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« Torna agli articoli di Paola Belletti
Arrivo in anticipo presso la sede di Holyart, una grande e bella struttura che si pianta solida nella campagna reggiana solcata dalla A1. È tutto nuovo, ordinato, vivace come l'approccio delle prime persone che vedo. Mi viene incontro Stefano Zanni, fondatore e Ceo di Pulchranet, di cui Holyart è il brand principale. È un'impresa di e-commerce che dal 2006 distribuisce in tutto il mondo articoli religiosi, con un fatturato di 15 milioni di euro: 160 i Paesi raggiunti dalle consegne, 67.000 gli articoli a catalogo, 70 i collaboratori. Lo seguo nella visita agli spazi, 10.000 metri quadrati tra magazzino semi-automatizzato (con capacità logistica fino a 2.000 pacchi a turno) e uffici, sale meeting, spazi comuni, È il più grande hub logistico di articoli religiosi d'Europa. Dall'autostrada il marchio "si legge" inequivocabilmente, quel little bit di inglese lo conosciamo tutti. In un corridoio a piano terra campeggiano i volti di quelli che Zanni definisce senza soggezione i titolari della serie A dell'economia digitale: Jobs, Musk, Zuckerberg, Bezos, etc; Holyart gioca nello stesso campionato, sebbene con dimensioni non paragonabili. «In questo settore le scorciatoie per evitarsi tanti problemi sono relativamente semplici da imboccare», mi dice pensando anche alla spregiudicatezza dei big, «ma io ho deciso di non prenderle».
La decisione dipende dal fatto che, oltre ad essere inaccettabili, possono alla lunga danneggiare la crescita?
«La mia decisone di fondo è fare quello che è giusto, del resto non mi devo e non mi voglio preoccupare».
Algoritmi, Ai, logistica... cosa può restare del romantico fattore umano in tutto questo? E di cattolico? Le cose, una volta avviate, funzioneranno quasi da sole...
«Uno dei fattori principali che ha costruito e consente il successo di Holyart - più 8% nel 2022, e una crescita che prosegue anche dopo la spinta eccezionale del periodo Covid - è il lavoro di descrizione e correzione continua delle schede articolo».
Un esempio emblematico?
«Ho scoperto che la maggioranza dei sacerdoti, dicendo Messa ogni giorno, sa quante particole contiene una pisside solo prendendola in mano, ma se nella scheda legge il diametro, non gli è utile. Ora, dopo averla testata, indichiamo la capienza, il dato che può portare alla decisione d'acquisto, e lo steso avviene per tutto».
Un continuo lavoro di ascolto clienti, dunque...
«All'inizio il dialogo è col fornitore, in seguito è soprattutto grazie ai preziosi feedback dei clienti che possiamo migliorare».
Siamo al 1° piano.
«Se giù ci sono i fuoriclasse da cui prendiamo la carica, qua invece si prende serenità».
I volti che costellano questo ambiente in effetti sono un'altra faccenda: Giovanni Bosco, Pio da Petralcina, Piergiorgio Frassati... li ha fatti scegliere ai suoi collaboratori e, tra i ritratti di questi sponsor del successo umano in senso stretto - che cos'è la santità, se non riuscita della nostra vera vocazione? -, c'è un sacerdote non ancora canonizzato a cui deve molto del suo cammino spirituale, don Pietro Margini, fondatore della Familiaris Consortio.
«Nel nostro customer care sono tutti madrelingua dell'area che ci interessa. In questo settore è fondamentale la dimensione culturale, che non si riduce alla competenza linguistica. Facciamo il 70% di vendite all'estero, i fornitori sono quasi tutti artigiani del made in Italy».
Dopo la grande abbuffata del periodo Covid, c'è stata una contrazione nel mercato digitale, mentre voi avete continuato a crescere. Qual è la ragione principale che giustifica questa tendenza?
«Ci siamo concentrati sui clienti già acquisiti. Abbiamo lanciato un servizio premium e fatto investimenti significativi in tecnologia, utilizziamo moduli di Ai e siamo in grado di proporre un cross selling mirato, grazie al milione circa di contatti al mese».
Cosa c'entra la fede nel suo modo di fare impresa e soprattutto di trattare le persone?
«Ho sempre sognato di fare l'imprenditore, anche grazie all'esperienza vissuta in famiglia, non però come obiettivo ultimo della vita. Piuttosto come mezzo per permettere alle persone di realizzare i progetti che Dio ha su ciascuno; non è una cosa che ostento, non tutti sono credenti, ed è una posizione psicologicamente costosa: bisogna affidarsi a Dio, su certe questioni devi proprio dire "ci penserà Dio".»
Per esempio?
«Se hai quattro dipendenti e una va in maternità, viene meno il 25% della forza lavoro, è successo tante volte all'inizio. Ma noi abbiamo deciso che si fa festa ogni volta che un collaboratore annuncia l'arrivo di un figlio: accogliamo con gioia e incoraggiamento le nascite anche con un contributo economico, ora intorno ai 2.000 euro».
Come riesce a integrare i serrati ritmi aziendali con quelli della maternità e dell'essere genitori?
«Da imprenditore discrimino intenzionalmente le persone, perché chi ha una famiglia ha diritti e bisogni in più di chi non ha figli. Usiamo dove è utile lo smart working e definiamo con ogni mamma l'orario più adatto per ogni fase di vita del figlio».
Il fatto che lei sia in questo settore è legato al caso fortuito di un residuo di negozio, quello del suo amico e attuale socio, Gabriele Guattieri. Farebbe impresa allo stesso modo se fosse in un altro settore?
«È la più bella domanda che mi sia stata fatta su questo tema. Il mio ingresso nel mondo del lavoro è stato da dipendente, settore oleodinamica. In tutte le officine mi imbattevo nella terribile abitudine alla bestemmia, un vero shock, e i poster appesi non erano certo di Jobs o Musk, né di Padre Pio. La testimonianza cristiana nel lavoro è un tema decisivo anche dal punto di vista educativo; pensare che se l'azienda fosse tua allora sarebbe diverso, è un'illusione: chi non ha il coraggio della testimonianza da dipendente, fatica anche da imprenditore».
Ha trovato questa difficoltà anche lei?
«In realtà no, ma per pura grazia. Non ho scelto di fare l'imprenditore di articoli religiosi, ma si vede che il Signore ha ascoltato le mie preghiere. Se avesse visto che avevo le capacità di vivere il lavoro così anche in un'impresa metalmeccanica, forse avrei fatto quella».
Essere credente e imprenditore sono dimensioni che possono correre vicine ma parallele o tra le due c'è un rapporto diverso per lei?
«Per me essere un imprenditore è il frutto del desiderio del cuore e della pietà di Nostro Signore nei confronti dei miei limiti. È come se avesse detto: «Non ce la farà mai in un ambiente troppo lontano; facciamo in modo che tutti i giorni venda crocifissi, Madonne e segni concreti che gli ricordino la Mia presenza e aiutino tutti, musulmani, atei, cattolici ad avere uno sguardo diverso sul lavoro". Oggi posso dire che le due dimensioni si sono strettamente incontrate. Fare l'imprenditore è per me una questione anzitutto vocazionale, e lo è diventata per tanti, soci e collaboratori».
Quando le scorciatoie immorali non sono facili da riconoscere ed evitate come fa?
«Nessun e-commerce sopravvive nel lungo periodo se non sta aperto 7 giorni su 7, h 24, ma noi non lavoriamo il sabato e la domenica».
Nessuno? Mai?
«Nessuno, salvo rarissime occasioni. Ci sono cose che vengono prima del business, il che non significa che ce ne infischiamo del business, ma che facciamo l'impossibile per stare dentro questo gioco, modificando le regole che non ci piacciono».
Tutto questo, che si traduce in valori e clima aziendale, arriva al cliente che riceve un pacco dall'altro capo del globo?
«Sì. Come? Perché? Non lo so, ma arriva. Basta legger le recensioni che lasciano i clienti per rendersene conto. Lo stile, l'energia, l'attenzione per il prodotto e il cliente, che passano da come si risponde la telefono e in chat o si prepara l'imballo, entrano nel pacco e quando il cliente lo apre, li trova. Facciamo 15 milioni di fatturato con migliaia di articoli "inutili" che però sono simboli di fede: il contenuto che veicolano va oltre l'oggetto in sé».
Quali sono i rapporti importanti che la aiutano a prendere le decisioni?
«Tantissimi: do il merito di molte decisioni a incontri provvidenziali con persone competenti. Nel quotidiano mi aiuta il confronto con i collaboratori. Tutto quello che ho vissuto fino ad oggi è illuminato dalla direzione spirituale e dalla preghiera, azienda compresa. Mi conosco, so che sono una persona ambiziosa, e poiché la materia è così delicata la mia preghiera è questa: "Non c'è bisogno che Tu mi dia altra benzina, ne ho fin troppa. Quello che facciamo è più importante per la Chiesa e i cristiani, che non per il valore dell'azienda in sé; nella misura in cui vedi che prende una brutta strada, fermala". Temo poco il fallimento e molto l'essere di scandalo per la Chiesa, i giovani, i bambini. Non avrei questo timore se vendessi borracce».
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