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« Torna agli articoli di Stefano Magni
E allora Donald Trump è ancora candidato presidente per i Repubblicani nelle elezioni del 2024. Ma solo secondo il sondaggio informale che si è tenuto domenica alla conclusione della Cpac, la conferenza annuale dei conservatori americani. L'ex presidente ha vinto con il 59% dei voti, contro il 28% di Ron De Santis, governatore della Florida, padrone di casa, visto che la conferenza si è tenuta a Orlando, nel suo Stato.
La Cpac è rappresentativa dell'ala più militante e motivata del Partito Repubblicano, non del partito nel suo complesso, né dell'insieme dei suoi elettori. Non tutti i repubblicani, infatti si identificano nel conservatorismo. Però i conservatori rappresentano l'anima del partito e da almeno quaranta anni ne dettano le tendenze con un buon margine di anticipo. La vittoria di Trump, dunque, non ha un grande valore predittivo (nel 2016 la Cpac l'aveva vinta Ted Cruz, tanto per fare un esempio), ma è bene tenerne conto per capire che aria tira nella destra americana. Di solito si dice che il secondo arrivato non conta nulla. In questo caso, invece, l'affermazione di Ron De Santis è importante e non solo perché era il governatore dello Stato che ospitava l'evento. La percentuale dei voti per lui è cresciuta di quasi un terzo rispetto all'anno scorso, mentre Trump ha perso 11 punti percentuali. Dunque il margine si riduce e, in un sondaggio separato, senza Trump, si è affermato il governatore della Florida con il 61% dei voti. Fra Trump e De Santis si è creato un rapporto di sempre maggior rivalità, come comprensibile. Potrebbero essere loro i duellanti delle primarie del 2024.
UN'OCCHIATA AI CONTENUTI
Importante anche dare un'occhiata ai contenuti. L'enfasi di tutti i discorsi è stata posta, comprensibilmente, sulla debolezza dell'amministrazione Biden, sulla repressione delle libertà da parte dei Democratici con il pretesto della pandemia, sulla guerra culturale, con il pericolo di una "rivoluzione woke" ormai in vista. Anche Marco Rubio, che pure è il più moderato fra gli ex candidati presidenziali, è dell'idea che la libertà in America sia ormai in pericolo. Che si possa cambiare ogni cosa, senza sangue e senza rivoluzione, grazie alla democrazia e alla libertà di espressione, ma che ormai la libertà sia messa in discussione. Unanime è il sostegno alla protesta dei camionisti canadesi (ed ora è iniziata anche quella dei colleghi e simpatizzanti statunitensi) contro l'obbligo di vaccinazione. "Una linea è stata superata - ha tuonato Donald Trump - O stai con i camionisti pacifici o sei con i fascisti di sinistra!"
L'Ucraina è un tema ricorrente nei discorsi dei politici, anche dell'ospite italiana Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d'Italia ha dichiarato che l'Ucraina "è una nazione orgogliosa" che "sta dimostrando a tutto il mondo cosa vuol dire combattere per la libertà. Oggi è il momento di essere uniti e prendere posizione. E sappiamo molto bene che la nostra parte è il mondo occidentale". È invece assente nel discorso di Ron De Santis che si è concentrato sui temi di Covid, libertà e woke revolution, vantando la libertà che lui stesso ha garantito all'interno del suo Stato "del sol levante". Ma non ha parlato di politica estera. Un silenzio strano, considerando il suo attivismo dimostrato durante le rivolte in Venezuela e a Cuba, decisamente più vicine alla sua terra e al suo elettorato. Il conflitto europeo è invece al centro dei discorsi del senatore Rubio, dell'ex Segretario di Stato Mike Pompeo e anche di Donald Trump.
QUANDO C'ERA TRUMP, PUTIN NON HA ATTACCATO NESSUN ALTRO PAESE
I media erano prontissimi (ancora con il Russiagate in testa) a riportare dichiarazioni pro-Putin. Ma non hanno avuto questa soddisfazione, anche se molti si sono lanciati in filippiche sul presunto putinismo dei nuovi Repubblicani, probabilmente senza neppure ascoltare i loro interventi. Rubio, da sempre appassionato alla causa della difesa delle democrazie, ha messo gli americani in guardia dal rischio dell'espansionismo del Cremlino. "Il discorso che Putin ha tenuto per giustificare l'aggressione all'Ucraina, può valere allo stesso modo per i Paesi Baltici". Trump vanta di essere stato "l'unico presidente del 21mo secolo sotto il quale Putin non ha attaccato nessun altro Paese". Siccome nello scandalo che aveva portato all'impeachment, sotto accusa era la sua telefonata proprio con il presidente Zelensky, ora lo cita come "un eroe" che sta resistendo all'invasione russa. Trump sotto accusa per aver definito Putin "un genio", e più recentemente "intelligente", ribadisce: "Certo che è intelligente. Ma il problema non è la sua intelligenza, semmai la stupidità dei nostri leader (...) Putin sta suonando Biden come un tamburo e non è un bello spettacolo per chi, da patriota, vi assiste qui in America".
Mike Pompeo, anch'egli criticato per aver dipinto Putin come un uomo intelligente, è stato ancor più chiaro in merito: "Noi vediamo un dittatore russo che sta terrorizzando il popolo ucraino, perché l'America non ha dimostrato la determinazione che noi abbiamo avuto negli ultimi quattro anni". Sulle sue presunte "lodi" a Putin, ha dichiarato alla Cbs: "Anche io voglio battere Vladimir Putin, naturalmente. Ma non puoi fingere che il tuo nemico sia debole, quando non lo è. Non puoi fingere che sia stupido, quando è intelligente".
La guerra in Ucraina è relativamente poco discussa. Non è un tema che preoccupa la platea conservatrice, prima di tutto. Fra i sondaggi, quello sulle minacce principali agli Usa rivela, ad esempio, che la maggioranza considera che il pericolo peggiore provenga dall'interno degli Usa. Dunque dalla sinistra. Solo un terzo dei presenti indica una minaccia esterna e la individua, però, nella Cina. L'America, spaccata al suo interno dalla nuova rivoluzione culturale, è sempre più isolazionista. Se teme qualcosa, semmai, guarda al Pacifico. E a noi europei può spettare un futuro in cui dovremo difenderci da soli.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Stefano Magni, nell'articolo seguente dal titolo "Parole, omissioni (e gaffe) nel primo discorso di Biden" spiega che il discorso del Presidente alla nazione si può riassumere in tre punti: sconfitte omesse, successi gonfiati, molta enfasi su quel che sta avvenendo in Ucraina.
Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 3 marzo 2022:
Sconfitte omesse, successi gonfiati, molta enfasi su quel che sta avvenendo in Ucraina. Se si può lapidariamente riassumere il discorso alla nazione di Joe Biden, il primo State of the Union, alla conclusione del primo anno di amministrazione, queste sono le sue tre caratteristiche. E non manca la gaffe, tipica dell'uomo: "Putin può circondare Kiev con i carri armati, ma non conquisterà mai i cuori e le anime del popolo iraniano (sic!)". Un brutto lapsus freudiano, oppure un "ukrainian" talmente distorto che tutti hanno capito "iranian" e così è stato riportato persino nella trascrizione del New York Times. In un momento drammatico in cui tutti stanno vivendo col fiato sospeso, almeno un po' di leggerezza ci voleva.
L'inizio del discorso, tutti i primi quindici minuti, è stato dedicato all'Ucraina. L'invasione russa è considerata come "una scossa alle fondamenta stesse del mondo libero". [...] Tuttavia, a questa visione del mondo, tipica degli idealisti, non segue l'enunciazione di una strategia, all'infuori delle sanzioni economiche. [...] La sua visione della Russia, popolare negli Usa, parrebbe fondarsi sull'idea dello Stato criminale in cui gli oligarchi hanno come primo fine il guadagno e, se privati dei loro yacht, appartamenti e jet, sarebbero pronti a uccidere Putin che glieli ha fatti perdere. Ma la classe dirigente russa è costituita da militari e agenti dei servizi (lo stesso Putin viene dal Kgb). Con questa guerra ha dimostrato di non essere affatto interessata al denaro, ma di compiere una missione "storica", a prescindere dai costi. A giudicare dal discorso di Biden e dalle azioni fin qui intraprese, a quanto pare manca un'idea chiara per contenere (o far arretrare) questa Russia.
Non ci sono altri temi di politica estera. La Russia ha involontariamente dato al presidente la possibilità di non parlare di Afghanistan. Neanche un accenno alla ritirata precipitosa che ha lasciato il mondo attonito, lo scorso agosto. E soprattutto, neanche un accenno ai 13 militari americani morti nell'attentato dell'aeroporto di Kabul mentre coprivano la ritirata. Comprensibile che il presidente non vada a rinvangare in quella che è sicuramente una sua sconfitta. Ma non ammettere gli errori, non parlarne, non rendere omaggio alle vittime, non è sicuramente un segno di auto-stima.
Il grosso del discorso di Biden è sulla ricostruzione dell'economia americana, dopo due anni di crisi pandemica. [...] L'economia americana sta recuperando rapidamente, ha raggiunto e superato leggermente i livelli pre-crisi, ma questo dopo una rapida e profonda recessione nel 2020. Ed anche le persone assunte l'anno scorso, non possono essere contate come "nuovi" posti di lavoro, se non si tolgono i dati sui licenziamenti nel 2020. Si parla di rimbalzo, non di una vera crescita. Per altro, il tanto contestato taglio di tasse di Donald Trump aveva garantito, invece, una crescita record, molto maggiore rispetto agli anni di Obama. In compenso si sta registrando, in questo inizio 2022, la più rapida crescita dell'inflazione degli ultimi 40 anni.
Su un punto, Biden è indistinguibile da Trump: il protezionismo. Buona parte del discorso economico è improntato sul principio America First: "Noi usiamo i dollari del contribuente americano per ricostruire l'America. Noi compiamo americano, compriamo prodotti americani per sostenere lavoratori americani. Ogni amministrazione dice che lo vuole fare, ma noi lo stiamo facendo. Noi compreremo americano per assicurarci che tutto, dal ponte di una portaerei all'acciaio dei guardrail delle autostrade è prodotto in America".
Su un altro aspetto, invece, Biden è l'opposto di Trump. È apertamente schierato contro il diritto alla vita, per i "diritti delle donne". Riferendosi alla sconfitta subita dai Democratici in Senato, sulla proposta di liberalizzare l'aborto a livello federale, Biden dichiara: "Promuovere la libertà e la giustizia richiede anche la protezione dei diritti delle donne. Il diritto costituzionale, stabilito nella sentenza Roe vs Wade (aborto legale, ndr), che ha fatto da precedente per mezzo secolo, ora è sotto attacco come mai prima. Se vogliamo andare avanti, non indietro, dobbiamo proteggere l'accesso ai servizi della sanità. Difendere il diritto di scelta della donna". Ma non del nascituro.
IL SENATO USA HA BOCCIATO L'ABORTO FINO ALLA NASCITA
Luca Volontè nell'articolo seguente dal titolo "Sconfitta Dem: bocciato l'aborto fino alla nascita" racconta la votazione storica dove il Senato Usa ha bocciato (48-46) la proposta dei Democratici di liberalizzare l'aborto fino alla nascita e di azzerare le vittorie pro vita degli ultimi decenni.
Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 2 marzo 2022:
Ieri sera, martedì 1 marzo, Joe Biden ha tenuto il suo discorso sullo "stato dell'Unione", un appuntamento storico che ha visto impegnati tutti i presidenti degli Stati Uniti dalla fondazione del Paese. L'attuale presidente avrebbe voluto, al suo primo discorso alla Nazione, dopo 12 mesi di continuo calo dei consensi (36%, come i soli Trump e Ford prima di lui), celebrare almeno la vittoria di una legislazione federale pro-aborto (Women's Health Protection Act). Il Senato però ha bocciato la proposta dei Democratici proprio lunedì 28 febbraio e nemmeno quest'annuncio si è potuto fare.
Quella di lunedì al Senato Usa è stata una battaglia storica. Dopo l'approvazione della Camera lo scorso settembre (218-211), la proposta dei Democratici di liberalizzare l'aborto a livello federale avrebbe potuto azzerare le battaglie pro life degli ultimi decenni. Il testo, bocciata la procedura per passare al voto sul testo stesso, grazie alla compattezza dei Repubblicani e al voto del senatore Democratico Joe Manchin (48 voti contrari contro 46 favorevoli), prevedeva: l'eliminazione di tutte le leggi statali e federali sul consenso dei genitori in relazione all'aborto delle minorenni; il divieto di tutte le leggi che prevedono non solo un consenso della madre che intende abortire ma anche pause di riflessione e presa visione delle immagini digitali del proprio figlio; il divieto per gli Stati di approvare leggi per proteggere i bambini sino alle 20 settimane (come avviene per la Corea del Nord, la Cina, il Vietnam, Singapore, il Canada e i Paesi Bassi); il licenziamento per i medici e le infermiere che si oppongono all'aborto e il taglio di tutti i fondi pubblici per gli ospedali di ispirazione religiosa che non eseguono aborti nelle proprie strutture; l'eliminazione di ogni limite al finanziamento federale diretto, con i soldi dei contribuenti, alle strutture che compiono gli aborti nel Paese.
La proposta dei Democratici avrebbe anche eliminato ogni divieto, introdotto dai singoli Stati, nei confronti degli aborti fino alla nascita, aborti selettivi (in base al sesso) e tutte le limitazioni statali ai finanziamenti degli aborti con fondi pubblici. È ben facile capire che l'approvazione del Women's Health Protection Act (WHPA), avrebbe comportato una rivoluzione copernicana nell'intero sistema americano e persino potuto inficiare la discussione e decisione della Corte Suprema sulle diverse leggi pro life. Tutti i Repubblicani hanno votato a favore della vita e tutti i Democratici hanno votato a favore della legislazione pro aborto, tranne Manchin, mentre le assenze erano tre per ogni parte politica. Durante il dibattito, non sono mancate le voci che hanno messo a nudo gli interessi dei lobbisti delle multinazionali abortiste, tra essi il senatore Ben Sasse, uno schietto sostenitore della vita, che ha denunciato come la legge avrebbe reso felice solo "l'esercito di lobbisti di Planned Parenthood".
I movimenti pro life americani hanno accolto la bocciatura della legislazione federale pro aborto con entusiasmo. [...]
Lo scorso 25 febbraio, è bene ricordarlo, l'ufficio pro vita della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti (USCCB) aveva promosso una campagna pubblica nella quale si invitavano i propri fedeli a scrivere ai senatori dei loro Stati perché votassero contro il Women's Health Protection Act. Nell'e-mail, l'ufficio dei vescovi ricordava come la legge avrebbe imposto "l'aborto libero a livello nazionale in ogni fase della gravidanza", vietato "le leggi pro-vita a livello nazionale e in ogni Stato e governo locale" e costretto gli americani "a sostenere finanziariamente gli aborti negli Stati Uniti e all'estero". [...] Pericolo scampato.
Dopo la nomina dell'abortista Ketanji Brown Jackson per la Corte Suprema, Biden voleva presentarsi ieri alla nazione come il presidente più abortista della storia, ma i sostenitori della vita hanno prevalso. Visti i sondaggi, dal prossimo novembre la Camera e il Senato Usa potrebbero avere solide maggioranze pro life e pro family, l'unica buona notizia per la nazione americana che speriamo Biden debba ricordare al Paese il prossimo anno.
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