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« Torna agli articoli di Mauro Faverzani
Di nuovo. È successo di nuovo. Non a caso, non per una svista, né per un errore. Bensì deliberatamente, consapevolmente, pervicacemente. Il quotidiano della Cei, Avvenire, che ama definirsi genericamente «di ispirazione cattolica», quasi la sua non fosse sequela, apostolato, testimonianza, missione, bensì un tenue sentimento, un timido stato d'animo, un'intuizione senza impegno, dallo scorso 3 maggio ha ripreso a pubblicare in prima pagina, come manchette, accanto alla testata, a destra ed a sinistra, quindi con la massima evidenza possibile, la pubblicità del 5 per mille a favore dell'Arci.
Era già capitato l'anno scorso e già qui, con un articolo, evidenziammo l'anomalia: con tutte le associazioni e le realtà cattoliche benemerite, cui invitare i lettori a destinare il 5 per mille, sponsorizzare proprio l'Arci ha dell'incredibile. E proprio in quell'articolo ne sintetizzammo i motivi, ripercorrendo la storia di quest'organizzazione impregnata ancora oggi di Sinistra col pugno chiuso, di immigrazionismo spinto, di ideologia Lgbtqa+, di genderismo fatto di schwa e asterischi per Statuto e poi ancora di aborto, di suicidio assistito, di eutanasia, stracciando così pagine e pagine di Catechismo della Chiesa cattolica, infischiandosene della sua Dottrina con una foga che non fa certo rima con "accoglienza" dei valori altrui, con "ascolto" di chi solo la pensi diversamente, con un autentico "rispetto" di tutte le posizioni.
L'Arci ne ha per tutti coloro che non cantino col (suo) coro: sul suo sito, bolla senza mezzi termini e senza appello il governo Meloni d'esser «a trazione post-fascista», «pericoloso per la nostra Costituzione e per la nostra democrazia», si scaglia contro il decreto «anti-rave», monopolizza il 25 aprile, promuove la «Giornata internazionale della visibilità transgender» con tanto di «Carriera Alias» nelle scuole e via elencando.
L'ARCIGAY
Del passato l'Arci non rinnega nulla, anzi: anche nell'ultima redazione dello Statuto, approvata al XVIII Congresso nazionale del dicembre 2022, ribadisce di rappresentare «la continuità storica e politica» dell'«Associazione Ricreativa Culturale Italiana delle origini, fondata a Firenze il 26 maggio 1957», quella che affondava le proprie radici nel Pci, nel Psi e nella Cgil, come evidenziato da Vincenzo Santangelo, ricercatore presso l'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, nel suo libro Le Muse del popolo.
Nell'alveo dell'Arci sorse il 9 dicembre 1980 l'Arcigay, voluto da un sacerdote omosessuale, un teologo della liberazione sospeso a divinis, don Marco Bisceglia (riammesso nella Chiesa solo poco prima di morire, malato di Aids, dopo la supplica da lui inviata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, supplica in cui si pentì di quelli che chiamò «i miei errori e traviamenti»). Con lui collaborò a quest'avventura anche un allora giovane obiettore di coscienza in servizio civile, Nicola Vendola detto Nichi, che poi divenne suo convivente. Con la sua adesione al World Social Forum, l'Arci ha fatto sue le bandiere dell'antagonismo e della «globalizzazione alternativa» terzomondista, ribadendo la propria natura «antiliberista» ed «antimperialista».
Insomma, ce n'è abbastanza per indurre chi si dichiari cattolico a prender le distanze da posizioni tanto estremizzate e tanto lontane dal proprio credo. Anche quando si tratti di contratti pubblicitari, specie quando i messaggi contrastino con i propri ideali (ammesso che contrastino davvero)...Perché a Vespasiano, che sentenzia «pecunia non olet» («il denaro non puzza»), risponde Orazio, che argomenta «Est modus in rebus» («v'è una misura nelle cose») ed aggiunge: «Sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum» («Vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi ciò ch'è giusto»). Allora, perché insistere, un anno dopo, riproponendo la medesima pubblicità a scapito delle realtà cattoliche, che più e meglio l'avrebbero meritata? Allora è un vizio, verrebbe da commentare...Esattamente. Come conferma il Catechismo.
AVERSIO A DEO, CONVERSIO AD CREATURAS
Secondo San Tommaso d'Aquino, infatti, il peccato è «aversio a Deo» ovvero allontanamento cosciente e volontario da Dio, da Colui che infonde l'essere e la vita, aderendo viceversa alle creature, al mondo («conversio ad creaturas»). Coincide con quanto recepito nel Catechismo della Chiesa cattolica, che, al n. 1849, definisce il «peccato» come «una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo». Richiamando Sant'Agostino - e lo stesso San Tommaso, non a caso citato - bolla il peccato come «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna».
Ora, promuovere pubblicamente chi sostenga aborto, eutanasia e tutto quanto sopra richiamato allontana indubbiamente da Dio sé stessi ed, ahimè, anche il prossimo, essendo manifestamente contrario alla Legge eterna.
Il peccato inizia come seduzione e, specie quando ripetuto, diviene schiavitù. Come scrive ancora il Catechismo al n. 1876, «la ripetizione dei peccati, anche veniali, genera i vizi». Ed ecco, dunque, per quale motivo non appaia né sbagliato, né esagerato ritenere un «vizio» la promozione di ideologie contrarie alla fede, alimentando la confusione tra credenti e non. Nelle sue parole di commiato, Marco Tarquinio, che ha recentemente lasciato la direzione di Avvenire al collega Marco Girardo, ha scritto d'aver voluto «offrire a tutti un'informazione sempre limpida e libera, ancorata ai grandi valori cristiani e civili del nostro umanesimo». Certamente la scelta degli inserzionisti non è stata oculata, né coerente: lascia anzi una brutta eredità ed una pesante ipoteca sulla linea editoriale del giornale della Cei, linea che sarebbe bene a questo punto chiarire: infatti, «nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Lc 16, 13).
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