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« Torna agli articoli di Roberto De Mattei
Che cosa sta succedendo in queste settimane nell'Africa settentrionale? L'analisi geopolitica non può essere mai separata dalla conoscenza storica. E la storia ci dice che la bella e fertile fascia costiera che dall'Egitto attraverso la Cirenaica, la Tripolitania, la Tunisia e l'Algeria giunge fino al Marocco, dopo aver conosciuto il dominio di Cartagine, costituì, sotto l'Impero di Roma, uno dei più fiorenti centri del Cristianesimo.
L'Africa, tra il III e il V secolo, fu la culla della grande letteratura cristiana latina con Tertulliano, Cipriano, Agostino. Berberi di quelle terre furono i Papi Vittore I, Melchiade, Gelasio II e grandi santi come Monica, madre di Agostino, e i martiri Cipriano, Perpetua e Felicita. Si calcola che nel V secolo, metà dei cristiani allora esistenti nel mondo vivevano nell'Africa mediterranea con circa 600 diocesi. I vescovi africani si distinsero per la loro ortodossia, nella lotta contro gli eretici, tanto che san Prospero d'Aquitania poté scrivere: «O Africa, ciò che tu decreti è approvato da Roma e seguito dall'Impero».
Il grande edificio cristiano conobbe un'epoca di decadenza, ben descritta da Saviano di Marsiglia e fu infine distrutto dai Vandali di Genserico, che nel 435, conquistarono Cartagine. Al dominio feroce dei Vandali ariani, successe nel VI secolo, quello dei Bizantini, contro il quale l'episcopato africano continuò a difendere la sua ortodossia, opponendosi alle innovazioni dogmatiche di Giustiniano e di Eraclio. Finché, nella seconda metà del VII secolo, irruppero in Africa settentrionale gli arabi maomettani.
Solo la duplice disfatta subita sotto le mura di Bisanzio (716-717) e a Poitiers (732), ad opera di Carlo Martello, arrestò la marea islamica che si era avventata contro la Cristianità. Tutta l'Africa del Nord, dall'Egitto allo stretto di Gibilterra, cadde nelle mani degli infedeli, che intrapresero la distruzione sistematica di ogni vestigia cristiana. Furono secoli di degrado, in cui l'Africa smarrì la sua civiltà e la sua prosperità commerciale. Solo nel XIX secolo quelle terre trovarono, se non più l'unità spirituale, almeno quella politica, sotto il dominio coloniale delle potenze europee. Poi, dopo le due guerre mondiali del XX secolo, il cosiddetto "processo di decolonizzazione", intrapreso per liberare quei popoli, li consegnò in realtà a satrapi e dittatori corrotti, all'ombra di una influenza crescente dell'islamismo.
Oggi una serie di "Rivoluzioni arabe" scuotono quelle terre. Su un punto tutti gli analisti concordano: nei Paesi nordafricani dopo le "rivoluzioni" del 2011, non tutto sarà come prima. Che cosa cambierà? A questo punto gli osservatori si dividono. Alcuni pensano che sia possibile servirsi strumentalmente degli estremisti religiosi per abbattere i regimi totalitari, nell'illusione di riuscire, poi, ad impedire a questi estremisti di esercitare il potere. Altri ritengono che, per combattere il fondamentalismo, bisogna concedergli la possibilità di andare democraticamente al potere, nell'illusione che la assunzione di responsabilità da parte dei musulmani radicali porti ad una loro de-islamizzazione.
I pessimisti prevedono che l'Islam fondamentalista conquisterà i Paesi del Maghreb e del Machrek; gli ottimisti sono convinti che per questi popoli si apre una nuova era di democrazia; gli incerti, incapaci di prevedere quanto è avvenuto, si confessano ancor meno capaci di prevedere cosa accadrà. Un punto però è fermo. Non c'è bisogno di essere "complottisti" per sapere che le Rivoluzioni popolari e spontanee non esistono. Un regime crolla quando i suoi vertici sono corrotti e quando esiste una minoranza organizzata in grado di impadronirsi del potere. E l'unica minoranza organizzata che opera in queste terre sono oggi i Fratelli Musulmani, sotto diverse denominazioni, dal Fis (Fronte di salvezza islamico) in Algeria, ad Hamas nei territori palestinesi.
Oggi il punto di riferimento dei Fratelli Musulmani non è l'Islam di Khomeini, ma, come ha affermato Ali Belhadj, leader del Fis, in un'intervista al "Corriere della Sera" (20 febbraio 2011), la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, l'autore del trasbordo dalla Turchia filo-occidentale a quella islamista. Il 1 marzo Erdogan ha cancellato una visita ufficiale a Bruxelles per prendere parte alle esequie di Necmettin Erbakan, il padre del fondamentalismo turco di cui è stato pupillo fino al 2001, quando ha fondato il partito Giustizia e Sviluppo.
«Gli europei sono malati... Daremo loro le medicine. Tutta l'Europa diventerà islamica. Conquisteremo Roma», aveva dichiarato Erbakan ad Arnheim, in Germania, nel 1989. In termini non diversi si è recentemente espresso lo sceicco Yusuf al Qaradawi, guida spirituale dei Fratelli Musulmani, in una "fatwa" promulgata nel 2005: «Infine l'Islam governerà e sarà il padrone di tutto il mondo. Uno dei segni della vittoria sarà che Roma verrà conquistata, l'Europa verrà occupata e i cristiani sconfitti». Lo stesso al Qaradawi, dopo trent'anni di esilio è tornato trionfalmente in Egitto per dirigere, il 18 febbraio, la preghiera della "marcia della vittoria" nella piazza Tahir del Cairo, davanti a una folla immensa che acclamava la Rivoluzione araba.
San Pio X affermava che non c'è civiltà, nel mondo al di fuori del Cristianesimo, e che l'allontanamento dei popoli dal Cristianesimo è la misura del declino della civiltà. Questa affermazione è stata confermata dalle vicende storiche e politiche del ventesimo secolo e di quello che si apre. Abbiamo la certezza che fino al giorno in cui la fede cristiana non tornerà a infondere la civiltà nelle terre d'Africa quei popoli non conosceranno pace e benessere, ma costituiranno una fonte di instabilità e di minaccia da cui l'Europa deve guardarsi, senza illudersi nell'avvento di "primavere arabe" che potrebbero preludere, anche per noi, ad un gelido inverno di "dhimmitudine".
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