'insopportabile alitosi.
La seconda considerazione: preso atto di come il cattoprogressismo non paghi, anziché limitarsi a chiudere conventi ed azzerare comunità, non sarebbe meglio, avviare piuttosto una seria riflessione sulle cause che hanno condotto in cinquant'anni al disastro di oggi, cercando di porvi rimedio nell'unico modo possibile, ovvero tornando alle radici del carisma, al Fondatore ed alla Tradizione?
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