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L'OLTRAGGIO A BENEDETTO XVI E IL FUTURO DELLA CHIESA
di Roberto de Mattei
 

Ciò che è accaduto a Roma il 15 gennaio 2008 è l’offesa più grave rivolta a un Papa da oltre un secolo. Ciò che rende più grave l’oltraggio è che questo sia avvenuto a Roma, sede bimillenaria del Papato e città “sacra” alla Cristianità, almeno fino al 18 febbraio 1985, data in cui il nuovo Concordato tra la Santa Sede e il Governo italiano cancellò l’art. I dei Patti Lateranensi che stabiliva che “in considerazione del carattere sacro della Città eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto con detto carattere”.
Riassumiamo i fatti. Il Rettore dell’Università “La Sapienza” ha invitato Benedetto XVI a partecipare, il 17 gennaio, alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico. L’Università romana è stata fondata da Papa Bonifacio VIII nel 1303 e, per oltre cinque secoli, fino al 20 settembre 1870, è stata l’università della Santa Sede. Oggi è una Università di prestigio mondiale in cui, uno sparuto gruppo di docenti (67 su 4.500) e di studenti (poche centinaia su 135.000) è riuscito a imporre, secondo la più pura tradizione giacobina, l’annullamento della visita papale.
Le complicità della classe politica italiana, immersa nell’indifferenza e nel silenzio fino al 15 gennaio, sono evidenti. Il Presidente del Consiglio Romano Prodi piange lacrime di coccodrillo, esprimendo “tristezza” e “rammarico” per l’accaduto, ma il governo italiano nulla ha fatto per evitare che si giungesse a questa prevedibile conclusione. Tra i leader politici che hanno perso la voce nei giorni precedenti, c’è anche il capo dell’opposizione Silvio Berlusconi, che tardivamente oggi afferma che “la sinistra ha ferito l’Italia”.
Il Papa, che esercita la sua sovranità sulla Città del Vaticano, non è un qualunque capo di Stato, con cui la Repubblica italiana mantiene relazioni diplomatiche, ma è considerato, non solo dai cattolici, la più alta autorità spirituale e morale del mondo intero, e viene invitato nelle più grandi assisi internazionali. L’Università è tradizionalmente luogo di ricerca, foro di discussione, sede di confronto intellettuale, ma nega la parola al Vicario di Cristo che adempie la sua missione. Benedetto XVI viene ricevuto ovunque, ma non può parlare in quella stessa Diocesi di cui è Vescovo e in cui nel 2000, anno del Giubileo, si è potuto impunemente svolgere un oltraggioso “Gay Pride”.
Le ragioni dell’accaduto sono squisitamente ideologiche. Il cosiddetto “postcomunismo” non si è liberato dal marxleninismo, ma solo della dimensione utopica di questo pensiero, continuando a farne propria la carica distruttiva. Il nucleo del marxismo, come di ogni forma di pensiero rivoluzionario, è infatti un evoluzionismo dialettico che si traduce in un radicale relativismo culturale e morale e nell’odio viscerale verso ogni istituzione familiare, politica e religiosa. L’avversione per la Chiesa e per le radici cristiane dell’Occidente è la vera molla propulsiva di chi ha voluto cacciare Benedetto XVI dall’Università di Roma.
L’eco data dai “media” di tutto il mondo alla vicenda dimostra però l’importanza che la Chiesa ancora oggi riveste e il crescente ruolo che essa svolge nello spazio pubblico. Le profezie antireligiose dei marxisti e dei laicisti si dissolvono come neve al sole: il Papa resta protagonista per eccellenza della scena internazionale e proprio per questo resta il bersaglio delle forze anticristiane di ogni tipo.
Rossana Rossanda nell’editoriale del 16 gennaio su “il manifesto”, “quotidiano comunista”, come ancora si legge nella sua testata, esordisce con queste parole: “Due giorni fa Joseph Ratzinger ha celebrato la messa nella cappella Sistina dando le spalle ai fedeli. Liturgia che il Vaticano II aveva sostituito con la celebrazione faccia a faccia perché non fosse un dialogo del sacerdote con dio (n.d.r: il “d” è minuscolo sul quotidiano), e i fedeli dietro, ma una celebrazione in comune. Ora si ritorna indietro. Da quando è papa ha riaperto ai lefebvriani, ha chiuso con il dialogo ecumenico all’interno stesso dell’area cristiana, ha negato nel non casuale lapsus culturale a Ratisbona, qualsiasi spiritualità all’islam, ha messo un alt all’avanzata del sacerdozio femminile, ha ribadito l’obbligo del celibato per i sacerdoti, ha negato i sacramenti ai divorziati che si risposino, ha respinto nelle tenebre gli omosessuali, ha condannato non solo aborto e eutanasia, ma ogni forma di fecondazione assistita, ha interdetto la ricerca sugli embrioni, intervenendo ogni giorno direttamente o tramite i vescovi sulle politiche dello stato italiano. Tra un po’ risaremo al Sillabo”.
Tutti sanno che Benedetto XVI non è un Papa “tradizionalista”, almeno nel senso restrittivo che i mass-media, e in questo caso “il manifesto”, attribuiscono al termine, ma un mite Pastore che, difendendo l’ortodossia dei principi, cerca innanzitutto la strada del dialogo. Quale sarebbe il cruento destino dei cattolici, a Roma e nel mondo intero, se veramente il Papa volesse percorrere fino in fondo la via della Tradizione, facendo del Sillabo del Beato Pio IX e della Pascendi di san Pio X la sua bandiera?