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ELUANA ENGLARO 2: E' AMBIGUO IL CONCETTO DI FINE VITA
di Mario Palmaro

Caso Englaro: LICENZA DI UCCIDERE -

 L’eversiva sentenza della magistratura italiana, blindata addirittura dal nulla osta delle Sezioni riunite della Cassazione, prima che una condanna a morte è una ancor più tragica "licenza di uccidere". Al cittadino Englaro la decisione se fare o no quello che lo Stato gli consente.
Ancora non ha eseguito o fatto eseguire il gesto omicida. E noi fortemente speriamo che ci ripensi.
Ma se sciaguratamente dovesse farlo, questa decisione omicida non sarà nella sostanza diversa dai milioni di decisioni omicide – anche queste consentite e finanziate dallo Stato – prese da padri, madri e medici in materia di aborto; nonché da quelle di genitori e medici che – nelle tecniche di fecondazione artificiale omologhe o eterologhe - obbligano i poveri figli concepiti in provetta ad un "percorso di guerra" che nove volte su dieci li uccide. Di questo, purtroppo, da troppo tempo si tace, favorendo il clima per una sentenza come quella sul caso-Englaro.
Come era facile prevedere – e chi l’ha fatto ha suscitato le solite "prese di distanza" di certi paladini del "politicamente corretto" e del "male minore" – la legalizzazione prossima ventura della eutanasia si materializzerà con la ben nota trappola dell’antilingua. L’importante è non chiamare le cose con il loro nome. In questo caso, la nuova espressione, che sembra già godere di quell’ampio consenso autorevolmente auspicato per la sua traduzione in legge, è "Fine Vita".
Per l’aborto, che è l’uccisione "volontaria" del figlio concepito, si coniò la formula "Interruzione volontaria della gravidanza", tradotta nell’asettico acronimo "ivg". Il diritto della donna si chiama "autodeterminazione", e la vittima è un essere umano fra il concepimento e la nascita, impossibilitato ad autodeterminarsi. Adesso, con il "fine vita" e la c.d. autodeterminazione delle DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento), si delega qualcuno a uccidere colui che – qui e ora - non può esprimersi.
In questo modo – a prescindere da certe buone intenzioni – una legge sul "fine vita" sdoganerà una nuova categoria giuridica: quella delle persone che si trovano in una condizione umana intermedia tra vita e morte.
Recependo nell’ordinamento proprio quel concetto culturale di "zona grigia" elaborata da qualche sedicente cattolico in cerca di facili consensi mondani.
Per questi motivi, Verità e Vita conferma il proprio deciso dissenso dalla linea politica di sostegno ad una legge comunque ispirata al c.d. "fine vita", che nella migliore delle ipotesi funzionerà come "scivolo" al decollo dell’eutanasia legale. Che implica quel diritto di uccidere che, almeno per i cittadini già nati, la legge vigente oggi rifiuta, anche a livello della Costituzione.
Come abbiamo già scritto più volte, delle due l’una: o la volontà del paziente, espressa prima di cadere nell’incoscienza, non è vincolante per il medico. E in questo caso non serve alcuna legge. O la volontà del paziente è vincolante per il medico, e questo apre all’eutanasia. Una legge che cerchi di collocarsi in mezzo a questo spartiacque è solo una colossale trappola della cultura della morte, nella quale Verità e Vita non vuole cadere.
Il "fine vita" non esiste. Esistono la vita e la morte. Al contrario, il "non ancora" dell’ ivg e l’ "ormai" del "fine vita" non sono che il marchio del potere dell’uomo sulla vita dell’altro.
Noi di Verità e Vita sosteniamo che l’unico modo sincero e corretto di esprimere l’ambito della misteriosa dignità, anche corporea, dell’uomo nel tempo è: "dal concepimento alla morte naturale". Parole chiare, distinte e univoche. Parole pro-life.

 
Fonte: Fonte non disponibile, 20 Novembre 2008