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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
Ormai ogni due per tre o tre per due i cattolici vengono sollecitati a protestare e magari raccogliere firme per far ritirare l'ennesima «opera d'arte» blasfema. Faccio presente che il più delle volte il risultato di simili campagne è moltiplicare le opere in questione, perché, cessata la chiamata a raccolta contro il film Netflix con un Gesù omosessuale, ecco spuntare la antica suora lesbica. E ormai sono anni che ogni volta ce n'è una nuova. Non si può vendere un prodotto senza far sapere al pubblico che tale prodotto esiste e che val la pena di essere comprato. Si chiama pubblicità e distingue i prodotti «di marca» da quelli sconosciuti, i quali hanno il vantaggio di costare meno ma la gente ne diffida. Solo che la pubblicità costa un sacco di soldi, anche perché deve penetrare in testa alla gente meglio di quella concorrente.
Così, niente di meglio che sollevare uno scandalo, e ci penseranno gli scandalizzati a far pubblicità gratis. Ora, dal momento che ogni «trasgressione» è stata sperimentata e, anzi, ormai trasgressivo è sinonimo di conformista, l'ultima sponda è la religione. Cattolica, ovvio, perché in quella islamica - faccio un esempio - c'è chi ha la mano nervosa e già un regista olandese ci ha lasciato la pelle. Le altre non hanno i numeri per sollevare il «caso» o semplicemente se ne fregano (o sono magari d'accordo). Dicevo di registi, perché l'ultima «provocazione» (uffa, che p...!) è un film presentato al solito festival, Cannes mi pare, dove non ha fatto particolare rumore.
Mò prova il rilancio. Speriamo non grazie proprio alla raccolta di firme di cui dicevo. Si tratta di Benedetta di Paul Verhoeven, regista e soggettista olandese pure lui, basato sul libro Atti impuri. Vita di una monaca lesbica nell'Italia del Rinascimento di Judith C. Brown (a quanto pare il cognome Brown inclina a esplorare la storia cattolica). La vicenda avrebbe già ispirato un lavoro teatrale canadese di un'altra donna, Rosemary Rowe, e parla di tal Benedetta Carlini, monaca a Pescia, Toscana, nel Seicento, a Rinascimento finito da un pezzo.
Pare che costei avesse accusato assalti demoniaci, allo scopo di farsi assistere nella sua cella dalla consorella Bartolomea. Fino a che il trucco non venne scoperto. Ora, il Verhoeven, abbandonata la fantascienza che pur gli aveva dato soldi e fama, da anziano si sta dedicando a temi politicamente corretti, come la violenza sulle donne (Elle, film precedente) e, due piccioni con una fava, la repressione cattolica della sessualità, quella Lgbt in special modo. Ebbene, se certe cose non ci piacciono, non compriamole.
Se certi film ci dispiacciono, non guardiamoli. Ma chiedere di vietarli o di farli ritirare è un boomerang. Anche perché, come detto, incoraggia altri a buttarsi nel filone. L'unica è ignorarli. Così, quando loro e i loro epigoni si accorgeranno che il giochetto non funziona più, saranno costretti ad andare a scandalizzare qualcun altro. Se qualcuno, in epoca di YouPorn gratuito, vuol pagare per vedere due attrici - magari personalmente etero- impegnate ad avvinghiarsi tra loro per guadagnarsi da vivere e (forse) diventare famose, si accomodi pure.
Sappia però che il contesto pruriginoso, il convento, è di vecchio conio, risale al settecentesco Diderot e perfino al trecentesco Boccaccio (ma con ben altra arte), per finire con l'arenarsi nelle pellicole italiane anni Settanta con Gloria Guida e Edvige Fenech. Déjà vu, insomma, e almeno quelle facevano ridere. Per quanto riguarda il Verhoeven, era apprezzato di più - anche dai cattolici - per Robocop, Atto di forza, Fanteria dello spazio. I festival danno solo statuette e coppe, e tante pacche sulle spalle dai colleghi. E poi: ci tenete tanto a vedere le suore lesbiche? Aspettate, se vincono premi festivalieri le vedrete prima o poi al cineforum parrocchiale. Contenti voi...
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