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« Torna agli articoli di Valentina Colombo
«Nel nome di Dio Clemente, Misericordioso, alla sorella Tawakkul 'Abd al-Salam Karman, presidente dell'organizzazione "Giornaliste senza catene", membro del Consiglio direttivo del Raggruppamento yemenita per la Riforma, saluti e stima. Con immensa gioia abbiamo ricevuto, in seno al Raggruppamento yemenita per la Riforma, l'annuncio del conferimento alla vostra persona del Premio Nobel per la Pace come prima donna araba che riceve questa onorificenza e prima personalità yemenita a godere di questo attestato di stima internazionale. Ci congratuliamo per questo raggiungimento storico e riteniamo che questa vittoria sia di sostegno alla rivoluzione pacifica yemenita e alla donna yemenita che combatte e che è consapevole della propria capacità di vincere nonostante gli ostacoli dell'arretratezza e il retaggio della tirannide che separano il nostro popolo dal progresso».
Questo è l'incipit del comunicato dell'8 ottobre 2010 a firma di Muhammad ibn Abd Allah al-Yadumi a seguito dell'annuncio della vincita del Premio Nobel per la Pace all'attivista yemenita Tawakkul al-Karman. Ebbene, molti di noi hanno gioito perché finalmente una donna araba, tra l'altro simbolo della "primavera" yemenita, vedeva riconosciuto il proprio sforzo, il proprio coraggio. Hanno esultato anche intellettuali laici yemeniti come la politologa Elham Manea, di origine yemenita e attualmente residente in Svizzera, e Ali al-Muqri, scrittore e intellettuale yemenita.
Purtroppo, come ha ricordato oggi Mashari al-Dhaidi sul quotidiano internazionale arabo Asharq al-awsat, non andrebbe mai dimenticato che il Premio Nobel per la pace è un premio politico, «fa parte degli strumenti di pressione morbida per realizzare uno specifico percorso di pace o stabilità, secondo una prospettiva occidentale». È sufficiente sapere che il Raggruppamento yemenita per la Riforma è il partito che rappresenta i Fratelli musulmani in Yemen e che Tawakkul Karman è figlia di 'Abd al-Salam Khalid Karman, membro dello stesso partito. Il partito per la Riforma, come si evince dal programma politico pubblicato sul sito ufficiale, agisce in nome dell'islam e vuole l'applicazione della sharia, propugna l'uguaglianza tra i credenti senza distinzione di sesso, ma la shari'a prevede che la donna vale la metà dell'uomo. Tawakkul Karman è sì un'attivista, ma un'attivista politica. Non c'è dubbio che sia il simbolo di una rivoluzione, ma si situa nel continuum delle "primavere" arabe che stanno assistendo al predominio dei movimento dei Fratelli musulmani, organizzati ed economicamente forti.
C'è anche chi ha esaltato la Karman come la donna che si è strappata il velo. Si tratta di una mezza verità: nel 2004 durante una conferenza sui diritti umani la vincitrice del Nobel per la pace si è tolta il velo integrale nero, indossato dalla stragrande maggioranza delle donne yemenite, ciononostante lo ha sostituito con il velo semplice che lei definisce "islamico". Anche il comunicato pubblicato sul sito del suo partito a seguito di una manifestazione per festeggiare il Nobel recita che il premio è «fonte di vanto e onore non solo per la donna yemenita, ma per la donna araba e il velo islamico». Quindi la Karman ha sostituito il velo nero tradizionale, "non islamico", a favore di un velo variopinto che è non tanto il simbolo della donna musulmana, quanto della donna legata al movimento dei Fratelli musulmani o per lo meno che indossa il velo come simbolo politico e/o identitario.
Il Premio Nobel segue l'International Woman of Courage conferitole dal Segretario di Stato americano Hillary Clinton e dalla first lady Michelle Obama. Tutto conferma la politica statiunitense e occidentale volta allo sdoganamento del movimento dei Fratelli musulmani. E quale miglior esponente e simbolo di una donna giovane e determinata come la Karman. In un'intervista rilasciata nel giugno 2010 aveva dichiarato che sarebbe arrivato il giorno in cui «i violatori dei diritti umani pagheranno per quel che hanno fatto nello Yemen». Non posso che concordare se si riferisce al presidente yemenita Saleh, ma mi domando se i diritti umani previsti dalla sharia che il suo partito vorrebbe introdurre a tutti i livelli del paese corrispondono a quelli universali.
Ha ragione Mashari al-Dhaidi quando afferma che «Tawakkul Karman non è Madre Teresa, ma un'attivista politica che agisce in accordo alle direttive e alle esigenze politiche e sociali del proprio partito». Ancora una volta l'occidente ha scelto tra gli eroi e le eroine della "primavera araba" quella più politicizzata e soprattutto più vicina alle proprie politiche miopi nel Medio Oriente.
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