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Dio esiste o non esiste? Nei confronti di questo problema, vecchio e risaputo, l'atteggiamento umano e variegato e offre una casistica multiforme. Meritano particolare attenzione non solo sotto il profilo psicologico, ma anche sotto quello rigorosamente logico quanti potremmo denominare "atei dichiarati", i quali, oltre ad essere personalmente "convinti", si propongono di riuscire anche "convincenti".
Ma per diventare "convincenti" non basta che proclamino con chiarezza e con forza la loro persuasione della non esistenza di Dio; occorre che la sorreggano con argomentazioni ineccepibili. Bisogna cioè che adducano «prove» intrinsecamente valide. Sul piano psicologico però è più facile che essi arrivino a una specie di agnosticismo tacito e implicito, piuttosto che a una vera certezza priva di dubbi. Trapela talvolta dal loro atteggiamento come una vigile e timida preoccupazione, a dispetto delle continue dichiarazioni di un ostentato ateismo. Sono proprio gli "atei dichiarati" a richiamare con più frequenza nei loro discorsi il nome di Dio, quasi nell'ansia di ribadire il loro "autoconvincimento".
Nel 1961 fummo tutti sorpresi dalla notizia che il 12 aprile di quell'anno un'astronave sovietica aveva compiuto una rivoluzione attorno alla Terra. Aveva a bordo l'ufficiale di aviazione Jurij Alekseevic Gagarin, che così divenne il primo astronauta della storia. Ci giunse poi la notizia di una singolare dichiarazione attribuita allo stesso Gagarin. Nel suo straordinario viaggio spaziale – egli rilevava – non aveva trovato alcuna traccia di una eventuale presenza di Dio. La dominante cultura sovietica era dunque entrata in possesso, se non di una prova, almeno di un serio indizio della verità della sua tesi ateistica.
Dal canto mio, ho subito pensato: meno male! Sarebbe stato un bel guaio, se egli avesse trovato qualche traccia della Divinità. Come prendere sul serio l'ipotesi che si arrivasse a Dio non attraverso la conversione interiore e l'atto di fede (come ci ha insegnato il messaggio di Cristo), ma con il semplice ausilio di un propellente adatto e proporzionato allo scopo?
A ben pensarci, si poteva anzi ravvisare in quella frase una certa comicità involontaria: in effetti la navicella russa, al cospetto dell'immensità dello spazio celeste, si era staccata dalla crosta terrestre in una misura oggettivamente esigua e del tutto trascurabile (almeno ai fini dei nostri interessi "teologici").
Le parole convenienti (mi dicevo), che Gagarin avrebbe dovuto mormorare per non sfiorare il ridicolo, sarebbero state piuttosto quelle dell'intelligenza e del buon senso di Blaise Pascal: « Le silence eternel de ces espaces infinis m'effraie » (Il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi sgomenta).
Come si vede, agli "atei dichiarati" è consentito "ipotizzare" che Dio non esista, è consentito "desiderare" che Dio non esista, è consentito "sperare" che Dio non esista; ma, parlando propriamente, non possono "sapere" se Dio esiste o non esiste. Il discorso sembrerà paradossale, ma va addirittura detto che un elenco aprioristico, universale e sistematico di "ciò che non esiste" è precluso alle nostre facoltà conoscitive: è un privilegio esclusivo del Dio onnisciente (supposto che un Dio siffatto ci sia).
«Dopo Auschwitz non e più possibile credere in Dio». Gli "atei dichiarati", nel loro tentativo di essere anche "convincenti" si sono avvalsi talora di questo "luogo comune" che è circolato dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale. Mette conto di cercar di capire il senso dell'espressione e di darne una valutazione critica.
«Dopo Auschwitz non è più possibile credere in Dio». Vale a dire: come si fa a supporre che esista un Essere – per definizione intrinsecamente onnisciente e onnipotente – che non sia intervenuto a impedire tanto orrore? O non ne è stato capace, e allora dov'è la sua decantata onnisciente onnipotenza? O non ha avuto alcuna ripugnanza verso questa spavalda violazione di ogni principio morale e non ha avuto nessuna pietà per tanta gratuita e immeritata sofferenza. In sintesi: un essere così debole, così cieco, così impietoso, non merita proprio di esistere.
Non è che con l'esclusione dell'ipotesi dell'esistenza di Dio, sarebbe eliminato ogni orrore dalla vicenda umana. Auschwitz non per questo cesserebbe di essere una nefandezza irrimediabilmente avvenuta. Un'umanità abbandonata a una sofferenza atroce inevitabile, intrinsecamente ingiusta e irragionevole, senza nessuna prospettiva di rettifica e di indennizzo, sarebbe una pura e totale assurdità. Ma ciò che è assurdo, per definizione, è ciò che non può esistere. Se Dio non ci fosse, il male del mondo incomberebbe su di noi con tutta la sua opprimente opacità. Ma se Dio c'è, ci sarà oltre tutti i tormenti e le atrocità di quaggiù uno spazio ultimo e risolutivo, dominato da una superiore equità e da una trascendente misericordia. Solo se l'ultima parola su di noi sarà pronunciata da una Divinità, ci riesce di continuare a sperare che i conti possano essere un giorno pareggiati e l'assurdo sia vinto. Solo chi attende una vita ben diversa oltre questa nostra vita miserabile, può credere in un trascendente recupero di una giustizia che sulla terra appare continuamente oltraggiata. Questa e perciò la mia conclusione: «Dopo Auschwitz non è più possibile non credere in Dio».
In realtà, lo slogan davvero efficace proposto implicitamente a tutti dagli "atei dichiarati" e un richiamo alla "invisibilità" di Dio. Sono molti gli uomini che con semplicità e spensieratezza si lasciano impressionare dall'osservazione che nessuno e mai riuscito a vedere Dio. Perché dovremmo preoccuparci di uno che nessuno e mai riuscito a incontrare?, essi si dicono.
La stessa narrazione evangelica lo afferma esplicitamente: «Dio, nessuno lo ha mai visto» (Gv 1,18): paradossalmente su questo punto gli atei, come si vede, si accordano con la parola di Dio. Va detto però che il testo sacro prosegue, aggiungendo subito una notizia nella quale viene proclamato esplicitamente il mistero e il prodigio della "epifania": «Dio, nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che e nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18).
CARD. GIACOMO BIFFI
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