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« Torna agli articoli di Stefano
Si avvicinano le convention democratica e repubblicana. Salvo imprevisti o colpi di mano dell'ultimo minuto, Hillary Clinton e Donald Trump si sono assicurati la nomination per i rispettivi partiti. A dire il vero, pare che qui ci sia un solo candidato: Donald Trump. Parlano tutti solo di lui. Se son democratici ne hanno paura. Se son repubblicani, sono confusi perché non se lo aspettavano. New York è ricca della sua presenza: magliette, gadgets, pubblicità commerciali ispirate ai suoi slogan. Ha fatto scuola. La Nuova Bussola Quotidiana ha incontrato Michael Novak, il più importante filosofo cattolico statunitense vivente, per parlare di questo strano fenomeno. E delle paure degli americani a soli quattro mesi dal voto più importante.
Professor Novak, perché l'elettorato repubblicano ha eletto un candidato così atipico e fuori dagli schemi conservatori?
«Non so quanto sia diffuso in Italia il concetto del politically correct. Posso dire che, negli Usa, la sinistra domina completamente il settore culturale, dalle accademie al cinema, dalla musica al giornalismo. È sempre stato così, fin dai tempi del marxismo. La sinistra, non solo si adopera per mettere in pratica i suoi programmi sociali, ma vuole anche che la gente ne parli in un certo modo. Mira al controllo del linguaggio. La gente comune, che non ha nemmeno studiato al college, non sa nemmeno più che cosa si possa dire o non dire per non rischiare di essere punita. Gli stessi intellettuali conservatori, i professori, i politici, sono tutti intimiditi da queste regole. Anche i repubblicani moderati, che noi chiamiamo country club republicans non sono immuni dal politically correct. Parlano e si comportano come i progressisti. E quindi la ribellione è avvenuta anche contro di loro. É questo che ha portato alla vittoria di Trump. Il miliardario newyorkese non parla come i progressisti, ha violato tutte le regole del linguaggio, ha urtato tutte le sensibilità più suscettibili».
Oltre al linguaggio politically correct, Trump ha puntato quasi tutta la sua campagna contro l'immigrazione clandestina. Sta alimentando una paura esagerata o è un pericolo reale?
«Ogni anno noi accogliamo un numero di immigrati maggiore rispetto a tutti i Paesi europei messi assieme. Ogni anni accogliamo più di un milione di immigrati legali. In dieci anni aumentiamo la popolazione di 10 milioni di persone, è come aggiungere una Svizzera, una nazione europea di piccole dimensioni, ogni decennio. A questo si aggiunge l'immigrazione clandestina, soprattutto dal confine con il Messico. So che l'Italia sta ora assorbendo l'ondata immigratoria dal Medio Oriente, probabilmente più immigrati di quanto non sia facile assimilare. Ma negli Usa lo stesso problema è enormemente più ampio e sta creando forti reazioni. Anche perché questa non è immigrazione nel vecchio senso del termine, non abbiamo a che fare con persone che vogliono integrarsi e lavorare sodo. I nuovi arrivati non hanno alcun particolare desiderio di diventare americani. Gli stati confinanti con il Messico, come il Texas e l'Arizona, hanno dovuto aumentare notevolmente la loro spesa per costruire case, scuole, ospedali e tutto quanto è necessario per accogliere i nuovi arrivati. Maggiori spese implicano, ovviamente, anche maggiori tasse per i loro cittadini. Non possono reagire, perché l'immigrazione è gestita a livello federale (nazionale, ndr). Ora la popolazione locale è stanca di sostenere queste politiche».
Sempre a proposito del braccio di ferro fra Stati e governo federale, anche l'introduzione del matrimonio gay è stata decisa da una sentenza della Corte Suprema, contro il parere dei governi locali. Non è ancora concluso il braccio di ferro fra North Carolina e Washington sui bagni pubblici accessibili ai transgender. I diritti degli Stati sono dunque a rischio?
«Non credo. Gli Stati stanno iniziando a reagire e stanno guadagnando forza. È una reazione contro Barack Obama e la sinistra, una sinistra che viene vista sempre più come coercitiva. I progressisti vogliono promuovere i diritti Lgbt con la stessa retorica della battaglia per i diritti civili, come ai tempi della lotta di emancipazione dei neri. Ma una discriminazione etnica è sostanzialmente diversa da una discriminazione basata sulle scelte. Ora è sorta una grande contraddizione nel movimento gay: da un lato predicano la piena libertà di scelta del loro genere, dall'altro si considerano geneticamente destinati a una natura sessuale che non possono scegliere. Delle due l'una: o sono liberi o non lo sono. Non possono essere entrambe le cose. Quanto alla questione dei bagni pubblici: mi ricorda una vignetta che ho visto non molto tempo fa in cui un bagno ha tre porte, una per i maschi, una per le femmine e la terza per i democratici».
Politically correct, immigrazione e "nuovi diritti" sessuali: Trump potrebbe dare la risposta migliore, se venisse eletto presidente?
«Non penso. E non voglio incoraggiare la gente a votarlo. Perché è molto ignorante su troppe questioni ed è imprevedibile. Una volta eletto presidente, non saprei cosa potrebbe fare. Io mi limito a spiegare perché piace, perché è stato votato dai repubblicani. Lo capisco, ma personalmente non sono pronto a sostenerlo. È un'incognita. Ed è una scelta veramente dura, perché penso che la priorità sia quella di battere Hillary Clinton. La candidata democratica, contrariamente a Trump, non è affatto un'incognita: sappiamo benissimo che, una volta eletta presidente, non farà altro che accelerare le leggi a favore dei gay e dell'aborto. L'aborto soprattutto: non è affatto una moderata, in fatto di politiche abortiste. Le ha sostenute, finanziate, approvate, non ha neppure avuto un dubbio in merito. Se solo si indagasse sulle pratiche abortiste, se si sapesse cosa avviene in quelle cliniche, le si chiuderebbe immediatamente, a furor di popolo. La Clinton non si pone neppure alcuna domanda. Per lei l'aborto è sacro e non deve essere toccato».
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