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« Torna agli articoli di Roberto De Mattei
Nel suo capolavoro L'anima di ogni apostolato, dom Jean-Baptiste Chautard (1858-1935), abate trappista di Sept-Fons, enuncia questa massima: «A sacerdote santo corrisponde un popolo fervente; a sacerdote fervente un popolo pio; a sacerdote pio un popolo onesto; a sacerdote onesto un popolo empio» (L'anima di ogni apostolato, Edizioni Paoline, Roma 1967, p. 64) . Se è vero che c'è sempre un grado di vita spirituale in meno tra il clero e il popolo cattolico, dopo il voto di Dublino dello scorso del 22 maggio, si dovrebbe aggiungere: «A sacerdote empio corrisponde popolo apostata».
L'Irlanda è infatti il primo paese in cui il riconoscimento legale dell'unione omosessuale è stato introdotto non dall'alto, ma dal basso, per via di referendum popolare; ma l'Irlanda è anche uno dei Paesi di più antica e radicata tradizione cattolica, dove è ancora relativamente forte l'influenza del clero su una parte della popolazione.
DOV'È LA NOVITÀ?
Non è una novità che il "sì" alle nozze gay fosse appoggiato da tutti i partiti, di destra, di centro e di sinistra; non stupisce che tutti i media abbiano sostenuto la campagna LGTB, né che vi sia stato un massiccio intervento finanziario straniero a favore di questa campagna; è scontato il fatto che, avendo votato il 60 % della popolazione, solo il 37,5 % dei cittadini abbiano espresso il loro sì e che il governo abbia mischiato abilmente le carte, introducendo nel gennaio 2015 una legge che consente l'adozione omosessuale, prima del riconoscimento dello pseudo-matrimonio gay. Ciò che desta il maggiore scandalo sono i silenzi, le omissioni e le complicità dei sacerdoti e vescovi irlandesi nel corso della campagna elettorale.
Un esempio basti per tutti. Prima delle elezioni, l'arcivescovo di Dublino Diamund Martin ha dichiarato che egli avrebbe votato contro il matrimonio omosessuale ma non avrebbe detto ai cattolici come votare (LifeSiteNews.com, 21 maggio). Dopo il voto ha dichiarato alla televisione nazionale irlandese che «non si può negare l'evidenza» e che la Chiesa in Irlanda «deve fare i conti con la realtà». Quanto è accaduto ha aggiunto mons. Martin, «non è soltanto l'esito di una campagna per il sì o per il no, ma attesta un fenomeno molto più profondo», per cui «è necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche».
Questa posizione riflette, in generale e tranne poche eccezioni, quella del clero irlandese, che ha adottato la linea che in Italia auspica il segretario generale della CEI mons. Nunzio Galantino: evitare ad ogni costo polemiche e scontri: «non si tratta di fare a chi grida di più, i "pasdaran" delle due parti si escludono da sé» ("Corriere della Sera", 24 maggio). Il che significa, accantoniamo la predicazione del Vangelo e dei valori della fede e della Tradizione cattolica, per cercare un punto di incontro e di compromesso con gli avversari.
LETTERA DI BENEDETTO XVI AI CATTOLICI DI IRLANDA
Eppure il 19 marzo 2010, nella sua Lettera ai cattolici di Irlanda, Benedetto XVI aveva invitato il clero e il popolo irlandese a ritornare «agli ideali di santità, di carità e di sapienza trascendente», «che nel passato resero grande l'Europa e che ancora oggi possono rifondarla» (n. 3) e a «trarre ispirazione dalle ricchezze di una grande tradizione religiosa e culturale» (n. 12), che non è tramontata, anche se ad essa si è opposto «un rapidissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all'insegnamento e ai valori cattolici» (n.4).
Nella Lettera ai cattolici di Irlanda, Benedetto XVI afferma che negli anni Sessanta, fu «determinante» «la tendenza da parte di sacerdoti e di religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo». Questa tendenza è la medesima che riscontriamo oggi. Essa è stata la causa di un processo di degradazione morale che dagli anni del Concilio Vaticano II ha travolto come una valanga costumi e istituzioni cattoliche. Se oggi gli irlandesi, pur restando in maggioranza cattolici, abbandonano la fede, la ragione non è solo la perdita di prestigio e di consensi della Chiesa in seguito agli scandali sugli abusi sessuali.
La vera causa è la resa culturale e morale al mondo da parte dei loro pastori, che accettano questa degradazione come un'evidenza sociologica, senza porsi il problema delle proprie responsabilità. In questo senso il loro comportamento è stato empio, privo di pietà, offensivo nei confronti della religione, anche se non formalmente eretico. Ma ogni cattolico che ha votato sì, e dunque la maggioranza dei cattolici irlandesi che si sono recati alle urne, si è macchiata di apostasia. L'apostasia di un popolo la cui costituzione si apre ancora con un'invocazione alla Santissima Trinità.
L'apostasia è un peccato più grave dell'empietà, perché comporta un esplicito rinnegamento della fede e della morale cattolica, ma la responsabilità più pesante per questo peccato pubblico risiede nei pastori che con il loro comportamento l'hanno incoraggiato o tollerato. Le conseguenze del referendum irlandese saranno ora devastanti.
IL CONSESSO DEGLI "ILLUMINATI" DELLA NUOVA CHIESA
Quarantotto ore dopo il voto si sono riuniti a Roma, sotto la guida del cardinale Reinhard Marx, i principali esponenti delle conferenze episcopali tedesca, svizzera e francese per pianificare la loro azione in vista del prossimo Sinodo. Secondo il giornalista presente ai lavori, «matrimonio e divorzio», «sessualità come espressione dell'amore» sono i temi di cui si è discusso ("La Repubblica", 26 maggio 2015).
La linea è quella tracciata dal cardinale Kasper: la secolarizzazione è un processo irreversibile al quale bisogna adattare la realtà pastorale. E per l'arcivescovo Bruno Forte, lo stesso che nello scorso Sinodo chiedeva «la codificazione dei diritti omosessuali», e che è stato confermato dal Papa segretario speciale del Sinodo sulla famiglia, «si tratta di un processo culturale di secolarizzazione spinta nel quale l'Europa è pienamente coinvolta» ("Corriere della sera", 25 maggio 2015). [...]
Nota di BastaBugie: per capire cosa è successo nell'incontro segreto di cui parla Roberto de Mattei ecco l'interessante articolo di Mauro Faverzani pubblicato il 27 maggio 2015 su Corrispondenza Romana
Erano in 50 tra porporati, alti prelati e teologi i partecipanti all'incontro segreto, svoltosi lunedì scorso a porte chiuse presso l'Università Gregoriana di Roma in vista del Sinodo di ottobre. Così segreto, da avervi invitato - unico media italiano presente - anche un giornalista di "Repubblica", Marco Ansaldo, tanto per esser sicuri che, a far da velina, provvedesse la stampa amica. Con l'unico vincolo di non attribuire mai e per nessun motivo la paternità delle dichiarazioni agli intervenuti.
A questa "estemporanea" giornata di studio - non sulla, ma contro la famiglia - han preso parte i pasdaran dell'ala progressista della Chiesa, decisa più che mai a demolire la Dottrina cattolica in materia. Tanto da indurre l'agenzia "Riposte Catholique" ad accusarli di voler fare i «massoni». In effetti, una volta divenuta pubblica la notizia, molti Vescovi si sono risentiti nell'apprendere soltanto dalla stampa di queste «manovre occulte», mosse a loro insaputa, come riferito da "Médias-Presse-Info".
I nomi dei partecipanti sono quelli dei soliti noti: il Card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, membro del C9 (il Consiglio di Cardinali voluto dal Papa in suo appoggio nel governo della Chiesa), nonché presidente della Conferenza episcopale tedesca. Con lui, il suo Segretario generale, mons. Hans Langendorfer. Poi mons. Georges Pontier, Arcivescovo di Marsiglia, oltre che presidente della Conferenza episcopale francese; alti esponenti elvetici; i Vescovi di Havre, Dresda, Bassa Sassonia; docenti universitari; persino il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo. Tutti accolti dal Vicerettore della Gregoriana, padre Hans Zollner.
Il buongiorno si vede dal mattino: così, che si sia trattato di una scorrettezza ben più che formale lo si è notato subito dalla lettera d'invito, datata 27 aprile. Essa riportava il logo ufficiale delle tre Conferenze episcopali - quella tedesca, quella francese e quella svizzera -, benché la maggior parte dei Vescovi non sapesse niente della riunione, rivolta anzi ad un gruppuscolo estremamente ristretto e selezionato di "illuminati": non appariva su alcuna agenda ufficiale, né su quella della stessa Università. Tra le "star" figuravano tre teologi progressisti: Alain Thomasset, Eva-Maria Faber e Eberhard Schockenhoff.
Il primo, Thomasset, gesuita francese, è convinto che la «coscienza cristiana» abbia il diritto di essere in conflitto col Magistero in una sorta d'improbabile «dissenso responsabile», che altro non è se non l'eresia dell'Io che vuol farsi dio. La seconda, la tedesca Faber, ha vivacemente contestato il criterio d'«indissolubilità» proprio del matrimonio cattolico, ritenendolo troppo rigido. Il terzo, Schockenhoff, ha promosso, invece, una morale sganciata dal diritto naturale. Ciò che permetterebbe, sulla base del «giudizio di coscienza» e a partire dall'«esperienza di vita dei fedeli» (in altre parole, la sbandieratissima "prassi pastorale"), di abbandonare «il sogno impossibile dell'ideale» e «di accettare un nuovo matrimonio civile» per i divorziati risposati, così da «non escluderli più dalla Comunione».
Senza rinunciare nemmeno ad una forte apertura verso le unioni gay, che - ha detto - «meritano un sostegno ed una risposta positiva» da parte della Chiesa. Da qui il suo appello, rivolto alle Conferenze episcopali, a rendersi artefici dello "strappo" col Vaticano, «giocando un ruolo da pioniere» sulla strada della riforma ed «accelerando il processo» per ottenere «seri cambiamenti». In una parola, ciò che si definisce più propriamente scisma. Tutto quanto potesse contrastare in toto Scrittura, Magistero e Tradizione è stato, insomma, sibilato in quell'incontro a porte chiuse. Non a caso l'episcopato francese ha indicato quale proprio esperto al Sinodo il discusso gesuita Cristoph Theobald, apologeta del Concilio Vaticano II, docente resso il Centre Sèvres di Parigi.
A chi facesse notare come le unioni gay, in realtà, non siano tema del Sinodo, un sacerdote tedesco, non nominato da "Repubblica", ha precisato come, a suo giudizio, se riconosciute, debbano «diventare un vincolo anche per la Chiesa», sia pure «non come matrimonio». Ma è un distinguo, ormai, meramente lessicologico, svuotato di reale contenuto. Non sono mancati il monsignore francese convinto che si debba tenere conto di una «nuova realtà pastorale», gli ultras dei Sacramenti per i divorziati risposati, i fautori di un cambio di rotta della Chiesa sulla sessualità, i contrari al celibato dei preti e via demolendo.
Il fatto stesso che l'assise si sia svolta in modo quasi carbonaro, riecheggia il timore di Adamo ed Eva, che, consumato il peccato originale, «si nascosero dal Signore Dio in mezzo agli alberi del giardino», essendosi scoperti nudi ed essendo stati ingannati dal serpente (Gn 3, 8-13). È esattamente questo a far ritenere che al Sinodo (e non solo) si preannunci battaglia.
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