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« Torna agli articoli di Nico Spuntoni
Giornali e telegiornali hanno sparato ieri titoloni sul "sì a nozze e funerali celebrati dai laici" a proposito della nuova Istruzione curata dalla Congregazione per il Clero, parlando sensazionalisticamente di "svolta". Ma è davvero così? "La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa", questo il nome del documento approvato da papa Francesco il 27 giugno 2020, nel capitolo dedicato agli "Incarichi e ministeri parrocchiali" investe il "il Vescovo, a suo prudente giudizio" della possibilità di affidare "ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, sotto la guida e la responsabilità del parroco" alcuni compiti, tra cui "la celebrazione del rito delle esequie" e "dove mancano sacerdoti e diaconi", "previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la licenza dalla Santa Sede" la facoltà di assistere ai matrimoni.
Non è corretto, però, parlare di "svolta in Vaticano": infatti, come appare evidente anche nei rimandi, già nel n.9 dei Praenotanda compresi nell'Ordo Exsequiarum del 1969 viene disposto che le "esequie nella Liturgia della Parola possono essere celebrate dal diacono" e, "se la necessità pastorale lo esige, la Conferenza Episcopale può, con il consenso della Sede Apostolica, designare anche un laico". Una circostanza confermata nel 1997 nell' "Istruzione Ecclesiae de mysterio su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti", dove si legge che "i fedeli non ordinati possono guidare le esequie ecclesiastiche solo nel caso di vera mancanza di un ministro ordinato ed osservando le norme liturgiche in merito", precisando che "a tale compito dovranno essere ben preparati, sia sotto il profilo dottrinale che liturgico".
NULLA DI NUOVO
Dando un'occhiata a quest'ultimo documento, redatto 23 anni fa dalla Congregazione per il Clero insieme ad altri 7 dicasteri della Curia romana, è possibile smontare il sensazionalismo utilizzato da buona parte dei media per commentare la nuova Istruzione anche a proposito delle nozze: infatti, nell'articolo 10 dedicato proprio al "L'assistenza ai matrimoni", ci sono due capoversi che fanno riferimento alla "possibilità di delegare fedeli non ordinati ad assistere ai Matrimoni può rivelarsi necessaria, in circostanze molto particolari di grave mancanza di ministri sacri", specificando, però, che essa "è condizionata al verificarsi di tre requisiti: Il Vescovo diocesano (...) può concedere tale delega unicamente nei casi in cui mancano sacerdoti o diaconi e soltanto dopo aver ottenuto, per la propria diocesi, il voto favorevole della Conferenza episcopale e la necessaria licenza della Santa Sede".
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, con il documento approvato lo scorso 27 giugno: questa eventualità per le nozze, infatti, è già prevista nel Codice di Diritto Canonico nei canoni 1112 e 1116 laddove si dice che, in mancanza di sacerdote e diaconi, il Vescovo diocesano può delegare a presiedere anche un "laico idoneo" che sia "capace di istruire gli sposi e preparato a compiere nel debito modo la liturgia del matrimonio".
Piuttosto, va sottolineato il carattere di eccezionalità di questi casi non certo occultato nell'ultima Istruzione - differentemente da quanto fatto in molti titoli ed articoli giornalistici - con la conferma di quella che è la regola generale che, in quanto tale, può ammettere eccezioni pur col consenso della Conferenza Episcopale ed in accordo con la Santa Sede.
Il documento, al contrario, sembrerebbe voler mettere un freno a certe libertà interpretative che talvolta si concedono alcuni vescovi in merito alla partecipazione dei fedeli laici alla missione della Chiesa.
NO ALLA DISCREZIONE
Monsignor Andrea Ripa, infatti, nella presentazione d'accompagnamento all'Istruzione, scrive che "non è raro (...) che la visione della comunità parrocchiale e della cura pastorale proposti dal Magistero ecclesiale, dal Concilio Ecumenico Vaticano II fino all'insegnamento di Papa Francesco, e di conseguenza naturalmente entrati nella normativa canonica, diventino un quid troppo soggettivo, un vero 'secondo me', a discrezione del singolo Vescovo o del singolo gruppo, con interpretazioni non di rado improprie della vita di una comunità e del ministero dei pastori".
In questo stesso testo, il sotto-segretario della Congregazione per il clero ribadisce che il presente documento non contiene "novità legislative". E non a caso, in ambienti ecclesiali che potremmo semplicisticamente definire progressisti, l'uscita di "La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa" è stata accolta con grande amarezza e delusione, non senza critiche al pontefice accusato nemmeno troppo velatamente di aver esaurito definitivamente la sua spinta propulsiva riformatrice.
Ma d'altra parte, l'eredità del Concilio Vaticano II sulla collaborazione del laicato al ministero dei sacerdoti è riassunta in quanto disse San Paolo VI agli Uditori laici in un discorso del 1963: "la Chiesa è articolata in persone, organi e istituti che hanno distinte funzioni".
L'Istruzione divenuta pubblica ieri si colloca in questo solco, contrariamente a quanto sostenuto dai delusi. Quando denuncia il "clericalismo", molto spesso papa Francesco fa riferimento proprio alla "tentazione di clericalizzare i laici" presente in tanti preti, così come a quei "tanti laici (che) in ginocchio chiedono di essere clericalizzati". C'è da sperare che il modo fuorviante e superficiale con il quale buona parte dei media hanno annunciato novità - che in realtà non sono novità - su nozze ed esequie non esponga da domani i parroci alle richieste di chi vorrebbe farsi celebrare il matrimonio in chiesa dal migliore amico o dal capo ufficio.
Nota di BastaBugie: Luisella Scrosati nell'articolo seguente dal titolo "Stare con Gesù, solo così rifioriranno le vocazioni" spiega che la recente Istruzione della Congregazione per il Clero non è rivoluzionaria ma comunque risente di un approccio pastoralista. Era molto meglio l'appello di Papa Benedetto XVI a rivalutare la figura del Santo Curato d'Ars.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 23 luglio 2020:
La recente Istruzione della Congregazione per il Clero è stata lanciata dai media come una rivoluzione nella Chiesa cattolica. L'enfasi mediatica è stata portata, in particolare, sui paragrafi che semplicemente ricordano che in casi eccezionali, ove vi sia l'effettiva mancanza di sacerdoti e diaconi, un laico debitamente preparato può guidare le esequie e assistere ai matrimoni. È stato giustamente fatto notare che non di apertura si tratta, ma semmai di un chiarimento per evitare abusi in materia.
Una lettura complessiva dell'Istruzione non può tuttavia non suscitare qualche perplessità, almeno a chi scrive. Il titolo - La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa - è effettivamente evocativo del contenuto: ancora una volta stiamo a parlare di "svolte pastorali" per rilanciare l'evangelizzazione. È da più di cinquant'anni che a furia di svolte e conversioni pastorali abbiamo perso l'orientamento e forse sarebbe il caso di ritrovare la stella polare di una vera evangelizzazione e di orientare la rotta secondo questo riferimento immutabile. Se non altro, per l'evidenza del fallimento di un certo orientamento "pastoralista".
L'Istruzione parla soprattutto di parroci e parrocchie, di vicari foranei e unità pastorali; impossibile non pensare, per contrasto, che esattamente dieci anni fa si concludeva l'Anno sacerdotale (2009-2010), indetto da Benedetto XVI e che poneva come modello per i sacerdoti in cura d'anime il Santo Curato d'Ars. Allora, papa Benedetto proponeva una svolta cristocentrica come medicina per il nostro tempo. La vita di san Giovanni Maria Vianney altro non è stata che un immergersi in Cristo sacerdote, partecipando con la mortificazione al suo atto redentivo, per la salvezza delle anime della parrocchia a lui affidata; e molte altre giunsero a lui da tutta la Francia, senza alcuna particolare "iniziativa pastorale" per chiamarle.
La ricetta di Benedetto XVI per i parroci e le parrocchie, richiamando questo grande santo dell'Ottocento, prevedeva gli ingredienti di una forte identità sacerdotale, che si forgia nella frequente e perdurante adorazione del Santissimo Sacramento; di un ministero essenziale, che si muove dall'altare al confessionale; di un'intimità con il Signore Gesù, vissuta in primis dal sacerdote e comunicata per osmosi spirituale a tutti i fedeli; di una chiarezza della missione: la conversione propria e delle anime.
Durante l'Udienza generale del 5 agosto 2009, Benedetto XVI prescriveva la medicina per il nostro tempo: «L'insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d'Ars è che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un'intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all'amore misericordioso del Signore».
Da sempre la Chiesa ha ben chiaro che la vocazione primaria di chi è chiamato al ministero episcopale e sacerdotale è quella di vivere in una particolare intimità con il Signore, ponendo così le condizioni per essere dissetati dalla grazia che emana da Lui e nel contempo segnati dal desiderio di anime che asseta il Suo Cuore. «Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni» (Mc 3, 14-15); si tratta di un ordine metafisico: solo rimanendo con Lui è possibile predicare la Parola e scacciare il nemico dell'uomo.
Questo "stare" con Lui venne vissuto letteralmente da san Giovanni Maria Vianney, come ricorda ancora Benedetto XVI, «decidendo di "abitare" perfino materialmente nella sua chiesa parrocchiale: "Appena arrivato egli scelse la chiesa a sua dimora... Entrava in chiesa prima dell'aurora e non ne usciva che dopo l'Angelus della sera. Là si doveva cercarlo quando si aveva bisogno di lui", si legge nella prima biografia».
Quando ritroveremo il coraggio di chiedere ai parroci di non uscire quasi mai dalla propria chiesa e ancor meno dalla parrocchia, allora forse ritroveremo il vero senso della pastorale; e soprattutto vivremo una nuova primavera di vocazioni sacerdotali. Perché la vocazione principale del sacerdote è stare con il Signore, predicare, scacciare i demoni. Questo secondo la Parola di Dio, che rimane in eterno.
L'Istruzione appare tanto preoccupata di spingere ad una conversione missionaria, di trovare nuove forme adatte ai tempi moderni sempre più digitalizzati, di portare ad un non ben chiaro rinnovamento, ma dimentica di indicare quale sia - per richiamare il titolo di un classico della spiritualità - l'anima di ogni apostolato.
Si potrebbe pensare che «i metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali. Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato?», si chiedeva papa Benedetto. Eppure, «se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, quindi irripetibili, c'è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti siamo chiamati a coltivare […]. Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu "innamorato" di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l'amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che cercano Dio».
È questa la svolta di cui abbiamo immensamente bisogno.
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