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« Torna agli articoli di Mauro Faverzani
Ma chi l'ha detto che il comunismo è finito? I fatti provano l'esatto contrario.
A Cuba, durante l'VIII Congresso, le dimissioni date da Raúl Castro dal ruolo di primo segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista non corrispondono alla fine della dittatura. In campo politico il potere resta saldamente nelle mani della famiglia Castro, della leadership militare e degli organi della Sicurezza dello Stato; in campo economico, il modello socialista di produzione resterà lo stesso e così pure il carattere centralizzato della pianificazione. Nessuna libertà di mercato, nonostante la forte crisi, aggravata dalle sanzioni e dal crollo del turismo, l'inflazione, la povertà e le disuguaglianze sociali; a ciò si aggiunga la crisi sanitaria, altrettanto pesante per l'imperversare nell'isola del Covid-19 con un aumento incontrollato di morti e contagi. In campo militare, Raúl Castro manterrà il grado di generale dell'esercito, quindi il potere nelle proprie mani.
Non a caso la propaganda di regime ha subito definito quello terminato lunedì scorso come il «Congresso della continuità», tanto per mettere le cose in chiaro. Castro stesso ha pronunciato un discorso guerrafondaio ed antimperialista, che non lascia spazio a dubbi, dichiarando anzi, pur lasciando il comando, di voler continuare a militare «come un combattente rivoluzionario in più. Finché vivrò - ha aggiunto - sarò pronto a difendere la patria, la rivoluzione e il socialismo».
Solo il malcontento cresce. E, con esso, il numero dei dissidenti. Per l'intera durata del Congresso, attivisti dei diritti umani e giornalisti indipendenti sono stati interrogati, minacciati oppure assediati e costretti a restare nelle loro case, secondo quanto rivelato dall'autorevole quotidiano spagnolo Abc. Non solo. Un rapporto diffuso dall'Osservatorio cubano per i Diritti Umani ha denunciato nelle scorse settimane i 1.798 arresti arbitrari - col ricorso alla violenza in almeno 216 casi - e le 1.647 detenzioni forzate, tutti atti voluti e compiuti nel 2020 dal regime con un aumento dei divieti e delle restrizioni all'esercizio delle libertà individuali e con un aggravarsi della repressione in ogni campo, compresi cultura e spettacolo. Il tutto in un silenzio complice da parte dell'Occidente, Usa ed Unione europea in particolare, sinora limitatisi a bearsi della liberazione di qualche detenuto, anziché sradicare davvero il problema alla radice, chiedendo l'abrogazione delle leggi, che consentono alla leadership comunista cubana d'incarcerare in modo assolutamente arbitrario.
LA EX CATTOLICISSIMA SPAGNA... OGGI SOVIETIZZATA
A proposito di Europa, anche qui il comunismo gode purtroppo di ottima salute.
Nella Spagna un tempo cattolicissima, ma oggi sovietizzata, impossibile non dar conto del tentativo di condizionare lo svolgimento delle elezioni di Madrid, in agenda per il prossimo 4 maggio, tentativo posto in essere da molti gruppi di estrema sinistra con manifestazioni e disordini, verificatisi nei giorni scorsi tra Plaza de la Constitución e l'Assemblea. Solo l'intervento della Polizia ha impedito che nella capitale circa duemila facinorosi ricorressero alla violenza esplicita e brutale. Venerdì scorso, con un editoriale, il quotidiano Abc ha commentato in merito: «Né Madrid né la Spagna possono inserirsi in uno schema ideologico in grado di mortificare a tal punto la libertà».
Eppure c'è chi non capisce o finge di non capire. Al corteo, ancora una volta inscenato tra la Gran Via ed il centro di Madrid dal Partito comunista, da Izquierda Unida, da Juventud Comunista e da altri movimenti di Sinistra come il Fronte operaio spagnolo ed il Partito marxista-leninista, per celebrare i novant'anni dalla proclamazione della seconda repubblica spagnola, sono rispuntati in foto i volti di Lenin e di Stalin e, tra le bandiere, falce e martello e la stella rossa a cinque punte, di triste memoria. Tra gli slogan scanditi da centinaia di partecipanti, alcuni, tra cui «Per una Repubblica federale popolare! Per una Spagna sovrana!», hanno evidenziato la politica destabilizzante ed antimonarchica, da tempo perseguita in modo più o meno esplicito dalle sigle appartenenti allo stesso governo Sánchez, ponendo problemi seri di lealtà allo Stato ed alla Corona.
Del resto, a guidare le Sinistre in Spagna sono proprio i gruppi più estremi, come dimostrano Pablo Iglesias, secondo vicepresidente del governo nazionale, e sua moglie, il ministro per l'Uguaglianza Irene Montero, entrambi leader di Unidos Podemos, che hanno tirato per la giacca il Psoe-Partito socialista operaio spagnolo, "reo", a loro dire, di eccessive reticenze nel sostegno al progetto di «Legge Trans» e Lgbt, di cui viceversa vorrebbero l'approvazione ed in tempi rapidi. Prontissimi, per ottenere l'obiettivo, ad accusare di «transfobia» anche quanti, come il primo vicepresidente del governo Carmen Calvo (Psoe), abbiano "osato" definire la normativa proposta priva di garanzie giuridiche e pertanto da rivedere.
Contemporaneamente, Sara Hernández Barroso, sindaco progressista di Getafe, sorta di città-dormitorio a sud di Madrid, ha cercato di "sdoganare" la pedofilia, sostenendo che bambini ed adolescenti debbano avere, a dispetto dell'età, esperienze sessuali «ovviamente e chiaramente soddisfacenti ed ovviamente e chiaramente egualitarie», ciò che l'agenzia d'informazione InfoCatólica non ha mancato di stigmatizzare giustamente come una «politica di depravazione morale ed esistenziale». La giunta municipale guidata dal sindaco Barroso ha diffuso nelle scuole e presso gli istituti, tanto pubblici quanto privati, un'apposita guida in sei volumetti, pagata con soldi pubblici quindi di tutti, contenente slogan, testi ed immagini sin troppo espliciti (tra cui «Spegni la tv, accendi il tuo clitoride» ed un convinto invito alla masturbazione, ma l'elenco potrebbe drammaticamente continuare), al fine di spezzare, si legge, «stereotipi sessisti e creare un nuovo futuro, scoprire il sesso alla grande e viverlo senza limiti». Affermazioni che si commentano da sole a triste supporto di azioni, in realtà, con effetti devastanti sui minori, perché profondamente diseducative, gravemente immorali ed irrispettose nei confronti delle famiglie, cui sole spetta - ed a nessun altro - la responsabilità e l'autorità educativa primaria ed a cui non è stata viceversa chiesta alcuna autorizzazione, prima di diffondere la scandalosa pubblicazione.
LA CINA CONTINUA A FARE QUEL CHE VUOLE
Intanto, dalla parte opposta del globo terrestre, un altro colosso del comunismo mondiale, la Cina, continua a far quel che vuole, senza che nessuno gliene chieda conto oppure lo fa ma con voce sin troppo debole e smorzata, tanto da risultare assolutamente insignificante. Capitò già quando si trattò d'accogliere Pechino nei salotti buoni del commercio internazionale, senza nulla eccepire sulla questione dei diritti umani, letteralmente calpestati in casa propria dal gigante asiatico, come ormai arcinoto a tutti. Ed è capitato anche in occasione della pandemia da Covid-19, nonostante i ritardi colpevoli, i rifiuti e gli ostacoli sempre opposti dalla Cina a chiunque volesse inviare tecnici ed esperti, per individuarne le cause ed accertarne le responsabilità (come già avvenne per aviaria e Sars, sempre made in China). Oltre al danno, le beffe: grazie al mercato subito sviluppatosi proprio attorno al virus, la Cina nel primo trimestre 2021 ha registrato - caso unico al mondo - una crescita record del Pil pari al 18.3% ed una crescita complessiva del + 2,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, quando viceversa si ebbe un crollo del 6,8%, il peggiore degli ultimi 44 anni, ora già archiviato e dimenticato; a marzo, anche la produzione industriale ha avuto un incremento del 14,1%, mentre gli investimenti in capitale fisso sono aumentati del 25,6% e le vendite al dettaglio sono cresciute del 34,2% su base annua. Certo, la ripresa appare incerta, irregolare, la disoccupazione al 5,3% resta un problema e le previsioni si sono rivelate più ottimistiche della realtà, il che ha costretto ad abbassare anche gli obiettivi futuri, ma Pechino è decisa a recuperare terreno al più presto, puntando sulle esportazioni e sui consumi interni, consolidando la sua potenza e conservando intatta la dittatura comunista in casa propria, dittatura fatta degli ingredienti ad essa tipici ovvero laogai, arresti, detenzioni, violenze e prevaricazioni sulle minoranze, compresa quella cattolica, diritti umani negati e libertà recise. Nel silenzio generale.
L'elenco dei popoli oppressi dalla tirannide comunista potrebbe purtroppo continuare ed estendersi anche a quei Paesi formalmente "democratici", tuttavia vittime di quel radicalismo di massa, ch'è poi la propaggine involutiva del verbo marxista, "esportabile" laddove al potere non si possa giungere direttamente, tuttavia si possa incidere in modo significativo quanto meno a livello di mentalità, di usi e di costumi.
Il quadro complessivo non è per nulla rassicurante, anzi è tale da impedire all'Occidente di sentirsi al sicuro. Benché l'Occidente pare proprio non rendersene conto...
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