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Un giornalista mi chiede “perché la Chiesa si oppone alla concessione del premio Nobel a Robert Edwards”, pioniere della fecondazione in vitro. Non si tratta di opporsi, ma di distinguere: non gli è stato concesso il “Nobel per l’etica” (che, fortunatamente, non esiste) ma quello per la medicina. Da molti commenti, invece, sembrerebbe che il riconoscimento da parte della Accademia di Oslo debba per forza spazzare via ogni dubbio e ogni domanda sui molteplici problemi etici legati alla pratica della fecondazione artificiale.
Si ripete in continuazione la cifra di 4 milioni di bambini nati grazie alle ricerche di Edwards. E sembra che, con questi numeri alla mano, ogni tentativo di riflessione etica sia ormai fuori luogo. “Il Vaticano prepara il rogo mediatico”, ha scritto qualcuno. C’è, però, qualche cosa di strano nel mondo della fecondazione artificiale: non pochi operatori in questo campo si pentono e cambiano lavoro. Ne conosco ormai diversi. Riflettono, si interrogano, si tormentano... e a volte lasciano le provette, nonostante i lauti guadagni. Avete mai visto un ginecologo tormentato nella sua coscienza per il fatto che con il suo lavoro aiuta i bambini a venire in questo mondo nella sala parto?
4 milioni di bambini nati. Quanti milioni di bambini non nati? Quanti milioni eliminati in stadio embrionale nello stesso momento in cui i loro fratelli venivano trasferiti nell’utero della madre? Quanti milioni si trovano oggi congelati in azoto liquido, perché “avanzano”? Non si tratta soltanto di deviazioni o di incidenti imprevisti. Robert Edwards annunciò di aver ottenuto embrioni umani in vitro già in due articoli scientifici nei primissimi anni 60. Naturalmente, non si sognava nemmeno, in quel tempo, di trasferirli in utero per dare loro la possibilità di continuare a vivere. Embrioni umani prodotti in laboratorio con lo scopo di migliorare la tecnica. Louise Brown è nata dopo che molti embrioni umani erano stati sacrificati per poter ottenere il risultato.
Si ricorre alla scappatoia del “pre-embrione”. Si afferma che prima dell’impianto in utero è solo “un amasso di cellule” o un mero “progetto di vita”, et voilà, problema risolto. Per niente. I manuali di embriologia umana continuano testardi ad insegnare che nel momento del concepimento comincia l’esistenza di un nuovo individuo; nella specie umana, un individuo umano. E poi, se non degli embrioni, vogliamo dire qualcosa almeno a proposito dei bambini che nascono da fecondazione in vitro? “Tutti sani” è stato scritto in questi giorni. Si vede che leggono poco. Ormai abbondano gli articoli su riviste scientifiche specializzate che evidenziano tutta una serie di problematiche mediche, per niente banali, i figli della provetta.
Ecco alcuni testi recenti:
- “I bambini nati da coppie infertili, qualsiasi sia stato il trattamento, corrono un maggior rischio di nascita prematura e sotto peso, condizioni associate con il ritardo dello sviluppo” (Pediatric and Perinatal epidemiology, marzo 2009).
- “Anche se la ICSI [tecnica molto utilizzato oggi] è accettata, rimangono le preoccupazioni sulla sua sicurezza e sui potenziali rischi per i bambini”; tasso di malformazioni congenite del 6,5% contro il 4% generale (Gynecol Obstet Invest, gennaio 2010).
- “Diversi disordini del imprinting genetico avvengono con frequenze significativamente superiori nei bambini concepiti con la Riproduzione Assistita che in quelli concepiti spontaneamente” (Ann Endocrinol (Paris), maggio 2010).
- “Abbiamo riscontrato un aumento moderato del rischio di contrarre il cancro nei bambini concepiti con la FIVET” (Pediatrics, luglio 2010).
I veri esperti del settore conoscono questi e altri studi preoccupanti. Gli apologeti della fecondazione artificiale non ne vogliono sapere. La gente normale, soprattutto le coppie infertili, dovrebbero essere informate. Per mera giustizia. Tutto pulito, dunque? Non proprio. E ciò spiega in parte le perplessità e gli abbandoni di alcuni operatori nel settore. Ci sarebbe poi da aggiungere tutto il discorso sul rispetto della dignità della persona nel modo di farla esistere e venire in questo mondo. Le persone si procreano, non si producono. La persona è il frutto in un’atto inter-personale di amore dei propri genitori. Le tecniche che si pongono come aiuto affinché l’atto di amore nella donazione sessuale degli sposi possa dare il suo frutto naturale, si pongono nella logica della procreazione. La fecondazione in vitro è un atto di produzione.
Mi hanno risposto recentemente su un giornale, dicendo che il bambino nato da fecondazione artificiale è frutto di un’atto di amore; addirittura simile all’atto di amore creatore di Dio. Si confondono le cose. Posso desiderare di avere un figlio, come posso desiderare di avere un iPad. E posso, in entrambi i casi, porre i mezzi necessari per ottenerlo, anche con dei sacrifici. Questo è amore in quanto volontà di... Non è questo l’amore sponsale che genera un figlio. Il figlio nasce da un’atto di amore tra gli sposi, non da un mero atto di volontà per ottenere il bambino desiderato. Lo capisce bene il tecnico che prende coscienza che è lui, e solo lui, a causare l’esistenza del bambino nel suo laboratorio. Una volta ottenute le cellule necessarie dai futuri genitori, loro non c’entrano niente. Potrebbero addirittura essere morti in un incidente di ritorno a casa. Il tecnico può andare avanti e far sorgere le nuove vite.
Sono risolti tutti i dubbi morali sulla Riproduzione Assistita? Non mi pare. La concessione del Nobel a Robert Edwards certamente non li cancella. Piuttosto dovrebbe stimolare la riflessione e il dibattito.
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