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« Torna agli articoli di Tommaso Scandroglio
A dicembre è stato redatto il Piano di azione nazionale 2013-2015 (PAN) per delineare linee strategiche operative in merito al fenomeno del gioco d'azzardo patologico (GAP). Il progetto nasce "su proposta e supervisione tecnico-scientifica del Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri". D'accordo che il gioco d'azzardo può diventare come una droga, ma qui la competenza ratione materiae del Dipartimento Antidroga non è pertinente. Questo dipartimento si occupa di una materia – le sostanze psicotrope - che è considerata illecita secondo il nostro ordinamento giuridico. Il gioco d'azzardo invece è legale. Appare paradossale che un'attività legale riceva attenzione da un organo preposto a combattere attività illegali. Questo è accaduto perché un comportamento di per sé innocuo – giocare due lire al gratta e vinci – è diventato, con la benedizione di quello stesso Stato che ora cerca di tamponare le falle, un fenomeno di massa spesso con profili problematici sia sul piano della salute, provocando non di rado dipendenza, sia sul piano della sicurezza pubblica, il giocatore patologico entra in contatto spesso con usurai e il giro di soldi intorno all'azzardo interessa la malavita organizzata, sia sul piano sociale, sfasciando famiglie.
Da qui una domanda molto ingenua: non era più facile vietare il gioco d'azzardo in radice? Oppure, come accadeva una volta, limitarlo ai pochi casinò presenti in Italia? Lasciamo per ora la domanda in sospeso. Nel PAN vengono predisposte una serie di strategie per aiutare le persone vulnerabili ad uscire dal tunnel del gioco, soprattutto tramite supporto psicologico. Ma il Piano di azione interessa anche i comuni cittadini che mai hanno giocato una schedina nella loro vita, dato che sono previste campagne di sensibilizzazione ed interventi nelle scuole. Tutte cose encomiabili, ben inteso, però ci sono alcune iniziative che odorano di bruciato e che svelano il vero volto del nostro ordinamento giuridico, un volto statalista che tutto vede e tutto vuole controllare.
Nel documento del Dipartimento Antidroga ad esempio viene suggerito, come una delle tante soluzioni al problema della dipendenza da gioco, di "sviluppare una piccola applicazione per smartphone per autovalutazione del rischio a cui collegare anche acquisizione di dati comportamentali per ricerca fattori di vulnerabilità". Una sorta di schedatura. La proposta fa il paio con questa iniziativa: da novembre per giocare alle slot machine e al Vlt (Video lottery terminal) ci vuole la tessera sanitaria. Così ti controllano e vedono se sei maggiorenne e quanto spendi. Da qualche giorno è stato esteso anche ai gratta e vinci. Naturalmente – si badi bene – lo fanno per il tuo bene.
Lo Stato poi non interviene solo a danno avvenuto, ma anche in modo preventivo. Siamo nel pieno dell'educazione statale delle coscienze: "Gli interventi preventivi dovrebbero mirare a creare precocemente consapevolezza dell'esistenza di un eventuale problema nelle persone a rischio in modo da indurre comportamenti di autoregolazione e autodeterminazione". Lodevole orientare al bene, male pilotare le coscienze. Nel primo caso la libertà della persona abbraccia il bene volontariamente, nel secondo siamo nel plagio mentale. Il discrimine è sottile, ce ne rendiamo conto, però esiste.
A suffragare simile timore che vede lo Stato come un controllore della nostra vita c'è anche questa ulteriore iniziativa: si prevede la "realizzazione di un'unità mobile per laboratorio in vivo [sic] per ricerche comportamentali su slot machine e VLT. All'interno di questi laboratori mobili, oltre al rilevamento di comportamenti di gioco sarà possibile rilevare dati neuro fisiopatologici di base con tecniche non invasive". Siamo trattati ormai come cavie umane.
Certo, è la solita ipocrisia di Stato: questo dà una rivoltella ad un bambino ma avvertendolo che si può far male. E' come se un mafioso ti facesse il pizzo ammettendo che non è proprio cosa da galantuomini. Corri pure sui binari – ti dice la legge - ma nel rispetto di alcune precauzioni. Ipocrisia anche perché, non è un mistero, le casse italiane si rimpinguano e non poco grazie al gioco d'azzardo. Lo ammette pure il PAN: "Non va però dimenticato che le offerte di gioco costituiscono un importante settore produttivo dell'intrattenimento nel nostro paese, nonché parte integrante dell'economia legale dello Stato".
Davvero il nostro Stato è il Big Brother che scruta in modo capillare ogni piega della tua esistenza: non solo ti segue in tabaccheria per vedere quanto spendi al superenalotto e che numeri giochi, ma controlla per via amministrativa ogni tuo respiro quando vuoi aprire un'azienda, ti dice per bocca dell'Unione europea in quali cantine invecchiare i salumi e quanto strette devono essere le maglie delle reti da pesca per il pesce azzurro, pianifica strategie nazionali di ogni tipo per contenere i danni del gioco d'azzardo, per contrastare l'omofobia, etc.
C'è dell'altro poi. Il recente disegno di legge sul gioco d'azzardo prevede l'inserimento della cura dei ludopatici nei livelli essenziali di assistenza sanitaria nazionale (alla faccia della spending review e delle priorità in sanità). Cioè paghiamo noi per i vizi altrui. "Chi è causa del suo male pianga se stesso" non è più di moda dunque. Da una parte pare il trionfo del liberalismo, ma ad un'analisi più attenta è ancora una volta vero e proprio statalismo. Infatti lo Stato ti dice: fai quello che vuoi caro cittadino, tanto poi ci pensa mamma stato a rimettere a posto i cocci del vaso che tu hai rotto. Spendi e spandi alle slot machine, poi ti curiamo noi a spese di tutti. Metti al mondo quanti figli vuoi fuori dal matrimonio che c'è lo Stato che metterà una toppa e li tratterà come figli legittimi. Tu non devi rispondere di nulla, nemmeno degli effetti negativi della tue libere scelte. Come far crescere una cittadinanza irresponsabile.
E allora torniamo alla domanda iniziale: non era preferibile non liberalizzare in questo modo il gioco d'azzardo invece che permetterlo e poi curarne gli effetti negativi? No, perché lo Stato, dando corda alle voglie dell'individuo, in realtà lo lega a filo doppio a se stesso, come aveva intuito... Abbandona dunque il cittadino alle sue passioni e bassezze - aborto, divorzio, figli in provetta, gioco d'azzardo e nel prossimo futuro "matrimoni" gay ed eutanasia - e poi lo obbliga, da una parte, a ricorrere a lui per realizzare questi desideri che hanno bisogno per concretarsi di leggi, enti amministrativi, risorse etc. (Rousseau diceva che lo Stato è una grande industria di desideri). E dall'altra lo spinge a ricorrere sempre a lui se qualcosa va storto e se il paese dei balocchi non era così bello come ce se lo si era immaginato: vedi le infinità di reati che nascono dalla rottura dei matrimoni, compresi i casi di femminicidio (seppur come abbiamo evidenziato da queste colonne non esista una vera e propria emergenza in questo ambito), vedi le risorse pubbliche per assistere ex mariti sul baratro della povertà, vedi le sindromi post-abortive e post fivet a carico del servizio sanitario nazionale.
Illudendo la persona di essere libera di fare quello che vuole in realtà crea in lui una dipendenza dallo Stato. Altro che dipendenza da gioco d'azzardo. Siamo come quei cani che felici escono per l'agognata passeggiatina e relativi bisognini, ma tenuti al guinzaglio dal proprio padrone.
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