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« Torna agli articoli di Tommaso Scandroglio
Un proverbio recita: "Al buio tutti i gatti sono grigi". Ciò a dire che occorre mettere il gatto alla luce per capire qual è il suo colore. Questo vale per tutti i fatti della vita: solo se si descrivono gli accadimenti per quelli che sono realmente, si potranno formulare giudizi corretti. Dunque, imprescindibile per ben giudicare è accendere la luce della verità.
Nel caso Lambert, i media da una parte non hanno descritto come sono andate e come stanno realmente le cose e su altro fronte hanno strumentalizzato alcuni particolari veri della vicenda per benedire l'eutanasia. Il risultato è una distorsione del dato reale per fini eugenetici inoculando nella coscienza collettiva giudizi morali non fondati sull'autentico bene dell'uomo. E, come sempre è avvenuto, quello che rimarrà del caso Lambert non sarà la verità, bensì l'opinione, non la fotografia dei fatti, ma la percezione collettiva dei fatti.
Concentriamo dunque la nostra attenzione su questa strategia usuale in campo bioetico che è stata applicata anche al caso Lambert: veicolare giudizi alterando la descrizione dei fatti. Mentire nella narrazione o raccontare fatti veri ma in modo furbo per acquistare al proprio partito l'uditorio. Ecco una carrellata di informazioni non vere o perlomeno inesatte sulla vicenda Vincent Lambert.
STATO VEGETATIVO CRONICO
Secondo questa narrazione, il quarantaduenne tetraplegico sarebbe in "stato vegetativo cronico" o qualcosa di simile (cfr. Ansa; La Stampa; Il Corriere; La Repubblica; Il Messaggero; Tgcom24; Il Fatto Quotidiano; Il Post; Vatican News riporta posizioni di medici divisi tra "coscienza minima" e "stato vegetativo cronico"; AgenSir; Tg3 nell'edizione delle 14.30 di ieri).
Dunque, per alcune di queste testate il messaggio subliminale da far passare parrebbe essere il seguente: se il paziente è diventato un vegetale è lecito ucciderlo. Ma a parte il fatto che simile espressione è pressoché in disuso in medicina e si preferiscono altre espressioni cliniche come "sindrome della veglia non responsiva", c'è da sottolineare che anche quest'ultima dicitura non è pertinente alle condizioni di salute di Vincent dato che questi versa, secondo i suoi medici curanti, in uno stato di "coscienza minimale plus". Infatti il paziente, che tra l'altro non è malato terminale, è responsivo e dunque è cosciente (non così per la Stampa), ha tentato anche di vocalizzare, segue il ciclo sonno-veglia, respira autonomamente, non è attaccato a nessuna macchina. Affinché gli scettici si ricredano è sufficiente che costoro guardino questo agghiacciante video di due sere fa, quando la mamma comunica a Lambert che dovrà essere ucciso e lui si mette a piangere: chiedete a un paziente in "stato vegetativo" di farlo [vedi video in fondo all'articolo, N.d.BB]. Basterebbe questo video per provare che Vincent non è in stato vegetativo anche se alcune perizie, riportate dai giornali, dicono il contrario.
COMA PROFONDO E MACCHINARI
Il Tg3, nello stesso servizio mandato in onda ieri, afferma che Vincent è sia in stato vegetativo che in coma profondo: oltre all'impossibilità di sovrapporre le due condizioni, c'è da rilevare che il coma è uno stato di incoscienza che dura al massimo 30 giorni circa e poi esita nella morte del paziente o nel "risveglio" con diversissimi gradi di coscienza a seconda dei casi. Sempre il telegiornale della terza rete Rai parla poi di "alimentazione forzata": semmai assistita. Altro svarione: per il Corriere, Vincent è tenuto in vita da dei macchinari, ma così non è.
NOTIZIE VERE, MA...
Poi ci sono le notizie vere, ma date colorandole di tinte negative per orientare la coscienza collettiva in una certa direzione. Ad esempio, Vincent ha riportato a seguito dell'incidente stradale danni cerebrali irreversibili e questo è innegabile, però tale particolare assume, nella narrazione che ne fanno alcuni media (Il Corriere, La Repubblica, Tgcom24, Il Fatto Quotidiano, Il Messaggero), valore legittimante l'eutanasia. Pare quindi che una patologia o una condizione clinica quando sia cronica-irreversibile legittimi l'eutanasia: che dire allora dei diabetici? Stesso fumus eutanasico esala dall'affermazione (La Stampa) secondo la quale il paziente è mantenuto artificialmente in vita perché accudito nelle sue funzioni fisiologiche (bere, mangiare, urinare, andare di corpo, supporto farmacologico per le più diverse esigenze come infezioni etc.): ma anche i pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia sono mantenuti artificialmente in vita, così come i portatori di peacemaker, e gli esempi si potrebbero moltiplicare all'infinito.
FERVENTI CATTOLICI
Infine, non pochi giornali (La Repubblica, Il Corriere, La Stampa, Tgcom24) scrivono che i genitori di Vincent sono "ferventi cattolici" (per il Post sono "vicini ad un movimento cattolico integralista") quasi a suggerire che rifiutarsi di ammazzare un figlio è decisione propria di chi crede perché il suo giudizio razionale è inquinato dai fumi delle credenze cattoliche; chi invece non crede potrebbe legittimamente risolversi a farlo.
In breve, come c'era da aspettarsi, la rappresentazione mediatica del caso Lambert si fonda su una descrizione dei fatti o falsa oppure partigiana perché faziosa. Ultima postilla, ahinoi, non superflua: anche se Vincent fosse paziente terminale, completamente incosciente e dipendesse in tutto dai medici e dalle macchine per sopravvivere, dal punto di vista morale, non potrebbe essere ucciso. Mai è lecito uccidere una persona innocente, nonostante le sue condizioni di vita siano pessime.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Tommaso Scandroglio, nota giustamente che purtroppo se Vincent Lambert fosse stato un cittadino italiano sarebbe già stato ucciso a causa della legge sulle DAT.
Ecco un estratto di ciò che ha scritto su La Nuova Bussola Quotidiana il 22 maggio 2019:
Facciamoci una domanda: se Vincent fosse stato cittadino italiano quale sarebbe stata la sua sorte? Sarebbe già morto da un pezzo. Infatti, secondo la legge 219, è possibile nominare un rappresentante legale a tutela di persona incapace, rappresentante legale il quale in assenza di Dat - ossia di dichiarazioni scritte del paziente - ha mano libera nel decidere le sorti dell'assistito. Sta a lui prestare o negare o revocare il consenso in merito a tutte le cure e le terapie, anche quelle salvavita, comprese alimentazione e idratazione assistite. Nel marzo del 2016 la moglie di Vincent, Rachel Lambert, viene designata come rappresentante legale del marito. Dunque, se tutta la vicenda si fosse svolta in Italia, spettava alla moglie, in quanto rappresentante legale del marito, decidere se tenerlo in vita o ucciderlo per inedia. E la signora Rachel, sin dal 2013, è stata sempre a favore della morte del marito. Quindi, a differenza di quello che è successo in Francia, Vincent sarebbe già morto qui da noi senza nemmeno il bisogno di disturbare i giudici nazionali, quelli europei e il Comitato Onu per i diritti delle persone disabili.
Questo per dire che noi stiamo peggio dei francesi.
VIDEO SHOCK: IL PIANTO DI VINCENT DEVE INTERROGARE LA NOSTRA COSCIENZA!
In questo video straziante (durata: 1 minuto e mezzo) Vincent dimostra di non voler morire e piange quando i genitori gli comunicano che i medici dell'ospedale di Reims, in Francia, hanno iniziato ad eseguire la sua condanna a morte. La mamma prova a consolarlo. Paese strano la Francia: è vietata la pena di morte per i colpevoli, mentre viene eseguita tale pena per gli innocenti!
https://www.youtube.com/watch?v=1mKWzR11VVU
VOGLIONO UNA LEGGE ANCORA PIÙ ESTREMA SULL'EUTANASIA
Luisella Scrosati nell'articolo seguente dal titolo "Il caso Lambert? Il fine è una legge estrema sull'eutanasia" spiega come la cultura della morte usi la vicenda di Vincent come trampolino di lancio per arrivare a una legge ancora più estrema sull'eutanasia.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 22 maggio 2019:
La decisione presa lunedì sera dalla Corte d'appello di Parigi ha momentaneamente fermato il processo di morte contro Vincent Lambert, in attesa della risposta del Comitato dell'Onu per i diritti delle persone disabili.
David, uno dei fratelli di Vincent, ieri mattina ha espresso il sollievo suo e dei genitori e ha dichiarato il prossimo obiettivo: "Francamente, non si può più rimanere dentro questa struttura [l'ospedale CHU di Reims, nda]. C'è bisogno di ritrovare serenità. Bisogna che Vincent sia veramente preso in carico in strutture specializzate". David ha raccontato che, lunedì sera, la prima persona a cui ha pensato dopo la richiesta della Corte di Parigi, è stata Rachel, la moglie di Vincent; e a lei desidera lanciare un accorato appello: "Rachel, tutti assieme possiamo accompagnare Vincent. È necessario che abbiamo tutti insieme un progetto di vita per Vincent, che ci stringiamo attorno a lui e ci prendiamo cura di lui. Noi siamo qui. Se non è possibile per te, noi ci siamo. Noi saremo con lui e ti aiuteremo, come tu desideri".
Si tratta sicuramente di un sollievo. Rimane però non solo l'incertezza su quanto potrà dichiarare il Comitato, ma anche il dubbio se si riuscirà ad attendere effettivamente quella decisione, visto che il nipote di Vincent Lambert, François, ha avuto parole molto dure contro la decisione giudiziaria e contro i genitori di Vincent, dichiarando che "il CHU è determinato ad andare fino in fondo". Avremo modo di capire in cosa consisterà questa determinazione.
C'è poi un altro grande punto interrogativo: qualora il Comitato dell'Onu dovesse dichiarare che l'idratazione e l'alimentazione non costituiscono un accanimento terapeutico nelle condizioni in cui versa Vincent e dovesse difendere il suo diritto di essere trasferito in un centro specializzato, la Francia intenderà recepire l'indicazione? Perché è un fatto che le sentenze del Consiglio di Stato costituiscono un'interpretazione autentica della legge Claeys-Leonetti e queste sentenze hanno dichiarato che la decisione presa dai medici del CHU di Reims è conforme a tale legge.
Anche i due firmatari della legge del 2016 sono di questo parere. Al senatore Leonetti, di cui avevamo riportato un'intervista, si è aggiunto anche Alain Claeys: "Il caso Vincent Lambert entra pienamente nel quadro della legge. C'è un comitato medico collegiale, ci sono state delle perizie, il Consiglio di Stato ha deciso. E tutti ritengono che ci siano tutte le condizioni per dire che Vincent Lambert è mantenuto in vita artificialmente ed è in uno stato vegetativo. Non ha redatto delle direttive anticipate, ma la moglie me l'ha dichiarato più volte: se avesse potuto esprimersi, avrebbe chiesto l'interruzione dei trattamenti". Ora, nella follia di queste affermazioni, c'è una cosa vera: il Consiglio di Stato ha ritenuto che l'alimentazione enterale sia un mantenimento artificiale della vita che può essere interrotto; e che la semplice presunzione da parte della moglie di quello che Vincent avrebbe voluto sia sufficiente per dirimere la questione.
Cosa succederà, dunque, se una richiesta internazionale dovesse confliggere con la legge attuale e con l'interpretazione autentica che di questa legge è stata data? Appare piuttosto inutile, per non dire dannoso, il tentativo di personaggi pubblici, come per esempio Marine Le Pen, di "salvare" Vincent, invocando una corretta interpretazione della legge, a suo avviso, travisata nel suo spirito di fondo. Il problema è che proprio la legge ha uno dei suoi punti deboli nell'articolo 2, che definisce l'alimentazione e l'idratazione come dei trattamenti (primo problema) e che permette che possano essere interrotti "quando appaiono inutili, sproporzionati o non abbiano altro effetto che il solo mantenimento artificiale della vita" (secondo problema). Bisogna invece esigere che questi sostegni vitali, insieme alla ventilazione, non siano interrotti, a meno che l'organismo non sia più in grado di assorbirli. È questa la vera questione di fondo, che purtroppo non sta emergendo nel dibattito suscitato dalla vicenda di Vincent Lambert.
Anzi, la battaglia medico-giudiziaria di questi dieci anni non è ancora terminata e già viene abbondantemente strumentalizzata dai sostenitori dell'eutanasia. C'è chi difende la legge vigente e ritiene che il problema stia nel fatto che in Francia troppe poche persone scrivano le proprie direttive anticipate. Come Jean Leonetti, pronto subito a volgere a proprio vantaggio il ping-pong giudiziario: «Dobbiamo imparare da Vincent Lambert a "pensare alla morte", scrivere le nostre direttive anticipate e designare una persona di fiducia per evitare che situazioni del genere si ripetano». Secondo Le Figaro, "solo il 60% dei francesi sanno in cosa consiste questa legge, solo il 40% è a conoscenza della possibilità delle direttive anticipate e solo il 13%" le hanno scritte.
Questa apparente via d'uscita trova il suo punto di forza nella mentalità dominante per la quale ciascuno decide per sé. Ma le dichiarazioni anticipate non fanno altro che acuire il problema, perché nessuno di noi è in grado di prevedere tutte le situazioni future, né che cosa vorremo effettivamente quando dovremo lottare tra la vita e la morte; e probabilmente, proprio allora, non saremo in grado di dire che non siamo più d'accordo con quanto avevamo lasciato scritto. C'è anche il problema che noi, che siamo esortati a scrivere queste dichiarazioni anticipate, perlopiù non abbiamo un linguaggio appropriato, né dal punto di vista medico, né da quello giuridico; il che darà ampio margine interpretativo delle nostre dichiarazioni.
E poi c'è il problema dei problemi: nessun uomo può rivendicare un "diritto" a morire, se non altro per il fatto che, di fronte a un mio presunto diritto, dovrà allora esserci un "dovere" da parte di terzi di darmi la morte, cioè di effettuare l'eutanasia o collaborare con essa. È inutile che i difensori della legge Claeys-Leonetti si agitino tanto per dire che questa legge è un punto di equilibrio che permetterebbe di non cadere né nell'accanimento terapeutico né nell'eutanasia. Omettere o interrompere i sostegni vitali e dei trattamenti vitali proporzionati a una persona che ne ha bisogno è omicidio, tanto quanto quello di iniettare una sostanza letale.
E questo l'hanno capito bene i sostenitori dell'eutanasia "attiva" e del suicidio assistito, come Jean-Luc Romero, noto attivista pro-eutanasia ed ex presidente dell'Association pour le droit à mourir dans la dignité, il quale, piuttosto irritato per il salvagente gettato dalla Corte d'appello, si è subito precipitato a dire che "in Belgio tutto questo non sarebbe accaduto". In quel paradiso della morte, "i genitori di Vincent Lambert non avrebbero potuto opporsi alla scelta della moglie e non si sarebbero passati undici anni dentro questa faccenda estremamente dolorosa".
Jean-Marie Le Méné, presidente della Fondazione Jérôme Lejeune, ha fatto una lucidissima analisi del quadro che abbiamo davanti. Da una parte, «la legge Leonetti, di fatto, rifiuta la parola "eutanasia"»; tuttavia, «non utilizza il termine, ma autorizza la cosa. È una legge iniqua». C'è oggi la tentazione sul piano sociale, politico, religioso di pensare che il problema sia di "attuare una corretta applicazione di questa legge iniqua. Ma non funziona. Una buona applicazione di questa legge è il caso Vincent Lambert", cioè la legittimazione della sua uccisione da parte degli organi giudiziari. Ma non è tutto. Molti diranno che la vicenda di Vincent Lambert è andata troppo per le lunghe, che la giustizia è stata fluttuante, che i medici sono troppo esposti a rischi penali; "l'opinione è dunque matura per fare una legge chiara e netta favorevole all'eutanasia, perché l'opinione pubblica è pronta. Penso che il caso Vincent Lambert servirà, è triste dirlo, come trampolino di lancio per una legge sull'eutanasia", che provocherà un effetto domino su tutte le persone in condizioni analoghe a quelle di Vincent. "E che diremo poi dei malati di Alzheimer? Sono in una situazione peggiore di quella di Vincent Lambert".
Le Méné non sta fantasticando: sta spiegando una logica intrinseca a questo processo, scientemente avviato da personaggi come Jean-Louis Touraine, massone del Grande Oriente di Francia, deputato di La Republique en marche e oggi presidente del gruppo di studio dell'Assemblea nazionale Fin de vie, cui toccherà appunto proporre una nuova legge sul fine vita/eutanasia. Lui, Touraine, il 28 febbraio 2018, aveva presentato su Le Monde un appello firmato da 156 deputati per ottenere, entro il 2019, una legge per "permettere ai malati in fin di vita di disporre liberamente del proprio corpo". L'affaire Lambert, presentato come "in fin di vita" senza esserlo, casca proprio a pennello.
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Giornalista
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