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BIBBIANO HA RESO EVIDENTE LA LOTTA DEL MONDO CONTRO LA FAMIGLIA
I regimi totalitari sostengono sempre che i figli appartengono allo Stato e non alla famiglia: dai sovietici fino ai nostri giorni la pretesa dello Stato è sempre quella di indottrinare i giovani con la scuola pubblica
di Gianfranco Amato
 

Il verminaio scoperchiato dalla vicenda Bibbiano ha evidenziato che il comportamento illecito dei protagonisti era dettato anche da un pregiudizio ideologico nei confronti di quella che da sempre è stata considerata la "cellula madre" della società: la famiglia. I sistemi totalitari l'hanno sempre considerata inadeguata al compito educativo, rivendicando tale prerogativa allo Stato. Furono i bolscevichi, per primi, a teorizzare e mettere in atto l'idea che i figli appartenessero alla società e non alla famiglia. Un'idea che persiste fino ai giorni nostri. Basti vedere la pretesa dello Stato moderno di indottrinare i giovani, attraverso il sistema scolastico pubblico, anche nelle delicate materie che attengono alla sessualità, ai diversi orientamenti sessuali e alla cosiddetta ideologia gender. E si ha persino l'ardire di affermarlo pubblicamente. In Spagna, per esempio, il 17 gennaio 2020, il ministro dell'educazione Isabel Celaà, durante una conferenza stampa, ha tranquillamente dichiarato che «non si può assolutamente pensare, in nessuna maniera, che i figli appartengono ai genitori». Ergo, spetta allo Stato educarli. Quel ministro, evidentemente, non ha mai letto l'art. 26, terzo comma, della Dichiarazione Universale dell'Uomo, il quale proclama, invece, che «i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere istruzione da impartire ai loro figli». Questo principio, peraltro, fu sancito nel 1948 quando, dopo la Seconda guerra mondiale, l'esperienza dimostrò all'umanità tutta la brutalità e la violenza dell'indottrinamento scolastico dei giovani nelle grandi dittature genocide del XX secolo.

IL BAMBINO APPARTIENE ALLO STATO
La dichiarazione di Isabel Celaà si inserisce perfettamente in quel filone totalitario. Ed è singolare che siano proprio le donne, quando giungono al potere, a rinnegare la proprio natura materna trasformandosi in antifamiliste. Non è un caso, peraltro, che la prima donna a diventare ministro in Europa sia stata Aleksandra Kollontaj nel primo governo Lenin del 1918. La Kollontaj sosteneva che la famiglia vecchio tipo avesse fatto il suo tempo e stesse per tramontare, non perché lo Stato volesse distruggere, ma perché non aveva ormai più alcuna funzione, in quanto nella società socialista tutti gli oneri familiari sarebbero stati assunti dallo Stato. Interessante, anche per l'incredibile attualità, questa sua affermazione: «La vecchia famiglia meschina e circoscritta, dove litigiosi genitori s'interessano solo della loro prole, non è in condizione di allevare l'"individuo nuovo". Saranno i campi da gioco, gli asili, gli istituti e gli altri centri dove il bambino passerà la maggior parte della sua giornata, sotto la supervisione di personale qualificato, ad offrirgli l'ambiente in cui crescere da comunista consapevole». Furono appunto i bolscevichi i primi a teorizzare l'idea del primato educativo dello Stato. Nell'ABC del comunismo, Nikolaj Ivanovik Bucharin sosteneva che «il bambino appartiene alla società in cui è nato, e non ai genitori». Il grande pedagogo Anton Semenovik Makarenko teorizzava che «solo il collettivo può e deve essere il fondamento dell'educazione pedagogica e stimolo potente al miglioramento del singolo». La Spagna oggi sembra essere tornata ai tempi della Repubblica del 1936, quando era guidata da governi che avevano ministri dell'istruzione come il comunista Jesùs Hernàndez Tomas, o l'anarchista Segundo Blanco Gonzàlez. In quegli anni dominava il potentissimo ispettore scolastico Vicente Valls y Anglés, presidente del Fete, il sindacato dei lavoratori insegnanti, il quale affermava che «il compito del docente nella scuola proletaria è chiaro: occorre creare una morale socialista, al cui servizio mettere la coscienza del fanciullo». In quegli anni vigeva come regola assoluta lo slogan del sovietico Grigory Zinoviev: «Costi quello costi, occorre impossessarsi dell'anima dei bambini».

DAI BOLSCEVICHI AL PD
La sinistra in Spagna, come del resto in Italia, non è mai riuscita a superare questa tara genetica nel suo Dna. L'idea di Bucharin per cui «il bambino non appartiene ai genitori ma alla collettività» resta un principio inossidabile sul quale fondare l'azione politica. Per questo non ha meravigliato il fatto che durante la campagna per le elezioni regionali in Emilia-Romagna l'allora candidato, ed oggi Presidente, Stefano Bonaccini abbia pubblicamente affermato la sua intenzione di rendere obbligatori gli asili nido, trasformandoli in veri e propri «centri educativi e non un parcheggio dove le mamme lasciano i bambini». Lo ha fatto in ben due occasioni. La prima è stata durante il suo intervento al convegno della Fism (Federazione italiana scuole materne) tenutosi a Bellaria il 12 ottobre 2019. La seconda durante un'intervista da lui rilasciata al Tg2 Post il 16 ottobre 2019. Siamo tornati agli asili della Kollontaj, quelli «dove il bambino passerà la maggior parte della sua giornata, sotto la supervisione di personale qualificato, a offrirgli l'ambiente in cui crescere da comunista consapevole».
Lo stesso "strapotere" degli assistenti sociali, culminato nel tragico caso di Bibbiano, non è, in fondo, che un riflesso del pregiudizio ideologico nei confronti della famiglia, ritenuta meno adeguata dello Stato per quanto riguarda la funzione educativa. Anche la legge sul bullismo, approvata in commissione giustizia della Camera, è figlia di questa importazione ideologica, La proposta di legge n. 1529 prevede, infatti, che il figlio di genitori dichiarato "bullo" debba essere sottoposto ad un «progetto d'intervento educativo», predisposto dal «competente servizio sociale territoriale». Nel caso in cui il progetto educativo fallisca, il Tribunale per i minorenni - prevede la proposta di legge - può «disporre l'affidamento del minore ai servizi sociali», oppure «disporre il collocamento del minore in una comunità». Si tratta di un vero e proprio scontro culturale  tra chi crede comunque che la famiglia sia la prima vera agenzia educativa, e chi invece nutre un profondo pregiudizio nei suoi confronti, fino a sostenere che i minori non appartengono ai genitori, ma alla collettività In questo la sinistra è assolutamente coerente con la prospettiva educativa bolscevica.

PREGIUDIZIO ANTICRISTIANO
È interessante, poi, constatare come il pregiudizio ideologico nei confronti della famiglia rivesta sempre un carattere anticristiano. Di questo è stato un ottimo esempio il presidente messicano Plutarco Elìa Calles, quello che generò la Cristiada, la rivolta armata dei cattolici per abbattere la dittatura. Nel discorso tenuto il 20 luglio 1934, noto come il "Grido di Guadalajara", Calles pronunciò queste parole: «È necessario inaugurare un nuovo periodo rivoluzionario, che io chiamerei il periodo della rivoluzione psicologica o della conquista spirituale; dobbiamo inaugurare questo periodo impossessandoci della coscienza dei bambini e dei giovani, perché l'adolescenza e l'infanzia sono e devono appartenere alla Rivoluzione. Con somma perfidia, dicono i reazionari e affermano i clericali che il bambino appartiene al focolare domestico e il giovane alla famiglia. Questa è una dottrina egoista, perché bambini e giovani appartengono alla collettività ed è la Rivoluzione quella che ha il dovere imprescindibile di occuparsi del settore educativo, di impossessarsi delle coscienze, di distruggere i pregiudizi  e di formare una nuova  anima nazionale». Anche nel corso dei dibattiti dopo i fatti di Bibbiano chi rivendicava i diritti della famiglia è stato bollato come «reazionario» e «clericale»: le stesse parole di Calles.
 
Nota di BastaBugie: per approfondimenti sulla Cristiada, la rivolta armata dei cattolici per abbattere la "democrazia totalitaria" del presidente messicano Plutarco Elìa Calles, clicca qui!

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Titolo originale: Nel mirino la famiglia
Fonte: Il Timone, giugno 2020 (n° 196)