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Non è cosa facile, ma vorrei ugualmente tentare una valutazione della presenza nell'arena politica di Silvio Berlusconi, presenza durata un trentennio, senza mescolare troppo le vicende private con quelle pubbliche. Non è cosa facile, perché all'origine di ambedue c'è la stessa personalità esuberante che, in fondo, non ha mai distinto tra i due piani, e i fatti privati sono diventati automaticamente pubblici certamente per la speculazione degli oppositori ma anche per volontà dell'interessato. Tuttavia, rimane possibile fare una disamina dell'influenza di Berlusconi sulla politica italiana, ponendo l'accento su quest'ultima piuttosto che sulle serate nella villa di Arcore.
Quando, nel 1993, Berlusconi decise di "scendere in campo" eravamo nel pieno dell'inchiesta/manovra di Mani Pulite che aveva travolto la Democrazia cristiana e il Partito socialista, ma non il Partito comunista italiano. Secondo logica sarebbe dovuto accadere il contrario. In quegli anni il comunismo sovietico crollava, ma a subirne le conseguenze negative non erano i comunisti italiani ma i loro storici oppositori: democristiani e socialisti craxiani. Questo perché l'inchiesta del pool di Milano era condotta a senso unico. Era infatti un disegno politico. In quella situazione, con le barriere anti-sinistra divelte e con il Partito comunista di Occhetto pronto a schierare la propria macchina da guerra elettorale, Berlusconi ha riempito un vuoto e svolto un ruolo storico. Gli va anche riconosciuto il merito di aver sdoganato la Lega di Bossi e il MSI di Fini, che poi divenne Alleanza Nazionale, anche se in seguito dovette pagare cara questa alleanza, sia col "ribaltone" di Bossi sia con i continui ricatti di Follini (Udc) e Fini che indebolirono i governi da lui presieduti.
IL PROCESSO INNESCATO DA BERLUSCONI
Ai meriti di Berlusconi in questa prima fase della sua presenza pubblica va anche aggiunto un utile movimentismo culturale che egli riuscì allora a creare in Italia, nel tentativo di rompere l'egemonia della sinistra. Nacquero nuove riviste, come "Ideazione", la rivista culturale di Forza Italia, e "Liberal" che, diretta da Ferdinando Adornato, esprimeva le idee di un pensiero liberale equilibrato e responsabile, utile antidoto al pensiero liberal della sinistra. Nacque Magna Charta di Pera e Quagliarello e capitò anche che Antonio Socci creasse in TV il suo programma "Excalibur" ove si parlò perfino di apparizione mariane. Gli intellettuali di corte rimanevano dall'altra parte, e anzi deridevano la presunta sprovvedutezza culturale del produttore di programmi televisivi come "Drive In", però intellettuali come il già citato Marcello Pera poterono esprimere in pubblico una voce nuova.
Dopo quella fase iniziale, però, il processo innescato da Berlusconi si affievolì fino ad arenarsi. Egli si riferiva ad un elettorale moderato, quello della vecchia Democrazia cristiana, oltre che dei socialisti non massimalisti. L'elettorato del partito cattolico, tuttavia, soprattutto nella fase della segreteria di De Mita negli anni Ottanta, aveva subito un accentuato processo di secolarizzazione. Quella di Berlusconi era una proposta scolorita sul piano dei valori, che corrispondeva a quello che quell'elettorato moderato pensava sul piano dell'etica pubblica.
Il moderatismo politico era figlio di un moderatismo culturale che non lasciava spazio ad impennate sui principi. Non ricordo battaglie decise e convinte di Berlusconi sui temi di frontiera etica che proprio allora stavano emergendo. Nel caso Englaro egli decise di approvare il decreto legge necessario per bloccare la sentenza di morte nonostante Napolitano avesse impropriamente avvertito il Consiglio dei ministri in seduta che non avrebbe firmato quel decreto, meglio sarebbe stato tuttavia farlo prima del novantesimo minuto, quando già si sapeva dove le cose sarebbero andate a precipitare. Forza Italia e i governi Berlusconi non fecero mai nessuna battaglia né culturale né politica nel settore della vita e della famiglia. Da moderati, cercarono al massimo di moderare. Ma i tempi richiedevano ben altro.
BERLUSCONI E I CATTOLICI
Nei confronti dei cattolici e del mondo cattolico in genere, Silvio Berlusconi rappresentò una pietra di inciampo. Dopo il fallimento del Partito popolare di Zaccagnini, i cattolici si divisero in due parti contrapposte. Quelli che, come Pierferdinando Casini e Rocco Buttiglione, scelsero di collaborare con lui, e quelli della sinistra cristiana che lo odiavano politicamente. Egli era visto come un pericolo della democrazia, come il prevalere del privato sul pubblico, come l'ostacolo principale all'incontro storico tra cattolici e comunisti che da Franco Rodano in poi molti non avevano mai smesso di perseguire.
Comunione e Liberazione lo appoggiò, ma Don Giuseppe Dossetti scrisse il suo pamphlet "Quanto resta della notte", Scalfaro si incaricò, da presidente della Repubblica, di tenerlo a bada, Francesco Saverio Borrelli invitò a "resistere, resistere, resistere!", Romano Prodi scese in campo contro di lui quale rappresentante del dossettismo della sinistra cattolica come se si trattasse dello scontro tra morte e vita. Del resto, già anni prima, Sergio Mattarella ed altri ministri della sinistra DC si erano dimessi per protesta contro la concessione delle licenze TV a Mediaset, paventando una dittatura mediatica. Pietro Scoppola, nel libro "La nuova cristianità perduta" aveva accusato le TV di Berlusconi di essere state la prima causa della secolarizzazione del popolo italiano, secolarizzazione che avrebbe addirittura resa obsoleta la "nuova cristianità" di Jacques Maritain.
Il moderatismo etico-politico di Berlusconi, il suo liberalismo di convenienza, combattivo ma sempre rispettoso del sistema, ebbe un guizzo di fortuna in un primo momento, ma in seguito mancò di prospettiva, come è evidente anche dal fatto che non sia riuscito a creare una classe dirigente all'altezza dei compiti che egli stesso si proponeva. Portare in politica i propri protetti poteva avere una giustificazione nell'emergenza dell'inizio, ma poi non più. Per questo possiamo dire che non esista una vera e propria eredità di Berlusconi in politica, per due motivi: l'identificazione tra pubblico e privato e la debolezza di un liberalismo moderato della convenienza nel mentre la politica diventava l'arena di scontri radicali sempre più accesi sul piano dei valori.
Nota di BastaBugie: Ruben Razzante nell'articolo seguente dal titolo "Berlusconi, c'è stata anche persecuzione giudiziaria" parla dei processi, anche mediatici, a Silvio Berlusconi, spesso sfociati nel nulla.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 giugno 2023:
La morte di Silvio Berlusconi per tante ragioni è un evento epocale. Per giorni i media parleranno prevalentemente della scomparsa dell'ex premier, che ha segnato la storia italiana in tanti campi, da quello imprenditoriale a quello politico, da quello calcistico a quello dei costumi e dell'informazione. Tra gli aspetti più controversi della sua figura c'è il rapporto con la giustizia. Dal 1993, anno della sua discesa in campo, è iniziata tra Silvio e alcune procure, in particolare quella di Milano, una guerra senza esclusione di colpi, che ha condizionato profondamente le dinamiche politiche nazionali, alterando e turbando l'equilibrio tra i poteri.
Di quel giustizialismo, che ha alimentato per anni un cortocircuito tra giustizia e informazione, di cui Berlusconi è stato il principale bersaglio, restano solo macerie. Una parte politica, la sinistra, ha sperato per anni di beneficiare delle disgrazie giudiziarie dell'eterno rivale, ma quasi mai ci è riuscita, anzi il clima giustizialista che ha dominato la scena politica italiana negli anni del berlusconismo ha prodotto solo livore, cattiveria e odio sociale.
Ci si chiede se non sia esagerata l'espressione «persecuzione giudiziaria» applicata a Silvio Berlusconi. Probabilmente non lo è, perché l'accanimento nei suoi confronti da parte di settori altamente politicizzati della magistratura ha raggiunto livelli di guardia per molti anni, ispirando inchieste pretestuose che hanno inciso sulle casse del già dissestato pianeta giustizia e che abbiamo pagato tutti quanti noi cittadini di tasca nostra. Fiumi di denaro pubblico sono stati utilizzati per combattere battaglie di natura politica spesso sfociate in nulla, anzi paradossalmente servite a far apparire Berlusconi come un martire anche quando forse non lo era.
Circa 30 anni di procedimenti che hanno visto implicato il leader di Forza Italia e più di un centinaio di avvocati che hanno lavorato per Berlusconi e le sue società. Decine di processi e più di 4.000 udienze per tentare di incastrarlo perfino sulle sue amicizie femminili.
Ma si era capita subito l'aria che tirava quando entrò in politica. Già il 22 novembre 1994, pochi mesi dopo il suo trionfo elettorale del 27 marzo 1994, mentre presiedeva come presidente del Consiglio a Napoli il vertice Onu sulla criminalità transnazionale, a Silvio Berlusconi fu notificato dal pool di Mani Pulite un avviso di garanzia. Evidente il tentativo di delegittimare sul piano internazionale l'azione del suo governo, che di lì a poche settimane cadde.
Da quel momento si è scatenato l'inferno contro Berlusconi, che è stato quattro volte presidente del consiglio; soprattutto da capo del governo è stato letteralmente preso di mira da quei settori della magistratura che non hanno mai digerito la sua ascesa e il suo successo politico. L'odio politico che ha ispirato molte delle inchieste nei suoi confronti è emerso negli anni successivi. Peraltro gli stessi settori del mondo giudiziario hanno tentato negli anni successivi di azzoppare altri personaggi della vita politica del Paese, da Matteo Salvini a Matteo Renzi.
Chi nega la persecuzione giudiziaria anti-berlusconiana e cataloga le inchieste che hanno coinvolto il fondatore di Forza Italia come semplice e legittima attività dei magistrati, sottolinea come molti processi si siano conclusi con la prescrizione più che con l'assoluzione. Dal 1994, anno del suo primo successo politico, Berlusconi ha dovuto rispondere di almeno 40 capi d'imputazione, fra i quali corruzione, falso in bilancio, concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio, concorso in stragi, frode fiscale, corruzione giudiziaria, finanziamento illecito ai partiti, appropriazione indebita, aggiotaggio, insider trading, rivelazione di segreto d'ufficio, concussione, favoreggiamento della prostituzione minorile, traffico di droga, eccetera.
L'unica condanna definitiva è arrivata il 1° agosto del 2013: quattro anni di reclusione per frode fiscale nel processo sui diritti tv Mediaset (nel giugno del 2020 la vicenda è tornata a galla per la registrazione in cui il relatore in Cassazione di quella sentenza, Amedeo Franco, parla di «plotone d'esecuzione» nei confronti del leader di Forza Italia). Quel verdetto ha portato all'espulsione del Cavaliere dal Senato e all'affidamento ai servizi sociali per un anno. Svariate invece le sentenze definitive di assoluzione che hanno riguardato Berlusconi.
L'apoteosi della persecuzione giudiziaria si può forse rintracciare nel processo Ruby, che ha certamente nuociuto al Cavaliere in termini d'immagine, grazie a quella miscela esplosiva tra giustizia e informazione che si chiama processo mediatico. I media lo hanno letteralmente crocifisso in quegli anni, azionando senza pietà la macchina del fango. Dopo la condanna a 7 anni in primo grado nel processo "Ruby" per concussione e prostituzione minorile, il leader di Fi è stato assolto in appello e poi in Cassazione. Il 15 febbraio scorso, poi, Berlusconi è stato assolto a Bari anche nel processo "Ruby ter", nel quale era accusato di corruzione in atti giudiziari.
Le zone d'ombra riguardano invece le sentenze di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Ci sono anche quelle, infatti, nella storia giudiziaria dell'ex premier.
Infine, last but not least, il leader di Fi era finito più volte sotto inchiesta come mandante esterno delle stragi di mafia del 1992-'93. Berlusconi venne indagato una prima volta dalla procura di Palermo poco dopo la sua discesa in campo del 1994: caso poi archiviato; indagato e archiviato anche a Caltanissetta e infine indagato più volte dalla procura di Firenze. L'ultimo capitolo fiorentino si era arricchito grazie al "filone Baiardo", il favoreggiatore dei boss Graviano, con la presunta foto che immortalerebbe Silvio Berlusconi in compagnia del generale dei carabinieri, Francesco Delfino, e del boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano.
C'è da sperare che la morte del Cavaliere possa coincidere con una definitiva pacificazione dei rapporti tra parte della giustizia e del mondo politico e con un salutare riequilibrio di quelle relazioni, viziate per trent'anni da un odio preconcetto nei confronti di un uomo che ha goduto a lungo del gradimento della maggioranza degli italiani.
VIDEO: I PROCESSI DI BERLUSCONI
Il lungo braccio di ferro con la giustizia (durata: 3 minuti)
https://www.youtube.com/watch?v=mynoOO-QI6M
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