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« Torna agli articoli di Tommaso Scandroglio
È stata pubblicata ieri la Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede Dignitas infinita, sulla dignità della persona umana. Un documento nato dopo l'elaborazione di ben cinque bozze prodotte nel corso degli ultimi cinque anni.
L'impostazione di fondo, di carattere metafisico, è in linea di massima corretta ma, visto il valore del documento, necessitava di maggior approfondimento, ad esempio trattando del concetto di persona in relazione alle tre persone della Santissima Trinità - perché è da lì che deriva in ultima istanza la preziosità di ogni persona - per poi mettere in risalto che la preziosità intrinseca dell'uomo discende in seconda battuta dalla particolare natura della sua forma attualizzata, cioè dalla sua razionalità (nel documento c'è solo un rapidissimo cenno a questo snodo concettuale). È la qualità di tale natura che fa sì che l'uomo sia intrinsecamente prezioso e dunque meriti l'appellativo di persona, che è come una sorta di titolo per indicare una dignità elevatissima. Persona è dunque nomen dignitatis. Tommaso d'Aquino sul punto così si esprime: «Tra tutte le altre sostanze, gli individui di natura ragionevole hanno un nome speciale. E questo nome è persona» (Summa Theologiae, I, q. 29, a. 1 c.). Seppur nella correttezza dell'impianto, ma non di tutte le singole argomentazioni articolate, si denota allora poca profondità di analisi, cifra comunque caratteristica di tutto il presente pontificato.
PASSAGGI AMBIGUI, DISCUTIBILI, ERRATI
Accanto a passaggi condivisibili di questa Dichiarazione, firmata dal prefetto Victor Fernández e approvata da papa Francesco, ve ne sono altri ambigui, altri discutibili e altri infine errati. In relazione ai passaggi ambigui - tralasciando per motivi di spazio la definizione proposta di "natura umana" - ci fermiamo al punto n. 1 dove si afferma il primato della persona umana, così come già in precedenza asserito in Laudate Deum di Francesco (n. 39). Questo è vero sul piano naturale, ma non su quello soprannaturale. Infatti il primato spetta sempre a Dio. Da un documento che, giustamente, fonda la dignità umana sul fatto di essere stati creati ad immagine di Dio, il mancato riferimento al primato trascendente è un'omissione rilevante.
In merito ai passaggi discutibili e in modo telegrafico: «Tale dignità ontologica - si legge nel documento - nella sua manifestazione privilegiata attraverso il libero agire umano, è stata poi messa in risalto soprattutto dall'umanesimo cristiano del Rinascimento» (n. 13). L'umanesimo, anche quello coraggiosamente definito cristiano, è stato antropocentrico e non teocentrico. Parimenti critica la seguente disinvolta affermazione: «è evidente che la storia dell'umanità mostra un progresso nella comprensione della dignità e della libertà delle persone» (n. 32). Siamo certi che a molti appaia evidente il contrario.
Una scelta discutibile è poi l'elenco proposto di condotte o fenomeni contrari alla dignità della persona, elenco sbilanciato sulle questioni proprie della giustizia sociale: povertà, guerra, migranti, tratta delle persone, abusi sessuali, violenze contro le donne, femminicidio, aborto, maternità surrogata, eutanasia e suicidio assistito, lo scarto dei diversamente abili, teoria del gender, cambio di sesso, violenza digitale (in tale ordine nel documento). Tutte condotte o fenomeni sicuramente censurabili, ma, nonostante le rassicurazioni che l'elenco non fosse esaustivo (cfr. Presentazione), spiccano per la loro assenza, ad esempio, il divorzio, la contraccezione, la fecondazione artificiale, la sperimentazione sugli embrioni, l'ambientalismo. Sarebbe stato poi più proficuo partire dal Decalogo per stilare simile elenco.
GLI ERRORI PIÙ EVIDENTI
Veniamo agli errori, perlomeno a quelli che ci paiono più evidenti. Il primo è proprio nel titolo: Dignitas infinita. La dignità della persona umana non è infinita (cfr. n. 1) perché il suo essere non è infinito. Solo la dignità di Dio è infinita perché ente infinito. La nostra creaturalità comporta una preziosità intrinseca limitata, finita, ma nello stesso tempo incommensurabile, ossia immensa, e assoluta, cioè non sottoposta a condizioni, come correttamente più volte si sottolinea nel testo (nello stesso errore era caduto Giovanni Paolo II, citato nel documento).
Secondo errore: al n. 28 si cita nuovamente la Laudate Deum: «La vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature» (n. 67) Eppure la Dichiarazione per ben 15 volte e assai opportunamente ripete che la dignità umana è tale al di là di ogni circostanza. Ora invece la dignità umana parrebbe discendere dalle altre creature: non più dignità assoluta, ma relativa, in relazione a piante e animali. Il classico obolo dovuto all'ambientalismo. Sul terzo errore - la pena di morte contrasta con la dignità umana (cfr. n. 34) - rimandiamo all'articolo in nota.
Soffermiamoci infine sul paragrafo dedicato alla teoria del gender. Ora, tale teoria comprende, tra gli altri aspetti, un giudizio positivo sull'omosessualità e sulla transessualità. Su questo secondo aspetto la Dichiarazione dedica un apposito paragrafo assumendo un giusto approccio critico. Dunque, ci si aspettava che il paragrafo "Teoria del gender" trattasse dell'omosessualità. Questo è vero nella parte iniziale dello stesso, ma poi le riflessioni che esso articola paiono più consone al transessualismo, e solo vagamente riconducibili all'omosessualità. Ciò detto, appare evidente che manchi una condanna esplicita e motivata dell'omosessualità, rifugiandosi in vaghi cenni relativi alla differenza sessuale tra uomo e donna. Non poteva che essere così dopo la pubblicazione di Fiducia supplicans che benedice l'omosessualità.
LA TEORIA DEL GENDER
Dicevamo della parte iniziale del paragrafo "Teoria del gender" che è dedicata all'omosessualità. In essa correttamente si cita il Catechismo della Chiesa Cattolica laddove questo afferma che occorre accogliere la persona omosessuale (cfr. n. 2358), ma non si cita lo stesso quando censura sia l'omosessualità che le condotte omosessuali. Non solo, ma, subito dopo questa citazione, la Dichiarazione così prosegue: «Per questa ragione va denunciato come contrario alla dignità umana il fatto che in alcuni luoghi non poche persone vengano incarcerate, torturate e perfino private del bene della vita unicamente per il proprio orientamento sessuale» (n. 55). Parrebbe che l'accoglienza della persona omosessuale comporti l'esclusione del divieto per legge delle condotte omosessuali. Sanzionare le condotte omosessuali sarebbe allora un malum in se. Ecco dunque la domanda di fondo: è moralmente lecito sanzionare le condotte omosessuali? Risposta che sappiamo essere urticante per molti: sì, ma non sempre. Procediamo con ordine. Qual è il criterio a cui riferirsi per decidere quando è giusto sanzionare una certa condotta? Il bene comune. Nel caso dei divieti, occorre vietare quelle condotte che sono gravemente lesive del bene comune. Le condotte omosessuali sono potenzialmente lesive del bene comune per più motivi.
In primis perché l'omosessualità contraddice in radice e nel profondo la natura umana, dunque la sua dignità. È un disordine violentissimo della persona che non può che ripercuotersi all'esterno quando si fa condotta, relazione, riverberandosi negativamente in quell'ordo sociale la cui tutela è il primo compito del governante. L'omosessualità praticata porta alla corruzione del pensiero e dei costumi, ad esempio nella sfera dei comportamenti sessuali, anche tra gli eterosessuali, nell'educazione quando si insegna l'affettività, etc. Pensiamo poi agli effetti negativi che abbiamo dovuto registrare in ambito familiare laddove sono state legittimate le unioni civili o i "matrimoni" gay, tra cui soprattutto la cosiddetta omogenitorialità. Poniamo mente inoltre all'ambito procreativo, laddove l'omosessualità ha incentivato pratiche come la fecondazione eterologa, l'utero in affitto e ha fomentato una cultura anti-vita, perché l'omosessualità è per sua struttura intima una condizione infeconda.
Nota di BastaBugie: Luisella Scrosati nell'articolo seguente dal titolo "Pena di morte, la contraddizione spacciata per sviluppo" parla Dopo Fiducia supplicans un altro dietrofront sull'insegnamento costante della Chiesa che considera il diritto alla vita inviolabile, ma per l'innocente. E un cambiamento tira l'altro.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 aprile 2024:
«Una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi» (n. 1). Questo l'incipit della nuova Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede, Dignitas infinita. Un sostantivo e un aggettivo che, accostati, possono riferirsi solo alle tre Persone divine, ma che invece incautamente nella Dichiarazione vengono a caratterizzare la persona umana.
Creatura e finitezza si richiamano ontologicamente: una dignità sublime, fatta per l'Infinito, come quella umana, è pur sempre una dignità creata, che ha avuto un inizio e che si esplica in un'essenza, che indica appunto, sempre delimitazione. Invece, la Dichiarazione ci racconta, senza troppa pena di argomentazione, che l'infinita dignità dell'uomo sarebbe addirittura «pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione» e confermata dalla Chiesa. Dove, come e quando non è dato saperlo: marchio inconfondibile di ogni "creazione tuchana".
Un'affermazione dunque gratuita ed errata, ricevibile solo qualora il senso dell'aggettivo intende essere iperbolico. Ma che invece risulta il fondamento di un grave errore presente nella Dichiarazione, al n. 34; paragrafo che introduce le «numerose e gravi violazioni della dignità umana nel mondo contemporaneo», sviluppate in seguito: «Bisognerà pure qui menzionare il tema della pena di morte: anche quest'ultima, infatti, viola la dignità inalienabile di ogni persona umana al di là di ogni circostanza». La nota 56 riporta la nuova versione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica e la Lettera del 1° agosto 2018 che, per l'occasione, venne inviata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il paragrafo motiva la relazione tra rafforzamento della tutela della dignità umana, oggetto di Dignitas infinita, e condanna della pena di morte, richiamando il n. 268 dell'enciclica Fratelli tutti: «il fermo rifiuto della pena di morte mostra fino a che punto è possibile riconoscere l'inalienabile dignità di ogni essere umano e ammettere che abbia un suo posto in questo mondo. Poiché, se non lo nego al peggiore dei criminali, non lo negherò a nessuno, darò a tutti la possibilità di condividere con me questo pianeta malgrado ciò che possa separarci».
Il ragionamento è più o meno questo: la pena di morte offende la dignità della persona umana; dunque, negare che si possa ledere la dignità umana di un criminale mediante la pena capitale, avrà come conseguenza che la dignità dei non criminali sarà ancora più al sicuro. Basta però un rapido sguardo alla situazione generale per capire che, purtroppo, le cose non sono affatto così: la Francia repubblicana, rigorosamente death penalty-free, ha inserito l'aborto come diritto costituzionale; ossia ha "benedetto" costituzionalmente lo sterminio di centinaia di migliaia di innocenti nel grembo delle loro madri, per mano di medici regolarmente iscritti all'albo ed esercitanti in strutture pubbliche, mentre invece non vuole che si sfiori un capello ad un serial killer, specie se "diversamente francese". Dall'altra parte dell'Oceano, gli Stati Uniti, dove la pena di morte è in vigore nella maggior parte degli Stati (in alcuni dei quali non è più applicata da tempo o resa inoperosa da una moratoria), si è registrata, al contrario, una sentenza di incostituzionalità dell'aborto. Sembra che chi più si premura di difendere gli assassini da una pena giusta e meritata, più permette che gli innocenti siano colpiti impunemente; anzi, con tanto di marchio di approvazione dello Stato.
Dunque, il ragionamento di papa Francesco, ripreso dal Dicastero per la Dottrina della Fede, è semplicemente contraddetto dalla realtà. Ma c'è un altro problema, ancora più grave: l'affermazione per cui la pena di morte «viola la dignità inalienabile di ogni persona umana al di là di ogni circostanza» è errata e contraddice l'insegnamento costante della Chiesa a riguardo.
Andiamo con ordine. Il n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica venne modificato nel 2018, con l'inserimento di un'affermazione molto problematica: «la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che "la pena di morte è inammissibile perché attenta all'inviolabilità e dignità della persona", e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo». L'asserzione è suonata alle orecchie più attente come una palese contraddizione dell'insegnamento della Chiesa, il quale lasciava libertà quanto all'opportunità della pena capitale, ma difendeva la verità che il potere secolare legittimo potesse giustiziare un reo, purché si rispettassero gli altri principi di giustizia.
La CDF, all'epoca ancora guidata dal cardinale Ladaria aveva cercato di salvare capra e cavoli, difendendo sia il cambiamento del Catechismo voluto da papa Francesco che l'insegnamento costante della Chiesa e sostenendo così «un autentico sviluppo della dottrina». Mission impossible.
Ora, la Dichiarazione non richiama nemmeno più la questione dell'opportunità, ma tira dritto sentenziando che la pena di morte in ogni caso è contraria alla dignità della persona. Punto. Se così fosse, si dovrebbe concludere, a rigor di logica, che chi commina la pena di morte commette sempre peccato contro il quinto comandamento, perché tra l'innocente ed il reo non vi sarebbe più alcuna distinzione. E, analogamente, chi commina la pena di morte compie sempre un atto di ingiustizia, perché priva una persona di qualcosa che le appartiene in modo inalienabile, ossia il diritto alla vita, in virtù della sua presunta dignità infinita.
Ora, giusto per fare una sola citazione tra le tante, papa Innocenzo III nell'epistola Eius exemplo all'arcivescovo di Tarragona, Durando di Osca, esigeva che i valdesi che si convertivano alla fede cattolica, professassero, in una formula di fede, esattamente il contrario di quanto insegnato da papa Francesco e dal cardinale Fernández: «Per quanto riguarda il potere secolare dichiariamo che può esercitare il giudizio di sangue senza peccato mortale, purché nel portare la vendetta proceda non per odio ma per atto di giustizia, non in modo incauto, ma con riflessione» (Denz. 795).
Da notare che Innocenzo III ritiene che siano alcune circostanze a rendere illegittimo il giudizio di sangue, non il fatto stesso di comminare la sentenza capitale. Ora, come è possibile che il potere secolare abbia la facoltà di comminare la pena capitale senza peccato, come vuole la Eius exemplo, se questa pena viola sempre la dignità della persona umana, «al di là di ogni circostanza», come afferma invece Dignitas infinita? Come può la pena capitale procedere da «atto di giustizia» (precisamente, un atto retributivo della giustizia), se essa diventa un radicale atto di ingiustizia nei confronti della dignità umana?
Impossibile riconciliare queste due posizioni. L'insegnamento cattolico non ha mai considerato in modo assolutistico il diritto alla vita, come invece hanno fatto valdesi, quaccheri, mennoniti, hussiti, e pacifisti, mentre ha sempre difeso l'inviolabilità della vita innocente. Che è un'altra cosa. Ci si ritrova così, ancora una volta, nell'imbarazzante situazione di Fiducia supplicans: la contraddizione dell'insegnamento della Chiesa spacciata per autentico sviluppo. E si dice che non c'è due senza tre.
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