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« Torna agli articoli di Stefano
Il Giorno della Memoria, anche quest'anno, non manca di suscitare polemiche. C'è chi usa la memoria della Shoah per mostrare come anche ai giorni nostri vi siano categorie perseguitate e come il rischio dello sterminio fisico totale sia sempre dietro l'angolo. Dall'altra parte, le comunità ebraiche, che la Shoah l'hanno vissuta realmente, si oppongono a quel che vedono come una strumentalizzazione politica di un genocidio unico nella storia. In mezzo, ci sono mille e più paragoni impropri che pure vengono accettati pacificamente dal mondo della politica e della cultura. Per evitare strumentalizzazioni e paragoni forzati, è bene ricordare che cosa realmente precedette la "Soluzione Finale". Perché allo sterminio ci si arrivò per gradi e pochi se ne resero conto.
Primo Levi, in un brano divenuto celeberrimo, ci ricorda che «Non iniziò con le camere a gas. Non iniziò con i forni crematori. Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio. Non iniziò con i 6 milioni di ebrei che persero la vita. E non iniziò nemmeno con gli altri 10 milioni di persone morte, tra polacchi, ucraini, bielorussi, russi, jugoslavi, rom, disabili, dissidenti politici, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e omosessuali». Levi spiega, in sintesi, veramente tutto l'essenziale: «Iniziò con i politici che dividevano le persone tra "noi" e "loro". Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all'aumento del consenso. Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla "razza" e al colore della pelle. Iniziò con i bambini espulsi da scuola, perché figli di persone di un'altra religione. Iniziò con le persone private dei loro beni, dei loro affetti, delle loro case, della loro dignità. Iniziò con la schedatura degli intellettuali. Iniziò con la ghettizzazione e con la deportazione». Ma soprattutto, sottolinea lo scrittore sopravvissuto: «Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse "normale"».
IL PROCESSO CHE PORTÒ ALLA SOLUZIONE FINALE
Questo pezzo celeberrimo di letteratura dà l'idea di quanto subdolo sia stato il processo che portò, in meno di un decennio, dalle prime leggi razziali locali fino alla macchina dello sterminio "industriale". «Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione»: i nazisti non fecero mai mistero del loro antisemitismo. Anzi, ottennero il voto di un terzo dei tedeschi, nelle elezioni del 1932 e 1933, promettendo di separare gli ebrei dagli "ariani" e di privarli di tutti i diritti. La tesi della "pugnalata alla schiena" era diffusa sin dal 1918: non accettando la sconfitta improvvisa e per molti ancora inspiegabile della Grande Guerra, si diffuse, soprattutto fra gli ufficiali, la tesi che l'esercito fosse rimasto vittima di una grande congiura di imboscati, profittatori, industriali e spie, tutti ebrei. Rudolph Hess, prima ancora di Hitler, tornato folle e collerico dal fronte mediorientale, fu uno dei primi a cadere vittima della fascinazione di questa tesi e ne divenne uno dei maggiori diffusori. Hitler, anch'egli reduce, deluso e ferito al fronte occidentale ne rimase subito conquistato. Perché gli ebrei, che avevano perso circa 12mila uomini in guerra (su 100mila arruolati), nei ranghi dell'esercito tedesco, vennero accusati della sconfitta? Perché, secondo il nazionalismo, dal romanticismo in avanti, la nazione si fonda sul sangue e la terra. Dunque gli ebrei erano "corpo estraneo", perché non avevano lo stesso sangue dei tedeschi e "cosmopoliti", perché le loro famiglie non risiedevano solo in terra tedesca. La Rivoluzione Russa, oltre alla sconfitta tedesca, venne considerata come una macchinazione ebraica. Un bel paradosso, considerando che furono i tedeschi ad innescarla, trasportando Lenin in Russia e finanziando la sua attività sovversiva. Ma gli intellettuali tedeschi di allora, e non solo loro, videro nel comunismo, in Karl Marx, una emanazione diretta del giudaismo. Dal 1918 in poi, tutti gli orrori della Russia bolscevica vennero imputati agli ebrei.
«Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla "razza" e al colore della pelle»: il nazismo era dichiaratamente razzista. Non era l'unico, nel mondo della scienza e della politica di allora, che prendeva molto sul serio il darwinismo sociale, dunque una teoria dell'evoluzione in cui si considerava normale che gli uomini fossero divisi in "razze" e che la razza superiore potesse e dovesse prevalere su quelle inferiori, come nella selezione naturale delle specie animali. Il nazionalsocialismo fu comunque l'unica ideologia che portò questa idea alle sue estreme conseguenze. Il nazismo identificava nella "razza ebraica" una stirpe inferiore che, prevalendo da usurpatrice nel mondo della cultura, della scienza e della morale, impediva alla razza ariana superiore di prevalere e ottenere il suo giusto primato. Essendo razzista, la dottrina nazista non distingueva fra ebrei amici o nemici: identificava la razza nel suo insieme come nemica.
MILLENNI DI PERSECUZIONI
Gli ebrei avevano subito millenni di persecuzioni in passato, ma, per la prima volta venivano identificati come "razza", non più come comunità religiosa. Quindi anche l'ebreo non praticante, quello convertito al cristianesimo, o anche l'ebreo convinto nazionalista tedesco e l'eroe di guerra, o quello appena nato o troppo piccolo per saper leggere, scrivere e parlare erano tutti indistintamente perseguibili in quanto membri di una "razza". Le Leggi di Norimberga del 1935 identificavano l'ebreo come l'individuo con almeno tre nonni ebrei. I legislatori tedeschi misero dunque mano agli alberi genealogici e tracciarono un confine invalicabile fra ebrei e ariani, oltre ad una zona grigia di "misti", cioè coloro che avevano uno o due nonni ebrei. Si veniva discriminati (poi uccisi) per quel che si era e non per quel che si pensava o faceva. L'Urss aveva fornito, almeno in parte, un modello simile, discriminando o uccidendo, sin dal 1918, gli appartenenti ad una "classe" sociale, identificata e giudicata dal Partito come nemica del popolo. Ma dalla accusa classista era ancora possibile una via di salvezza, aderendo al Partito e collaborando con esso (magari anche contro i propri stessi parenti). Dall'accusa razzista, non c'era salvezza alcuna.
«Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca». La normalizzazione della persecuzione fu data dalla sua graduale legalizzazione. I nazisti non si mossero come un partito rivoluzionario che viola la legge dello Stato, al contrario usarono lo Stato per emettere una nuova legge positiva che permettesse di mettere in pratica la loro ideologia. Per un tedesco di allora, discriminare o cacciare un ebreo, era un dovere. Per una cultura abituata a pensare allo Stato come all'unica fonte del diritto e di conseguenza anche della morale, obbedire era la maggior virtù. La prima legge fu un banale ordinamento locale: la città di Berlino, il 31 marzo 1933, sospese i medici ebrei da tutte le attività di volontariato svolte nella capitale. Una settimana dopo, una prima normativa nazionale, quella del Ripristino del Servizio Civile, ordinava il licenziamento degli ebrei da tutti gli enti pubblici. Il giorno stesso, un'altra legge nazionale vietava agli ebrei di diventare avvocati. A far chiarezza sull'attività normativa antisemita furono soprattutto le Leggi di Norimberga del 1935, che chiarirono definitivamente chi si potesse definire ebreo, quali fossero i requisiti per essere "cittadini" e cosa si dovesse fare per "proteggere l'onore e il sangue" dei tedeschi. L'attività legislativa, sulla falsariga delle Leggi di Norimberga, divenne frenetica soprattutto nel 1938 (l'anno in cui vennero adottate le leggi razziali anche in Italia).
UN ASSEDIO SEMPRE PIÙ STRETTO
All'inizio del 1939, per legge, un ebreo (o una ebrea) non era già più cittadino, ma suddito, non poteva più: essere naturalizzato tedesco, avere rapporti sessuali con ariani, sposare ariani, esercitare la professione del consulente fiscale, esercitare la professione del veterinario, cambiare il suo nome, commerciare armi, cambiare il nome alla sua azienda, recarsi alle terme, possedere un'azienda, possedere più di 5mila marchi, trasferire liberamente beni a non ebrei, frequentare una scuola pubblica, uscire liberamente dai confini nazionali, possedere piccioni viaggiatori, far valere contratti stipulati con lo Stato, esercitare la professione di ostetrico, possedere oro, argento, diamanti e altri oggetti preziosi, comprare un biglietto alla lotteria. Queste sono le leggi principali, in ordine cronologico, che dal 1935 al 1939 limitarono sempre di più le attività consentite agli ebrei. Fu un assedio, sempre più stretto, effettuato a colpi di leggi e decreti, locali e nazionali. Agli ebrei venne imposto di identificarsi in pubblico, aggiungendo la J (di Jude) al passaporto e aggiungendo il nome Israel (per i maschi) e Sara (per le femmine) al proprio nome.
Quando scoppiò la guerra il terreno (politico e giuridico) era già pronto per lo sterminio, anche se la "soluzione finale" venne proclamata solo nel 1942.
Nota di BastaBugie: Paolo Panucci nell'articolo seguente dal titolo "Diritti inviolabili soppressi: non finirà" spiega che tante persone accettano da mesi restrizioni a diritti costituzionali con l'illusione che prima o poi cesseranno. Ma questo non accadrà: il pass è un formidabile strumento di controllo sociale e sarà esteso ad altri campi. Forse Primo Levi ci ha avvertiti invano. Perché la storia è una maestra di vita, ma è la più inascoltata maestra che ci sia. Chi si sentisse urtato da queste affermazioni dovrebbe chiedersi se sono questi discorsi a urtarlo oppure la sua coscienza.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 gennaio 2022:
Da mesi si accettano restrizioni a diritti inviolabili costituzionali con l'illusione che prima o poi cesseranno. Ciò non accadrà perché sono stati investiti 50 miliardi per l'innovazione tecnologica (e solo 6 per la sanità). Dopo i lockdown imposti che, come i banchi con rotelle, non hanno impedito al virus di diffondersi ma hanno impedito di vivere e causato depressione e impoverimento in famiglie e imprese, è in vigore l'obbligo di esibire un lasciapassare, di lugubre memoria, senza il quale è vietato esercitare quei diritti (a lavoro, studio, circolazione etc.) prima intoccabili.
Tale strumento sarebbe giustificato dalla presunta necessità di proteggere la salute da un'ipotetica emergenza sanitaria provocata da un virus dal quale il 99% dei contagiati è guarito. In realtà, il pass non tutela affatto la salute - visto che i vaccinati, anche se passmuniti, possono comunque contrarre e diffondere il virus - e discrimina ingiustamente cittadini della stessa categoria (ad es. tra professori vaccinati ma inconsapevolmente positivi che possono lavorare e quelli sani e negativi al virus ma non vaccinati cui è vietato l'accesso) e tra categorie diverse, essendo previsto solo per alcune di esse (ad es. avvocati e giudici sì, testimoni e parti no) senza alcuna logica, come se il virus distinguesse le categorie.
In realtà, una volta imposto a tutta la popolazione sotto le spoglie di documento di identità digitale omnicomprensivo, il pass servirà per imporre il controllo sociale totale, anche attraverso l'attribuzione di crediti sociali (come per la patente), in modo da consentire solo a chi obbedisce la possibilità di vivere: solo coloro che rispetteranno le ulteriori condizioni dettate per il rilascio (quali, ad esempio quella di non essersi sottratti a nuove vaccinazioni, non aver consumato troppa CO2, non avere case non-ecologiche, non essere omosessuali/omofobi, abortisti/antiabortisti, cattolici/musulmani etc. o non avere debiti con lo Stato etc.) potranno circolare, accedere a negozi/farmacie o ai servizi (anche ospedalieri), ai luoghi di lavoro, ai mezzi pubblici o prelevare al bancomat etc...
Gli altri saranno spenti/disattivati dall'alto e privati di tutto. Brunetta ha affermato che il pass sarebbe una "patente di libertà", dimenticando che la libertà esiste in quanto tale e non perché un altro la concede, perché, altrimenti, diventa libertà condizionata, che è il suo opposto.
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