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Eluana era una giovane e bella ragazza, le foto che in questi anni abbiamo visto sui giornali e in tv ci raccontano una giovane che amava le cose belle, la vita in tutte le sue sfumature, lo sport, gli amici, la famiglia, poi il 18 gennaio del 1992, verso le quattro del mattino la sua auto si è schianta contro un muro nei pressi di Lecco.
Il trauma cranico conseguente all’incidente, lede irrimediabilmente la corteccia cerebrale risparmiando invece parte del tronco encefalico. Il risultato è un corpo che respira, un cuore funzionante, ma che ha perso per sempre qualsiasi relazione cosciente con il mondo e il futuro immaginato sfuma, diventa un altro.
Leggo che sino ad ora è stata accudita nella casa di cura dove era venuta al mondo, da suore che il padre definisce premurose e attente, Eluana apre gli occhi quando è giorno, li chiude quando è buio, non è tenuta in vita da respiratori o da altri macchinari, ma non può nutrirsi da sola e viene nutrita con un sondino.
Suo padre si batteva da anni perché venisse interrotta l’alimentazione.
Sostiene, quest’uomo dallo sguardo buono e stanco, che quando sua figlia era piena di vita, parlando di un caso analogo avrebbe espresso l’opinione che piuttosto che vivere in stato vegetativo era meglio morire, ed è per questo che ha condotto una lunga battaglia.
Ora un giudice ha detto “Sì”, si proceda, la si lasci morire di fame.
Perché sia chiaro, qui non si tratta di staccare la spina di un macchinario che tiene in vita una persona che senza tecnologia potrebbe morire, qui si tratta di sospenderne l’alimentazione e l’idratazione, ad una persona che senza sondino vivrà sino a quando la fame non le toglierà la vita.
E’ dura, ma la realtà è questa.
E noi, pur rispettando il dolore e la fatica di un padre che vede sua figlia invecchiare senza che nessuno dei sogni e dei progetti fatti si possa realizzare, senza che un abbraccio possa essere ricambiato da un altro abbraccio, senza che a una domanda vi sia una risposta, pur rispettando il dolore di questo padre, non possiamo non dire, che ci spaventa una società dove un giudice, anziché applicare delle leggi che ci sono, le interpreta, le reinventa, e decide della vita e della morte di altri esseri umani in base ad una sua discrezionalità.
Può un uomo, un giudice decidere che una vita non è abbastanza dignitosa da essere vissuta?
Eluana non verrà più alimentata e noi non possiamo non domandarci se allora sia giusto alimentare forzatamente gli anoressici che si lasciano morire di fame e che con il loro atteggiamento manifestano chiaramente la volontà di non vivere.
Secondo il padre di Eluana Englaro, si tratta di una scelta di “libertà” non certo di eutanasia come sostiene la Chiesa.
Ha infatti dichiarato l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, “Togliere il nutrimento e l'idratazione significa porre una persona malata in una condizione di estrema sofferenza e quindi la soluzione che appare all'orizzonte e' quella di aver giustificato di fatto una azione di eutanasia".
Come dargli torto? Chi siamo noi per decidere quando la vita è degna d’essere vissuta, quante cose si debbano saper fare in autonomia per essere degni di vivere?
Quale uomo può essere investito del potere di vita e di morte sulla vita di un altro uomo?
Ci fa paura una società dove un giudice decide della mancata idoneità a vivere di un altro essere umano.
Dove un medico anziché curare deve per legge lasciarti morire di fame.
Certo, nessuno vorrebbe essere nei panni di quel padre, e nessuno può sapere cosa lo sostenga nella sua battaglia per porre fine alla vita, debole e fragile di sua figlia.
Ma di certo sappiamo che questa sentenza apre una voragine che non porterà certo il mondo ad essere migliore.
Perché il mondo dove un uomo decide della sorte di un altro essere umano, non può che essere un mondo inumano.
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