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Come ha scritto Tomaso Montanari, un intellettuale di sinistra, è tragicomico vedere "ex comunisti, operaisti, esponenti di Lotta Continua" che, per far dimenticare il loro passato, oggi sull'Ucraina sono "passati all'occidentalismo fanatico". Sembrano Luttwak.
La devozione alla Casa Bianca, per alcuni ex, è granitica come ieri quella del Pci verso il Cremlino rosso.
Non pensano all'interesse degli europei (italiani compresi) i quali non vogliono sprofondare in un guerra duratura e nella catastrofe economica. Loro sognano di abbattere Putin (come vorrebbe Biden).
Un esempio? Il Corriere della sera. Da un po' è diventato "l'Unità del terzo millennio": vengono infatti dall'Unità sia il direttore, sia i principali editorialisti come Walter Veltroni e Antonio Polito (Paolo Mieli viene addirittura da "Potere operaio"…).
L'editoriale di ieri, firmato da Polito, aveva un titolo militaresco: "Il fronte interno". Calzato gagliardamente l'elmetto degli artiglieri da salotto, Polito inizia stentoreo: "Il 'partito della resa' ha gettato la maschera. È ancora minoritario, ma punta ormai al bersaglio grosso: portare l'Italia nel campo di Mosca, confermando così l'antico pregiudizio per cui non finiamo mai una guerra dalla parte in cui l'abbiamo cominciata".
Qualcuno dovrebbe informare Polito che l'Italia non è entrata in guerra (un piccolo dettaglio). Ma il virile richiamo politesco fa ricordare un triste passato (che speriamo non torni).
Era il giugno 1940 e la prima pagina del "Corriere della sera" quel giorno tuonava: "Popolo italiano corri alle armi! Folgorante annunzio del Duce: la guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Dalle Alpi all'Oceano Indiano un solo grido di fede e di passione: Duce! Vinceremo!".
Fu una catastrofe. Si dirà che c'era il fascismo e i giornali dovevano allinearsi. Certo, ma è un'aggravante: quando si beneficia dell'eredità di un'antica testata bisogna anche ricordarne la storia e i drammi (onori e oneri).
MANDARE ARMI PER FERMARE ARMI NON HA SENSO
E bisogna pensarci quattro volte, oggi che siamo liberi, prima di carezzare di nuovo l'idea della guerra con leggerezza, gettando benzina sulla follia incendiaria di Putin. Invece il Corriere se la prende con i panciafichisti.
È grottesco che uno che viene dall'Unità, su un giornale diretto da un collega che viene anch'egli dall'Unità, accusi chi invita Zelensky a trattare e cedere qualcosa, per mettere fine alla strage, di voler "portare l'Italia nel campo di Mosca".
Siccome Vittorio Feltri è stato il primo a prospettare (su queste colonne) tale idea, ne deriva che Feltri sarebbe uno che vuol "portare l'Italia nel campo di Mosca".
Il concetto fa già ridere così. Ma appare surreale se si pensa che è espresso da un collega che viene dall'Unità, giornale che, per la morte di Stalin, aveva titolato: "Stalin è morto. Gloria eterna all'uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell'umanità".
Forse un minimo senso del ridicolo e del tragico aiuterebbe Polito e i colleghi del Corriere a ritrovare quella saggia moderazione che si addice a un giornale liberale e borghese.
Ieri anche il premier israeliano Bennet, a quanto pare, ha suggerito al leader ucraino ciò che Feltri ha scritto giorni fa: trattare e cedere qualcosa per salvare la vita della sua gente e risparmiare loro tante sofferenze. Anche il suo è da ritenere un "sostegno esplicito al tiranno"?
Sempre sul Corriere della sera, Paolo Mieli se l'è presa con chi dice che non bisogna prolungare la carneficina mandando armi all'Ucraina, ma sarebbe meglio trattare con Putin. Per lui questo è "pacifismo cinico". Però anche una testimone della Shoah come Edith Bruck ha detto: "Mandare armi per fermare armi non ha senso".
Mieli e compagni propongono di mandare armi pure in decine di conflitti che ci sono nel mondo? O quei morti valgono meno? Certi bollori umanitari (a intermittenza) indicano nobiltà o fanatismo guerrafondaio? Perché sono cinici quelli che vorrebbero trattare salvando vite?
NON È MORALE IL MORALISMO DELL'AVVENTURA
C'è una famosa pagina di Joseph Ratzinger che dice il contrario facendo proprio l'elogio del compromesso: "essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l'impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo, limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell'umanità dell'uomo. Non è morale il moralismo dell'avventura… Non l'assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell'attività politica".
Gesù stesso nel Vangelo fa un esempio: "quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace" (Lc 14, 31-32).
Se il leader ucraino avesse fatto subito così avrebbe scongiurato una tragedia. Ora più passano i giorni (più sono i morti) e più dovrà concedere. Il suo imperativo dovrebbe essere anzitutto salvare vite di ucraini, evitare ulteriori distruzioni e risparmiare sofferenze ad altri popoli, come il nostro. Le ricadute economiche di questo conflitto infatti sono già disastrose e in seguito saranno addirittura catastrofiche.
Ma ovviamente colpiscono soprattutto la gente comune già provata da due anni di pandemia. Assai meno gli editorialisti del Corriere che infatti giudicano meschini i media che si concentrano "sulla benzina piuttosto che sull'Ucraina".
Loro hanno sublimi ideali. Delle bollette o del prezzo dei generi alimentari che raddoppia se ne fregano e dicono agli italiani, già provatissimi, che devono sacrificarsi ancora di più. Per l'Ucraina.
Ma dovrebbero dire: per le idee dei governanti ucraini. Perché l'interesse del popolo ucraino in realtà coincide con quello degli italiani: è far cessare la guerra.
Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "Le figuracce di Salvini? C'è ben di peggio" commenta la figuraccia rimediata da Salvini in Polonia, ma facendo notare che questo è solo l'ultimo episodio di una perdita totale di credibilità dell'Italia all'estero. Sull'Ucraina Draghi e Di Maio hanno subito di peggio.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 10 marzo 2022:
La pessima figura di Matteo Salvini in Polonia è solo l'ultimo episodio di una saga in cui l'Italia, fuori e dentro i confini nazionali, prende schiaffi da chiunque. Salvini è stato umiliato dal sindaco di una piccola città polacca, ai confini con l'Ucraina, che ha rifiutato di riceverlo sventolandogli sotto il naso la t-shirt con l'immagine di Putin che il leader della Lega aveva indossato un tempo. Certamente quel sindaco sarà stato imbeccato dal solito giornalista o fotografo italiano militante, secondo la squallida tradizione italiana per cui si va all'estero per combattere le battaglia politiche e personali nostrane. Ma ciò non toglie la sprovvedutezza con cui un leader della maggioranza di governo prepara una missione all'estero (anche la scelta di uno staff evidentemente incapace è sua responsabilità), pensando soprattutto alla sua immagine in patria e finendo per danneggiarla insieme a quella dell'Italia tutta.
Ma quello di Salvini, come dicevamo, è solo un episodio e certamente non il più grave, visto che la crisi in Ucraina ha fatto emergere con chiarezza lo stato comatoso della nostra credibilità politica all'estero. Ha cominciato colui che da noi è venerato come il Salvatore della Patria, il presidente del Consiglio Mario Draghi, sbertucciato prima da Mosca e poi da Kiev. Il 17 febbraio era stata annunciata con enfasi la sua missione a Mosca per favorire un incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente americano Joe Biden; Putin gli aveva fatto credere di essere disposto a riceverlo ma prima che Draghi potesse salire su un aereo alla volta di Mosca, le truppe russe erano già entrate in Ucraina il 24 febbraio. Ma non bastava l'umiliazione subita da Putin, Draghi se l'è cercata poche ore dopo anche con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: nel suo commosso discorso alla Camera per riferire dell'invasione dell'Ucraina, il presidente del Consiglio ha concluso dicendo che aveva un appuntamento telefonico con Zelensky alle 9.30 ma lui «non era più disponibile»: una frase infelice che sembrava suggerire una mancanza o uno sgarbo del presidente ucraino. Che infatti si è subito reso disponibile su twitter: «Oggi alle 10:30 agli ingressi di Chernihiv, Hostomel e Melitopol ci sono stati pesanti combattimenti. Le persone sono morte. La prossima volta cercherò di spostare l'agenda di guerra per parlare con Mario Draghi ad un'ora precisa».
E se Draghi, che pure un curriculum internazionale ce l'ha, viene trattato così, figuriamoci il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che nel suo curriculum può vantare al massimo le trasferte al seguito del Napoli. E infatti si è preso uno schiaffo pubblico dal ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. Dopo che, poche ore prima dell'invasione, Di Maio ha avuto la brillante idea di dichiarare che non ci sarebbero stati nuovi incontri con i vertici russi se prima non si fosse abbassata la tensione, Lavrov ha avuto buon gioco a dichiarare che quella di Di Maio è «una strana idea di diplomazia», che «è stata creata per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione, e non per viaggi a vuoto in giro per i Paesi e degustare piatti esotici a ricevimenti di gala». Non bastasse, Di Maio, una settimana fa in tv si è sentito in dovere di definire Putin «più atroce degli animali», una espressione indegna di un ministro degli Esteri a chiunque sia rivolta. Dimenticando fra l'altro che soltanto un anno prima aveva pubblicamente tessuto sperticati elogi del governo russo patrocinando l'arrivo di una equipe di medici russi per aiutare il nostro sistema sanitario nella lotta al Covid.
Ma tutto questo non accade a caso: con la fine della prima Repubblica, l'Italia è di fatto rimasta orfana della politica estera, ovvero di una visione chiara e coerente degli interessi dell'Italia in Europa e nel mondo, della sua collocazione e dei suoi compiti. Una visione che non riguarda soltanto i rapporti diplomatici con questo o quel paese, o di adesione a istituzioni sovranazionali, ma anche la sicurezza economica ed energetica nonché la difesa dei propri confini (ovviamente con il coordinamento con gli altri ministeri interessati). Invece abbiamo avuto una serie di ministri con una spiccata tendenza a seguire proprie idee o privilegiare le proprie amicizie internazionali, delegando sempre più i nostri interessi a una Unione Europea che pensa all'Italia più o meno con lo stesso rispetto dimostrato da Putin e Zelensky.
Persone competenti non sono mancate qua e là, ma in un contesto di improvvisazione dove la buona volontà doveva supplire alla mancanza di una visione globale. E le umiliazioni non sono certo mancate, basti pensare solo al contenzioso con l'India per la vicenda dei marò. Fino ad arrivare alla tragedia di questa legislatura, soprattutto dal governo Conte II, quando alla Farnesina è stato designato Luigi Di Maio, incredibilmente confermato da Draghi.
Cosa ci si può onestamente aspettare se a capo del ministero degli Esteri viene piazzata una persona totalmente inadeguata, senza alcuna esperienza né competenza né capacità? Il massimo che ci si può augurare è che non apra bocca. Ma una nomina del genere è anche il segnale che l'Italia rinuncia a fare politica estera, che si consegna ad interessi altrui. Un messaggio che è rinforzato dalla conferma agli Interni del ministro Luciana Lamorgese, che parimenti sta dimostrando la rinuncia dell'Italia a difendere i propri confini, ormai gestiti da Ong straniere riferimento di poteri non meglio identificati.
Magari il problema fossero le figuracce di Salvini.
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