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« Torna agli articoli di Renzo Puccetti
Provate ad andare su un qualsiasi motore di ricerca della rete, cliccate sulla funzione 'ricerca immagini' e digitate 'femministe' sulla vostra tastiera.
Troverete una sfilza di foto ottenute in tempi e luoghi diversi, il simbolo più ricorrente sono le mani unite a mimare l'organo genitale femminile, ma non mancano i seni al vento.
Ricordo ancora una puntata del Maurizio Costanzo Show, il programma condotto dal campione della tolleranza ideologica, in cui una prostituta fu invitata ad illustrare la sua scelta. Mi ricordo il senso delle sue parole: perché rinunciare ad un mestiere che le consentiva di guadagnare in una sola serata il corrispettivo di un intero usurante mese di lavoro come operaia?
Perché sfiancarsi ad accudire marito e figli, quando invece il mestiere di prostituta la metteva in contatto con personaggi importanti e facoltosi?
Un unico filo comune lega quelle rivendicazioni femministe alla scelta della prostituta sotto i riflettori: l'autodeterminazione, quello stesso principio espresso nell'arcaico slogan "il corpo è mio e lo gestisco io".
L'apparato mediatico e ideologico relativista ha per decenni sostenuto in tutte le salse quel principio di autodeterminazione sciolto da ogni istanza veritativa pervicacemente negata in tutte le circostanze: non esiste né vero, né falso, ma solo opinioni, il bene di un'azione non consiste nel contenuto della scelta, ma nella libertà di effettuare la scelta.
Per anni si sono adoperati per accreditare il sesso pre ed extramatrimoniale, il sesso adolescenziale, l'educazione alla sessualità liberata dal peso della fecondità, il sesso sulle copertine, il sesso nel cinema, il sesso in ogni spazio. Sesso nelle scuole coi distributori di preservativi, fuori dalle scuole con le prescrizioni a catena di pillole del giorno dopo, nemmeno la consacrazione religiosa doveva restarne immune; il celibato ecclesiastico è sempre stato giustamente percepito come una silenziosa, intollerabile testimonianza vivente del credere nel regno dei cieli.
Il corpo delle donne dal '68 della rivoluzione sessuale è stato fino ad oggi esposto per sottrarlo al pudore, ritenuto segno di sottomissione all'oppressione della società dei maschi.
Oggi le donne scendono in piazza per protestare a difesa della loro dignità che dicono essere stata sfregiata. Verrebbe da dire 'finalmente!'; hanno capito che non può esserci vera libertà senza verità? Hanno compreso che uomo e donna hanno una dignità grande rispettata da certe azioni e violata da altre?
Avranno cominciato a comprendere che esiste un significato intrinseco proprio di un'azione, che esso non necessariamente corrisponde a quello attribuito dall'intenzione, che fare sesso non è lo stesso che fare l'amore, quello vero, quello che vuol dire voglio il tuo bene donandomi tutto a te e prendendo tutta te, ora e per sempre?
Con un po' di ottimismo se la manifestazione di oggi fosse sincera ci si potrebbe aspettare di vedere sventolare i librettini della lettera apostolica di Papa Giovanni Paolo II 'Mulieris dignitatem' e persino osare sperare di vedere i cortei trasformarsi in processioni.
E invece niente di tutto questo accadrà. Oggi si manifesterà avendo nel cuore lo stesso principio di autodeterminazione delle femministe di quarant'anni fa, le più giovani delle quali oggi sono nonne: del proprio corpo la donna può farci quel che vuole, tutto va bene, ogni cosa è lecita, basta che non lo conceda al cavaliere.
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