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« Torna agli articoli di Stefano Magni
Ieri, 20 aprile, nel giorno dell'apertura della conferenza internazionale contro il razzismo, in Arabia Saudita una donna veniva decapitata per uxoricidio. Essendo donna, ha avuto la metà dei diritti di difesa di fronte a un giudice rispetto a un suddito uomo. Se questo non è razzismo... Sicuramente siamo di fronte a un caso di discriminazione, esattamente come quel cittadino indiano che, solo per essersi avvicinato alla Mecca, ha rischiato di essere condannato a morte. Un non musulmano, infatti, non può fisicamente avvicinarsi alla Mecca, né a Medina. In Arabia Saudita ci sono autostrade separate per tenere lontani gli infedeli. Eppure l'Arabia Saudita ha contribuito con la sua delegazione (e pagando 150 milioni di dollari) ai lavori di preparazione della conferenza di Ginevra. Ha partecipato ai lavori preparatori assieme alla Libia, che discrimina gli immigrati africani, li deporta nelle regioni desertiche, o li espone ai pogrom della popolazione urbana. Ha partecipato assieme alla Cina, che in Tibet sta conducendo da mezzo secolo un vero e proprio genocidio culturale: ci sono almeno 20 campi di «rieducazione» ancora in funzione in quella regione montuosa che fino al 1950 era uno Stato indipendente.
Il 20 aprile, alla vigilia del giorno di commemorazione della Shoah, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è stato il primo capo di governo a prendere la parola alla conferenza di Ginevra. Negando la veridicità dell'Olocausto (liquidato come «pretesto» per «l'occupazione» della Palestina) e la legittimità di Israele. Il presidente iraniano ha così approvato il più grande atto di genocidio della storia, all'apertura di una conferenza che dovrebbe condannarne le cause.
Questa è l'Onu, ha sempre funzionato così. Ai tempi della Guerra Fredda i dibattiti all'Onu per i diritti umani (compresa la conferenza di Helsinki del 1975) erano immediatamente dirottati dai regimi totalitari comunisti. L'Urss e i suoi satelliti non hanno mai condannato i sistemi giuridici occidentali, anzi: erano sempre in prima fila, pronti a discutere il concetto occidentale dei diritti umani per proporre una loro visione alternativa del tema. All'interno dei loro confini uccidevano decine di milioni di cittadini innocenti, ma nelle sedi internazionali, pacatamente, Mosca e i suoi alleati argomentavano che, tutto sommato, i diritti «borghesi» alla vita, alla libertà e alla proprietà non bastavano, ma dovevano essere integrati da diritti nuovi come la libertà dal bisogno, la libertà dalla fame, il diritto ad avere una casa. Diritti nuovi, nel nome dei quali giustificavano (senza farlo sapere) ogni soppressione di quelli «vecchi», vita compresa: si uccide il borghese per dare la casa al proletario, si uccide il nobile per liberare il proletariato dalla fame, si uccide il prete per liberare il popolo dal suo oppio religioso e dal bisogno....
In effetti, per chi teme di essere messo sul banco degli imputati per violazioni dei diritti umani e crimini contro l'umanità, la strategia migliore è proprio quella di passare all'attacco per primi. Attualmente, la maggior parte dei Paesi che fanno parte dell'Organizzazione della Conferenza Islamica non ha nemmeno aderito alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo dell'Onu. La maggior parte di essi dovrebbe essere condannata per discriminazioni contro le minoranze etniche, religiose, per la persecuzione degli omosessuali e per il vero e proprio regime di apartheid imposto alle donne. Eppure questi governi sono stati tra i più attivi in assoluto nella preparazione di una conferenza contro il razzismo di Ginevra. Hanno proposto una loro bozza, in cui ritengono (come l'Urss a suo tempo) che i vecchi diritti occidentali debbano essere integrati con nuovi diritti contro le discriminazioni culturali. Uno dei quali è il «diritto» ad essere liberi dalla diffamazione religiosa. In pratica, sostengono che occorra una nuova legge internazionale che perseguiti chi osa mettere in discussione la religione musulmana, o chi denuncia una sua applicazione (come il taglio della mano destra dei ladri o la lapidazione delle donne adultere), o chi semplicemente fa un disegno che ritrae Maometto. I Paesi dell'Oci spacciano questi divieti come «diritti» da applicare contro il razzismo religioso. Nella nuova bozza di Dichiarazione per la conferenza di Ginevra, manca un riferimento esplicito a questa proposta, ma i delegati dei governi e regimi islamici hanno mantenuto il loro obiettivo e possono discutere sull'ultima versione del documento, in cui la rimozione delle discriminazioni religiose (fra cui la «islamofobia») è ai primi punti dell'agenda.
Nella conferenza di Ginevra, così come in quella di Durban del 2001 (la cui Dichiarazione costituisce ancora la base dei lavori), i Paesi arabi e africani che gestirono la tratta degli schiavi per duemila anni, Paesi che tuttora praticano la schiavitù in forme più o meno legali, vogliono mettere sul banco degli imputati l'America. Per la sua schiavitù abolita da tutti i suoi stati dal 1864 (un anno prima della fine della Guerra Civile, anche gli Stati Confederati avevano iniziato a emancipare gli schiavi). Vogliono mettere sul banco degli imputati i Paesi europei che gestirono la tratta degli schiavi transatlantica. E' proprio specificata la condanna alla tratta «transatlantica» degli schiavi, delle rotte di schiavi nel Sahara o nell'Oceano Indiano non si parla nemmeno. E solo per il passato schiavista occidentale si chiede il pieno risarcimento. Non è nemmeno considerata la discriminazione delle etnie minoritarie in Cina, in Iran, in Sudan... le minoranze da tutelare e proteggere sono solo quelle «di origine africana» e «asiatica», più «le popolazioni indigene» e le popolazioni nomadi. Come si può vedere, gli autori della bozza hanno modellato sulla sola America la lotta alla discriminazione, prendendosela con un Paese che ha ormai un presidente afro-americano e ignorando popoli che vengono ancora sterminati.
Non solo i Paesi musulmani, ma anche la maggioranza delle dittature del terzo mondo (fra cui il Venezuela di Chavez in prima fila) vogliono la condanna di Israele. L'unico Paese democratico del Medio Oriente, l'unico che attribuisce pari diritti di voto a tutte le etnie (ebrei di tutte le tribù e provenienze, arabi, beduini, drusi, circassi) che lo compongono, l'unico in cui le donne hanno pari opportunità di carriera rispetto agli uomini... ebbene è l'unico Paese mediorientale ad essere messo sotto accusa. Proprio per il suo carattere occidentale, proprio in quanto simbolo di lotta contro le dittature.
E' con questi mezzucci che i peggiori razzisti del mondo vogliono dirottare la conferenza di Ginevra per evitare di essere accusati per primi. Il fatto è che di mezzucci si tratta, anche molto poco credibili. Ma in Europa pochi hanno la fermezza necessaria a sbugiardarli. L'Italia è stata la prima nazione europea a disertare i lavori di un evento, il cui significato è stato snaturato e ribaltato. La Polonia, l'Olanda e la Germania hanno seguito il nostro esempio. Tutti gli altri membri dell'Ue, però, hanno voluto partecipare, chi credendo di poter cambiare qualcosa, chi costretto da una popolazione di immigrati musulmani sempre più numerosa e agguerrita. Ma con l'unica eccezione del nostro governo, gli esecutivi dell'Unione Europea hanno dimostrato di essere culturalmente fragili di fronte alla minaccia culturale posta da chi vuole completamente sovvertire la causa anti-razzista per imporre nuovi divieti, regole e censure contro la libertà individuale.
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