« Torna agli articoli di Roberto De Mattei


NESSUNA AUTORITA' SU QUESTA TERRA PUO' GIUDICARE IL PAPA E LA CHIESA
Altrimenti la Chiesa viene privata della sua dimensione giuridica sovranazionale e ridotta ad associazione privata
di Roberto de Mattei
 

«Prima sedes a nemine iudicatur». «La Sede Apostolica Romana non può essere giudicata da nessuno», recita il canone 1404 del Codice di Diritto Canonico attualmente in vigore. Le origini di questo assioma sulla ingiudicabilità papale sono antiche e gloriose. Esso fu formulato da san Gregorio VII nel Dictatus Papae (1075) contro il cesaropapismo tedesco; fu proclamato da Bonifacio VIII nella Bolla Unam Sanctam (1302) contro il gallicanesimo di Filippo il Bello; fu definito dal Concilio Vaticano I (1870) contro il laicismo liberale. È da questa affermazione di principio che deve partire una reazione alle aggressioni del relativismo contemporaneo che non voglia essere timida e velleitaria. Non dobbiamo sforzarci di dimostrare che il Papa è “innocente” delle ignobili accuse di “correità” con i crimini della pedofilia. Dobbiamo innanzitutto ribadire che il Papa non può essere giudicato da nessuno e respingere con sdegno i tentativi di portare la Chiesa in tribunale. Parliamo della Chiesa, non di singoli vescovi o sacerdoti. I reati che possono essere commessi da singoli uomini di Chiesa non possono mai essere addossati alla Chiesa in quanto tale, perché Essa è una società giuridica perfetta, per sua natura ingiudicabile. Eppure, è proprio su questo punto che si svolge l’attacco in corso. Ciò che sta accadendo deve farci riflettere. Il 24 giugno a Bruxelles, mentre era in corso una riunione della Conferenza Episcopale, una trentina di poliziotti, su ordine della magistratura, hanno fatto irruzione nell’Arcivescovado e trattenuto per nove ore in stato di fermo i vescovi presenti. Lo stesso giorno, armati di martelli pneumatici, i poliziotti sono scesi nella cripta della cattedrale di Saint Rombout a Malines, ed hanno profanato le tombe dei cardinali Jozef-Ernest Van Roey e Léon-Joseph Suenens, defunti Arcivescovi di Malines-Bruxelles, alla ricerca di improbabili “documenti”. Sono stati inoltre sequestrati tutti i 475 dossier sulla pedofilia, in esame da parte di una Commissione indipendente nominata dalla curia e, qualche giorno dopo, è stata perquisita l’abitazione del cardinale Godfried Danneels, primate dal 1979 al 2009 della Chiesa belga, che ha trascorso dieci ore sotto interrogatorio negli uffici di polizia. È fin troppo chiaro che con il pretesto di un’indagine su casi di pedofilia si vorrebbe portare in giudizio, e screditare mediaticamente, non questo o quel prelato, ma l’intera Chiesa belga. Nulla di simile contro la Chiesa era accaduto in Europa dai tempi della guerra civile di Spagna (1936-1939). Ma quanto è avvenuto pochi giorni dopo negli Stati Uniti è ancora più preoccupante. Il 29 giugno, la Corte suprema ha tolto l’immunità giuridica alla Chiesa in America, ammettendo che le autorità vaticane possano essere imputate in un processo nell’Oregon per abusi sessuali commessi da un religioso. La Chiesa è di fatto privata della sua dimensione giuridica sovranazionale e ridotta ad associazione meramente privata, in cui i superiori rispondono in solido delle colpe dei propri dipendenti. Teoricamente, quindi, questo tribunale potrebbe convalidare la chiamata in causa come imputati di Papa Benedetto XVI, del suo segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone e del nunzio apostolico negli Stati Uniti, l’arcivescovo Pietro Sambi. Ciò avviene mentre alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI in Inghilterra alcuni militanti ateisti hanno formulato la medesima richiesta alla magistratura di quel Paese. Alcune considerazioni a questo punto si impongono. Negli anni del Concilio si disse che la Chiesa avrebbe dovuto abbandonare toni fermi e posizioni intransigenti per cercare il dialogo con il mondo moderno: un mondo che non era ostile o estraneo ad essa, ma l’avrebbe anzi arricchita nel mutuo confronto. L’avanguardia di questa nuova “pastorale” si trovava in Centro-Europa e aveva il suo campione nel cardinale Leo-Joseph Suenens, primate del Belgio, l’uomo che nel 1968 guidò la resistenza a Paolo VI sull’Humanae Vitae. Ma oggi il Belgio, che è il Paese più secolarizzato d’Europa, non ha pietà neppure per la sua tomba. I cattolici hanno mutato il loro atteggiamento verso il mondo praticando un falso dialogo, ma il processo di scristianizzazione non si è arrestato. Il mondo non si è lasciato “permeare” dall’influenza della Chiesa, ma si è organizzato contro di essa. Come negare l’esistenza di una strategia di aggressione anticristiana coerente e sistematica, al punto da voler rimuovere la stessa presenza del Crocifisso da ogni luogo pubblico? Benedetto XVI ha annunciato, il 28 giugno, la creazione di un Consiglio Pontificio per la nuova evangelizzazione dei Paesi che per primi hanno ricevuto in Europa la fede cristiana. La parola di nazioni “apostate” non è stata pronunciata, senza dubbio perché la canea mediatica, come osserva Jean Madiran, vi vedrebbe una dichiarazione di guerra (“Présent”, 3 luglio 2010). Ma lo stesso Benedetto XVI, il 24 marzo 2007, ha già usato il termine di “apostasia” per indicare il cammino a ritroso che va percorrendo l’Europa dei nostri giorni: dalla fede cristiana a un tribalismo dissolvitore in cui nulla rimane dei principi e delle istituzioni che già fecero grande il nostro continente. Quando gli Stati impongono ai loro popoli l’educazione sessuale obbligatoria, il “matrimonio” omosessuale, l’aborto, l’eutanasia, la distruzione degli embrioni, si macchiano di apostasia perché capovolgono l’ordine naturale e cristiano trasmesso loro dai primi evangelizzatori. Ciò avviene seguendo un piano preciso promosso da centrali anticristiane, che ora alzano il tiro. Nella battaglia in corso, la Chiesa non ha una forza politica, economica o mediatica da poter opporre al mondo. L’unica arma di cui dispone è quella della verità religiosa e morale di cui è custode. La Chiesa infatti, diceva Pio XII, «è una potenza religiosa e morale, la cui competenza si estende a tutto il campo religioso e morale, e questo a sua volta abbraccia l’attività libera e responsabile dell’uomo, considerato in se stesso e nella società» (Discorso del 12 maggio 1953). Essa rivendica il diritto di giudicare gli uomini e le società in nome della legge divina e naturale che custodisce, ma non può essere giudicata da alcuna autorità umana, perché nessuna autorità sulla terra le è moralmente o giuridicamente superiore. Definire la verità, condannare l’errore, fa parte della sua missione. Questa missione postula la libertà e l’indipendenza dal potere civile. La Chiesa, nel corso della sua storia, ha sempre combattuto per difendere la propria libertà contro le prevaricazioni dei potenti di turno. «Nell’affidare a Pietro il proprio gregge, il Signore non ha certo inteso fare eccezione per i re», scriveva san Gregorio VII, rivendicando il principio della suprema e universale giurisdizione del Pontefice su tutti gli uomini, non eccettuati i re, riassunto dalla 19 sentenza del Dictatus Papae. Nel suo discorso del 29 giugno, il Papa ha rivendicato, come san Gregorio, la «libertas ecclesiae» e ha osservato che «se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr. Mt 10, 16-33) – non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto». Vi è però «una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali che cercano di impedirne o coartarne la missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l’autenticità e la credibilità» (“Osservatore Romano”, 30 giugno 2010). Ciò significa che è al proprio interno che la Chiesa deve trovare le risorse della sua rinascita. Benedetto XVI sembra esserne convinto. La Chiesa, come nell’undicesimo secolo, ha bisogno di una grande riforma spirituale. Ma questa riforma, come fu ai tempi di Ildebrando da Saona e di Pier Damiani, deve avere il suo fulcro nella consapevolezza del Primato religioso e morale, su ogni creatura, del Romano Pontefice.

 
Fonte: Radici Cristiane, agosto-settembre 2010