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« Torna agli articoli di Stefano Fontana
L'enciclica di Paolo VI Humanae vitae e la Dottrina sociale della Chiesa sono state fatte oggetto della stessa opposizione. Stiamo parlando della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta del secolo scorso. Questo fatto del comune destino ad essere oggetto di contestazione in quegli anni (e poi negli anni successivi fino ad oggi, dato che gli argomenti di fondo non sono cambiati) è di grande interesse per capire non solo il rapporto tra Humanae vitae e Dottrina sociale della Chiesa, ma anche per considerare il comune impianto di pensiero che veniva contestato. In questo cinquantesimo anniversario dell'enciclica di Paolo VI è bene che questo tema non passi inosservato.
Come si sa, l'opposizione alla Humanae vitae dentro la Chiesa fu piuttosto aspra e Paolo VI ne fu vivamente colpito e profondamente addolorato, anche perché fu abbandonato da molti cardinali e vescovi a lui vicini prima e durante il Concilio. Evidentemente i due progressismi erano diversi negli intenti di fondo anche se convergenti in qualche tratto di cammino. Un libro pubblicato di recente per documentare l'apporto di Karol Wojtyla alla Humanae vitae indirettamente ricorda gli episcopati che maggiormente si opposero [GALUSZKA, Pawel Stanislaw, Karol Wojtyla e Humanae vitae. Il contributo dell'Arcivescovo di Cracovia e del gruppo di teologi polacchi all'enciclica di Paolo VI, Cantagalli, Siena 2017]. Augusto Del Noce disse che si era trattato del più grande "Kulturkampf" moderno contro la Chiesa Cattolica a cui però Paolo VI resistette con tenacia.
Negli stessi anni, però, si sviluppò anche la contestazione alla Dottrina sociale della Chiesa. Il testo divenuto poi canonico di questa opposizione fu il libro di Padre Dominique Chenu "La Dottrina sociale della Chiesa", Queriniana, Brescia 1977, di cui si possono vedere in particolare le pp. 48-53. Alla base di questa condanna c'erano l'interpretazione del Concilio nel senso della Scuola di Bologna, la svolta della teologia dalla natura alla storia, l'idea che con la Octogesima adveniens Paolo VI avesse voluto ridimensionare la Dottrina sociale della Chiesa pubblicando volontariamente un documento sociale di tono inferiore ad una enciclica. Il motivo principale era però il cambiamento di paradigma del rapporto tra Chiesa e mondo con la sostanziale accettazione della "svolta antropologica" e di un mondo ormai "maturo". In quegli anni l'editoria cattolica pubblicò una valanga di testi - una vera e propria bomba teologica - che contraddicevano alla radice l'impianto teologico della Dottrina sociale della Chiesa. Il Sessantotto nella Chiesa ebbe anche questa caratteristica e la "scelta socialista" delle ACLI nel 1970 ne divenne in qualche modo il simbolo principale per l'Italia, come la Conferenza dei vescovi latinoamericani (CELAM) a Medellin in Colombia lo fu a livello di Chiesa universale.
La contestazione concentrica alla Humanae vitae e alla Dottrina sociale della Chiesa continuò anche in seguito. I pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI vi risposero rilanciando, sempre insieme, la morale matrimoniale e la Dottrina sociale della Chiesa. Ciò non fu però sufficiente a sconfiggere le correnti teologiche ed ecclesiali contrarie sia all'una che all'altra che, anzi, si sono addirittura rafforzate nel frattempo.
Questa unità di destino della Humanae vitae e della Dottrina sociale della Chiesa merita grande attenzione. Sembra che esse stiano o cadano insieme. Ed è effettivamente così. Il primo motivo è che, come è stato recentemente detto, nell'unione coniugale è contenuto il germe di ogni altra relazione sociale, sicché se essa da naturale viene trasformata in contrattuale, la ricaduta negativa sull'intero assetto della società è enorme. Il secondo motivo è ancora più profondo. Sia la Humanae vitae che la Dottrina sociale della Chiesa condividono un impianto di pensiero filosofico e teologico che fa loro da fondamento. Questo impianto di pensiero era stato enunciato da Leone XIII nella rosa di encicliche che faceva da contorno alla Rerum novarum ed è poi stato ribadito da Giovanni Paolo II nelle tre fondamentali encicliche Evangelium vitae, Veritatis splendor e Fides et ratio. Possiamo esprimerlo con le parole della stessa Humanae vitae: «Nessun fedele vorrà negare che al magistero della Chiesa spetti di interpretare anche la legge morale naturale. È infatti incontestabile, come hanno più volte dichiarato i nostri predecessori, che Gesù Cristo, comunicando a Pietro e agli apostoli la sua divina autorità e inviandoli a insegnare a tutte le genti i suoi comandamenti, li costituiva custodi e interpreti autentici di tutta la legge morale, non solo cioè della legge evangelica, ma anche di quella naturale. Infatti anche la legge naturale è espressione della volontà di Dio, l'adempimento fedele di essa è parimenti necessario alla salvezza eterna degli uomini» (n. 4).
Coloro che hanno contestato allora e contestano ora sia la Humanae vitae sia la Dottrina sociale della Chiesa contestano, in fondo, questo impianto di pensiero basato sul rapporto tra natura e soprannatura, tra ragione e fede, tra legge morale naturale e legge divina, rapporto in cui il secondo termine purifica il primo ma non lo nega mai.
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