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« Torna agli articoli di Stefano
Il Congresso mondiale delle Famiglie di Verona si è occupato direttamente di Dottrina sociale della Chiesa, anche se non l'ha chiamata direttamente in causa. I temi del Congresso sono centrali per la Dottrina sociale della Chiesa, nonostante oggi vengano spesso e volentieri messi da parte: a Verona, in fondo, si è ribadita l'esistenza moralmente e politicamente vincolante dei "principi non negoziabili". A conclusione dello scoppiettante e contestatissimo Congresso, tra le tante cose che altri diranno, scelgo due argomenti che mi sembrano indicativi di una prassi da seguire in futuro. Dalle esperienze bisogna infatti imparare.
Anche in occasione di questo Congresso sono emerse da parte cattolica le posizioni delle "anime belle" che [...] non erano d'accordo con le posizioni affermate e avrebbero voluto posizioni dialogate. Secondo loro non si trattava di ribadire delle verità e di chiamare a raccolta quanti volevano impegnarsi per difenderle, ma sarebbe stato utile creare un tavolo di confronto in vista di passi condivisi. Si tratta dell'idea secondo cui il cattolico dovrebbe sempre proporre soluzioni aperte e mai dichiarare delle verità o condannare degli errori. Insomma, dovrebbe essere sempre "per" e mai "contro". Non faccio qui i nomi di coloro che si sono così pronunciati. Tutti li abbiamo letti sui giornali o sui social network nei giorni scorsi. Si tratta dello stile di chi dice che non si devono mai usare parole ostili. Sotto sotto c'è l'idea che il modo (il come) sia importante quanto e forse più del contenuto (il cosa), ossia il pastoralismo.
IL PASTORALISMO È CONNIVENZA CON IL NEMICO
Ora, i fatti verificatisi attorno al Congresso hanno completamente sfatato questa illusione pastoralista. Mentre le "anime belle" del cattolicesimo non ostile rimproveravano gli organizzatori del Congresso e i partecipanti, gli altri - ossia coloro verso cui si sarebbe dovuto aprire un dialogo - puntavano le loro artiglierie e sparavano a man salva; preparavano i loro agguati e i loro trabocchetti, mobilitavano le loro truppe pagandone il viaggio in pullman a Verona per manifestare, aggredivano, insultavano e denigravano, seminavano bugie, mobilitavano conduttrici e conduttori della Rai, precettavano gli intellettuali di grido... insomma facevano la guerra. Nei confronti di questo bombardamento belligerante, nessuna delle "anime belle" è intervenuta con parole di condanna o di dissociazione, anzi hanno continuato a criticare gli organizzatori del Congresso perché non avevano gettato "ponti" e perché avevano usato stili ostili.
Il Congresso di Verona, per questi motivi, è stato la confutazione piena del cattolicesimo pastoralmente (e pregiudizialmente) dialogante, ha ribadito che per dialogare bisogna essere in due e se l'altro spara non è possibile mettersi a dialogare con lui, che è in atto una lotta non disciplinata da nessuna regola - Carl Schmitt direbbe una "lotta partigiana" - e che la controparte mette in campo tutte le sue potenti legioni. È una lotta in cui, come in ogni lotta, ci sono le defezioni e i tradimenti. Una lotta in cui, come in ogni lotta, il pericolo principale è il "fronte interno". La richiesta del dialogo sistematico e preventivo è - per usare una espressione militare - una forma di connivenza col nemico.
A OGNI SI CORRISPONDE ALMENO UN NO
A Verona, poi, è emerso un altro interessante insegnamento. Proprio perché si dovrebbe agire "per" e mai "contro", ci sono stati molti - anche autorevoli - interventi da parte cattolica per ricordare che la famiglia è insostituibile. Non è venuta però nessuna affermazione a sostenere che gli altri "tipi di famiglia" non devono essere riconosciuti. Questo parlare "per" e non "contro", questo indicare dei "sì" e mai dei "no", non è sufficiente. Sarebbe come dire che il riconoscimento giuridico di una coppia di fatto o di un'unione civile sarebbe possibile, a patto che tali unioni non venissero equiparate alla famiglia. La legge Cirinnà considera le unioni civili una "aggregazione sociale" e si rifà all'articolo 2 della Costituzione e non agli articoli 29 e 30.
Chi chiede solo che la famiglia non sia privata della sua esclusività, nulla dice a proposito dell'illiceità del riconoscimento di altre forme di unione anche se non equiparate alla famiglia. Quanto accaduto attorno al Congresso di Verona mostra quindi che non si può essere "per" senza essere anche "contro": tutto il resto è mistificazione. Ed è stato questo insegnamento a dare fastidio, sia fuori dal mondo cattolico sia dentro. "Perché non vi limitate a promuovere la vostra idea di famiglia e non lasciate che altri facciano valere la propria?". Questa posizione espressa da Cecchi Paone a Jacopo Coghe nel "video dell'agguato", è condivisa anche dai cattolici non ostili, quelli che vogliono fare solo proposte positive e inclusive e mai contrapporsi a quelle negative ed esclusive.
Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano, inviato della Bussola al congresso delle famiglie, nell'articolo seguente dal titolo "Ecco chi sconfigge le élite: la famiglia, che meraviglia" racconta cosa ha visto a Verona: tanta gente comune con la voglia di dire orgogliosamente che la famiglia è una cosa meravigliosa.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 1° aprile 2019:
Eccoli, i facinorosi. Dopo settimane di caccia alle streghe hanno parlato loro. Con un biberon e un braccio molesto ai fianchi: «Papi, ci avevi promesso il gelato». Sono bambini e bambine, i più stanchi viaggiano sulle spalle di papà mentre mamma spinge il passeggino che diventa un deposito di giacche e felpe. Verona. Poco dopo le 13.30, quando parte da Piazza Bra la marcia conclusiva del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie fa già caldo. I più previdenti, quasi tutti, si sono portati i panini da casa perché qua, intorno all'Arena, i bar e ristoranti sono trappole per turisti "crucchi" scesi dal Brennero: sono capaci di pelarti anche solo per un caffè. Sandwich e Estatè per la prima domenica di primavera.
Sono famiglie in marcia, l'oggetto del contendere di giorni e giorni di estenuante propaganda media-politica: oscurantisti, medievali, donne schiave, odiatori di donne, "con la vostra vita di merda" e il metodo che non piace ai vertici della Chiesa. Incuranti di Forza Nuova, degli infiltrati, di chi si mette in favor di telecamera per dire diesserci. Sospettosi delle mirabolanti sviolinate di Salvini, ma disposti anche stavolta a concedere credito, come hanno fatto con tutti gli altri. Preoccupati fin dalle prime ore del mattino soltanto di trovare una messa a Verona e predisporre qualcosa da mettere sotto i denti quando a mezzogiorno i bambini inizieranno a tirare la manica dicendo: "Ho fame".
Eppure sono tanti, il solito balletto: 50mila per gli organizzatori, 10mila per Repubblica. Facciamo 20mila? Ma in fondo che importa? Sono già tante le famiglie di mamma, papà e figli, tanti figli, che sono arrivate a Verona ieri mattina: dopo la campagna mediatica devastante, dopo il terrorismo che "A Verona c'è il rischio di scontri e di farsi male" è già un miracolo che ci siano "solo" 10mila o 20mila persone. Perché non li ha convinti la Cgil offrendo panini alla frittata e un comodo pullman, nemmeno sono arrivati spinti dalla foga di ascoltare il leader politico di turno, né sono stati convinti dall'ambone di parroci e vescovi incredibilmente assenti per ordine partito dall'alto. Ordine politico, niente a che fare con la guida e i pastori.
Sono scesi sulle rive dell'Adige liberamente, chiamati a raccolta dal tam tam di una community che non vive di social e like, ma si alimenta di un sentimento comune che travalica gli interessi e le convenienze. Si chiama identità: sposarsi per amore e per amore, mettere al mondo i figli accettando quello che la Provvidenza dona. Di solito a questo punto scatta il sorrisino sarcastico, "eccoli i bigotti", "chiediamo allora perché non usano il preservativo...", provoca un tizio con una telecamera in mano che si atteggia a giornalista.
Ma stavolta come per gli altri Family Day, l'identità è la stessa: «Dicono che vogliamo richiudere le donne in casa, ma se stamattina mia moglie non mi avesse buttato giù dal letto io a Verona non ci arrivavo», ci dice Valerio, 34 anni, di Trento, con tre figli e la moglie Sonia poco più avanti che urla a squarciagola il leitmotiv di giornata: «La famiglia, che meraviglia, la famiglia, che meraviglia». E poi cartelli e striscioni: «Dio, patria e famiglia: che meraviglia». Così, all'infinito, senza sosta. È l'unica concessione alle polemiche di questi giorni, la risposta pacata e dignitosa alle Cirinnà e alle Boldrini, al Partito Unico Mediatico, agli odiatori militanti di una Sinistra che accomuna Pd, Cgil, femministe radical e antagoniste, associazioni Lgbt e che cerca di riemergere dal vuoto cosmico della sua ideologia, imponendo la sua visione della vita sulla famiglia. Invece ieri nessuna volgarità, nessuna offesa. Anni luce - alla fine un paragone bisognerà pur farlo - con l'odio propugnato il giorno prima: "Meglio falli di gomma che feti di gomma". Che poi, vedendo la bruttezza di certe manifestanti di sabato, forse si capiva anche il perché.
Lucio viene dalla provincia di Modena, ha dieci figli e subito dopo Castelvecchio tiene in braccio Sofia, la più piccola della covata, col ciuccio in bocca. Gli altri figli si fanno intorno come dei pretoriani quando vedono le telecamere che si accendono sul padre: «E' dura? Diciamo che se non ci fosse Gesù sarebbe impossibile, ma io ai politici chiedo solo di poter vivere dignitosamente del mio lavoro senza sentirmi in colpa», ci racconta. Un gruppo di giovani mamme e papà è euforico: urlano in continuazione lo slogan di giornata poi alla domanda sul perché sono venuti qui ribattono senza alcun timore: «Per difendere i nostri figli, per dare loro un futuro migliore, perché li amiamo. Medievali? Siamo orgogliosi di esserlo allora, siamo libere, stiriamo e siamo emancipate, non è strano, vero?».
Sul palco gli organizzatori si alternano all'inizio e alla fine con alcuni relatori, da Massimo Gandolfini a Toni Brandi e poi Filippo Savarese, Simone Pillon, Pino Morandini, Peppino Zola, Jacopo Coghe e Maria Rachele Ruiu parlano di eroi e di futuro. «Sì, eroi, perché il matrimonio è sposarsi è una sfida e restare sempre insieme è il futuro, tutto questo ci dà speranza», dicono Mariana e Vittorio di Bologna, che sorreggono uno striscione tra i più fotografati: un cuore metà rosa e metà azzurro, dentro il quale c'è scritto Una sola famiglia con la F e la M dei rispettivi colori di maschio e femmina. A loro fanno eco, senza conoscersi neppure, Roberto e Claudia, con le loro due figlie, da Bergamo: «A loro abbiamo detto che oggi siamo qui per testimoniare che la famiglia vale sempre la pena. Senza paura di parlare di apertura alla vita, di fedeltà, di educazione cristiana, di progetto di vita. Questo è ciò che ci spinge ad essere felici perché la nostra vita è piena, ma se ci si discosta da tutto questo non c'è alcun futuro».
Eccoli, i facinorosi. Aborto? Semplicemente non contemplato; Divorzio? Escluso; Figli? Una chiamata, un dono, un progetto di vita. Eroi del quotidiano, ignorati dal banco libri Feltrinelli, silenziati nei talk in radio e dimenticati nelle aule parlamentari. Sono le famiglie italiane e chi manifesta in piazza è solo una piccolissima rappresentanza.
Cattoliche? Sì, in Italia si può ancora dire di sì. Si può aver paura di chi scende in strada per testimoniare che una vita felice nel matrimonio è possibile? Si può considerare un nemico chi costruisce il proprio quotidiano nel sacrificio, ma sapendo che dalla politica non potrà mai aspettarsi la risoluzione di tutti i problemi? «Il primi a dover risolvere i problemi siamo noi - ci dice Paolo Maria, tre ore e mezzo di auto sulla Milano-Venezia -, quando si ha una famiglia numerosa non si può aspettare che arrivino aiuti dall'alto che non arrivano mai, bisogna rimboccarsi le maniche e basta». Tornati davanti all'Arena, sul palco, gli organizzatori del Congresso lanciano una moratoria internazionale sull'utero in affitto, chiedono misure alternative all'aborto, una diversa politica educativa e affettiva nella scuola. E ancora: il riconoscimento dell'umanità del concepito, il diritto dei minori ad avere una mamma e un papà, la remunerazione per il lavoro casalingo e la lotta alla droga.
Avvenire sprezzante lo definisce "un libro dei sogni", dopo aver chiesto in passato una a una tutte le misure, ma il panico per quella vicinanza così temuta con la Lega di Salvini è grande. Antonio Spadaro, lo spin doctor del papato li bolla come culture warrior, e così fa la Stampa, immaginando con un filo di paranoia che Lucio, Valerio, Mariano, Roberta, Claudio e tutti gli altri siano venuti a Verona perché gli americani hanno detto che bisogna combattere Papa Francesco. I vaticanisti di Repubblica definiscono la famiglia di Nazareth "imperfetta", figuriamoci: il figlio di Dio e due santi del calibro di Giuseppe e Maria. Paralizzati ormai dal ridicolo, incapaci di vedere la libertà, la gioia e la dignità negli occhi di chi qua è venuto per confermarsi nella quotidianità, non certo per ricevere prebende. Sotto al monumento di Mazzini ormai sono le 16, Gandolfini e Brandi continuano ad arringare: «Papà ci avevi promesso il gelato», dicono i figli di Vittorio. «Va bene, che poi magari si fa una capatina sotto il balcone di Giulietta».
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