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« Torna agli articoli di Stefano Magni
Una strage dell'Isis passata inosservata, a Kabul. Una strage sotto gli occhi di tutti, a Nizza, di cui si vuol negare il movente jihadista. Infine una strage di cui non si sa ancora il movente, ma della quale si vuole tassativamente escludere la pista islamica, a Monaco. Sono tre casi di cortocircuito informativo su cui una riflessione è d'obbligo.
C'È UNA GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE AL SILENZIO? APPARENTEMENTE SÌ
A Kabul l'Isis, con un attacco suicida contro una manifestazione di Hazara (una minoranza etnica di religione sciita), ha provocato ottanta morti in un solo colpo. Si tratta di un bilancio pesante quasi quanto quello di Nizza. Tuttavia non ha conquistato le prime pagine dei nostri giornali, né attirato la consueta macchina della solidarietà. Perché è a Kabul, appunto. Perché è, non solo lontano, ma in un teatro di guerra, del più lungo conflitto che abbia finora interessato forze militari occidentali. Dunque non fa notizia, è la nuova "norma".
A Nizza, un militante dichiarato dell'Isis ha commesso una strage usando un camion, un'arma impropria facilmente procurabile e il bilancio, come ormai è noto, è di 84 vittime di cui 6 italiani. La notizia ha conquistato tutte le prime pagine, per più di un giorno. Ma come? Arrivando a negare che si trattasse di un atto di terrorismo organizzato. Solo nei giorni successivi, pezzo dopo pezzo, si è riusciti a ricostruire il puzzle, sono emerse le conferme di quello che tutti pensavano: che l'attacco era stato preparato a lungo, che c'erano complici (almeno 5), che la radicalizzazione del terrorista suicida Bouhlel era stata tutt'altro che rapida e impulsiva. Questi dettagli, niente affatto trascurabili, hanno smontato la prima versione diffusa ai media dalle autorità francesi e dai media all'opinione pubblica: che il franco-tunisino Bouhlel fosse mosso solo da motivi psicologici suoi, che avesse usato l'islam radicale solo come scusa e copertura per un gesto impulsivo, che non fosse islamico perché "beveva" e non rispettava i precetti religiosi.
Mosso da motivi psicologici, solitario e nient'affatto islamico è il profilo dell'altro stragista, quello di Monaco, il tedesco-iraniano Alì Sonboly, del quale si vuole tassativamente escludere il movente islamico e si lascia senza risposta una serie lunghissima di interrogativi. Non è affatto detto che fosse mosso da motivi religiosi, politici o jihadisti. Ma sbalordisce la foga con cui viene negata anche questa ipotesi. Era musulmano, ma i genitori dichiarano (proprio come nel caso di Bouhlel) che fosse lontano dalla religione. Era iraniano, quindi si dà per scontato che l'appartenente a un popolo a maggioranza sciita non possa aderire al terrorismo scatenato dall'Isis.
LA BIZZARRA IDEA
Si fa anche strada la bizzarra idea, ripetuta a più riprese, che l'islam sciita non possa generare fenomeni jihadisti e di terrorismo suicida, dimenticando Amal ed Hezbollah in Libano, gli inventori del terrorismo suicida odierno. Sonboly avrebbe agito "da solo", ma già compare sulla scena un amico adolescente (un afgano), arrestato ieri, che testimonia di essere stato messo al corrente sulla preparazione della mattanza. Se Sonboly era solo e armato di pistola, come la polizia tedesca afferma, colpire 36 persone, uccidendone 9, richiede calma, sangue freddo, un buon addestramento e una precisione di tiro da militare di professione. Cosa non comune per un ragazzo descritto come depresso patologico. Se era armato di pistola in Germania, dove procurarsi un'arma è difficile quanto in Italia, tramite quali conoscenze ci è arrivato? Gli inquirenti affermano che l'ha acquistata sul mercato nero, via Internet. Poi qualcuno gliel'ha spedita a casa? Quanto è difficile, per un diciottenne in cura per depressione, andare a ritirare un'arma di contrabbando con ben 300 proiettili?
Alle domande le autorità centellinano le risposte. Ma i media non insistono neppure troppo per averle. Si possono trarre alcune chiare regole di comunicazione. Se un attentato terroristico avviene fuori dall'Europa e non provoca vittime europee, gli si dà un rilievo nullo. Se avviene in Europa, con vittime europee, come a Nizza, si nega l'evidenza. "Islam, quale islam?" sembra chiedersi, disorientato il giornalista collettivo, arrivando alla conclusione che la situazione "è complessa" e facendo prevalere sempre e comunque spiegazioni psicologiche o sociali, quando non economiche. Lo stesso copione è stato seguito anche dopo le stragi di San Bernardino e di Orlando, dove la motivazione religiosa degli attentatori ha lasciato il posto a motivi personali, psicologici, benché gli stragisti fossero tutti e tre dichiaratamente simpatizzanti per l'Isis. Infine, a Monaco, stiamo assistendo all'esclusione a priori della pista islamica che, se non altro a causa della religione dello stragista, dovrebbe entrare a pieno titolo nella rosa delle ipotesi. Infine, ma non da ultimo, gli atti di violenza che non provocano morti, passano in secondo o terzo piano. Quasi nessuno ricorda più che un adolescente afgano, armato di accetta, una settimana fa, ha tentato di provocare una strage in un treno a Wurzburg, facendo "solo" cinque feriti.
QUANTI GIORNALISTI CREDONO IN DIO?
Paura? Prudenza? Deliberata volontà di non scatenare un'ondata di "islamofobia"? Forse. Ma domandiamoci quanti giornalisti ed editorialisti credano in Dio. Negli Usa, un sondaggio Pew del 2007 rilevava che un'esigua minoranza di giornalisti fosse credente e praticante, appena l'8% nei media nazionali e con una tendenza in forte calo. In Europa non esistono statistiche analoghe, ma la percentuale potrebbe risultare addirittura inferiore. Se Dio scompare dalle redazioni è difficile che ricompaia nelle notizie. Anche se ad uccidere è qualcuno che urla, in arabo "Dio è grande", si troverà sempre il modo di dire che quella è solo una copertura di "ben altro" motivo, o che l'attentatore, proprio perché uccide nel nome di un dio, è solamente pazzo.
P.S.: Mentre questo articolo veniva scritto e andava online, un siriano, entrato in Germania due anni fa come rifugiato, ha cercato di provocare una strage in un festival ad Ansbach, Germania meridionale. E' morto l'attentatore, ucciso dalla sua stessa bomba, mentre altre 12 persone sono rimaste ferite. Solo per imperizia dell'aggressore non è stata una nuova strage. Anche in questo caso, fra i commentatori, prevale immediatamente, già a poche ore dall'accaduto, la spiegazione psicologica: la disperazione di non aver ricevuto il diritto d'asilo, depressione, già due tentativi di suicidio e un periodo di cura in clinica psichiatrica.
Nota di BastaBugie: Gianandrea Gaiani nell'articolo sottostante dal titolo "Monaco, la versione rassicurante del lupo solitario" parla della strage a Monaco, l'episodio più caotico della storia recente del terrorismo. La polizia ha paralizzato una città intera per poi scoprire che l'attentatore era uno solo e si era già suicidato. Prevale la tesi del folle solitario, ma chi esclude il movente islamico rischia di non capire la realtà.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 24-07-2016:
Confusione o depistaggio, la strage al centro commerciale Olympia di Monaco è stato l'episodio più caotico di tutta la storia recente del terrorismo.
Certo, del killer, il 18enne tedesco iraniano Alì Soboly, sappiamo ben poco anche se tutti si affannano a dirci che era depresso, aveva problemi con i compagni, a scuola era stato bocciato e tutte quelle notizie che dovrebbero aiutare a rimuovere l'ipotesi di motivazione ideologica islamista per accreditare quella del pazzo. Una soluzione di comodo e un po' forzata, ma che ci impone di rassegnarci a "subire" il pazzo di turno invece di contrastare ideologie aggressive e molto ben radicate anche a casa nostra.
Così la polizia di Monaco ci dice che Soboly era affascinato dagli eccidi di massa ma era ispirato più da Anders Breivik che dall'Isis. Chissà perché considerato che Breivik uccise giovani militanti del Partito Socialista, cioè bersagli scelti con cura, mentre Soboly ha sparato nel mucchio uccidendo chi gli capitava a tiro, proprio come il commando jihadista al Bataclan e Mohammed Bouhlel sulla "promenade" a Nizza. A Monaco hanno quasi ignorato che Alì era un musulmano (forse sciita) anche se i suoi famigliari lo dipingono come molto lontano dalle religioni, così come scarsa eco ha avuto la testimonianza della signora che nel bagno del McDonald's col figlio ha sentito Soboly gridare "Allah Akhbar" mentre sparava.
In attesa di avere maggiori informazioni su cui ragionare qualcuno ha evidenziato l'incongruenza di un killer jihadista iraniano, che ci si aspetta sia sciita e nemico dei jihadisti sunniti e dell'Isis. In realtà in Iran il 35% della popolazione appartiene a minoranze tra le quali azeri, curdi, arabi, e baluci molti dei quali sono sunniti. La polizia ha negato infine legami con l'Isis, ma anche ragioni ideologiche dietro la strage, dopo una notte intera in cui è stato usato un brano del video in cui il killer scambia parole e soprattutto insulti con un uomo, che lo riprende col telefonino, per dipingerlo come xenofobo. Peccato che la frase "maledetti stranieri" attribuita a Soboly sia stata invece pronunciata dal suo interlocutore, probabilmente di etnia turca.
Sorprendente poi che la polizia di Monaco abbia dato la caccia per ore, bloccando l'intera città e alimentando il panico tra la gente, a due o tre terroristi in fuga dotati di armi lunghe. In realtà una minaccia immaginaria poiché il terrorista era uno solo, aveva solo una pistola ed era già morto. Certo la perizia balistica sui proiettili rinvenuti nei corpi avrebbe chiesto tempo, ma un rapido esame delle ferite avrebbe permesso di escludere rapidamente l'uso di fucili.
Meglio comunque prendere con le molle le informazioni rilasciate dalla polizia tedesca i cui vertici si sono già da tempo rivelati compromessi col potere politico, soprattutto sulle vicende islamiche e legate agli immigrati illegali, per risultare credibili. Basti pensare che per settimane tentò di nascondere la portata degli stupri e violenze di massa perpetrati da 2.000 islamici ai danni di 1.200 donne tedesche in quattro diverse città la notte di Capodanno. Una settimana fa il rapporto dalla polizia criminale federale (Bka) sulle violenze compiute a Colonia, Amburgo, Stoccarda e in altre città tedesche ha confermato che sono stati identificati solo 120 sospetti su cui la magistratura indaga e appena in 4 hanno subito condanne a Colonia, Duesseldorf e Nuertingen.
Secondo il rapporto la maggior parte dei sospetti sono nord-africani e afghani, pochissimi i siriani, e più della metà era arrivato in Germania nel 2015 come richiedente asilo. In dettaglio la polizia ha rilevato circa 650 reati di natura sessuale a Colonia e oltre 400 ad Amburgo, che risultano così le città più colpite dalle violenze ma il rapporto nega vi sia una mente comune che lega le aggressioni nello stesso momento e in diverse città. In pratica vogliono farci credere che 2mila stupratori islamici hanno aggredito casualmente 1.200 donne nella stessa sera in città diverse [leggi LE VIOLENZE DI CAPODANNO IN GERMANIA, clicca qui, N.d.BB].
Del resto i tedeschi hanno cose più serie di cui occuparsi. La Bild ha riferito che la tv pubblica Zdf ha bandito a vita le repliche dei telefilm dell'Ispettore Derrick dopo che è emerso il passato di giovane SS del suo protagonista, l'attore Horst Tappert deceduto nel 2008 all'età di 85 anni. Quando il suo passato nazista era venuto alla luce nel 2013, la Zdf aveva deciso di sospendere la trasmissione dei vecchi episodi di Derrick, benché l'attore, accusato di aver prestato servizio in un reparto contraereo della Divisione Panzer SS Totenkopf, avesse appena 22 anni alla fine della guerra e non vi fossero indizi di crimini da lui compiuti. Mettere al bando l'ispettore Derrick per i fatti di 70 anni or sono invece della sharia che ci vuole riportare alla preistoria è la strategia migliore per far aderire milioni di tedeschi a movimenti e partiti populisti, nazionalisti e xenofobi.
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