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IN SPAGNA LA NUOVA LEGGE SULL'ABORTO: BANALISSIMA PRATICA SCIOLTA DEL TUTTO DA OGNI RISPETTO PER LA PERSONA UMANA
Luis Zapatero ha inflitto al Paese un ulteriore durissimo colpo alla civiltà della vita
da Corrispondenza Romana
 

In Spagna, nel mezzo di una gravissima crisi economica e sociale che mette sempre più in discussione tra la società civile il modello di governo socialista, il leader Luis Zapatero ha inflitto al Paese un ulteriore durissimo colpo alla civiltà della vita: è appena entrata in vigore la nuova legge normativa di riforma sull’aborto, che de facto rende lo stesso una banalissima pratica sciolta del tutto da ogni vincolo etico morale di rispetto per la persona umana.
La legge del 1985 che depenalizzò l’aborto in Spagna, rendendo un diritto quello che fino ad allora era un delitto, prevedeva l’autorizzazione solo nelle ipotesi di malformazione del feto, gravi rischi per la salute psichica o fisica della madre, violenza sessuale. Questi limiti giuridici posti dal legislatore alla pratica dell’interruzione di gravidanza sono stati spazzati dalla riforma Zapatero, che sta suscitando una forte alzata di scudi in tutto il Paese, Partito socialista compreso, a causa di una radicale aggressività a-morale già definita di stampo eugenetico che la legge presenta. Vediamone i punti cardine succintamente.
Con la nuova legge si alza la soglia, fino a 14 settimane, entro cui la donna sarà assolutamente libera di scegliere la soppressione del feto. Con la nuova legge, in caso di malformazione del feto, sarà possibile l’aborto fino alla 22 settimana. Addirittura, sfidando il ragionevole margine di errore della diagnostica clinica, la legge prevede che – ove venisse diagnostica una patologia incurabile o «incompatibile con la vita del feto» – sarà eliminato ogni limite all’aborto. Ma il punto ancora più preoccupante – per lo sfaldamento di ogni vincolo solidaristico e pubblico della legge – è il fatto che le minorenni, da i sedici anni in su, sono autorizzate ad abortire liberamente, senza più la necessità del parere vincolante dei genitori, ma dietro una mera comunicazione agli stessi: in altri termini, se per un verso il diritto civile ritiene il minorenne privo della capacità giuridica di agire per il semplice acquisto di un bene o una normale transazione patrimoniale – proprio in quanto minore – per converso lo ritiene pienamente capace di agire laddove, al contrario, disponga la soppressione di una vita umana quale quella del nascituro.
Sul medesimo piano inclinato si muove la giurisprudenza tedesca, mettendo in discussione il principio consolidato dell’etica medica, ovverosia l’impegno a salvare il paziente e non già a cagionarne la morte. La Corte di Cassazione tedesca – il Bundesgerichthof – ha emesso recentemente una sentenza che contribuisce nei fatti ad ammettere l’eutanasia in Germania.
La Corte si è espressa sul ricorso avverso una sentenza del Tribunale di Fulda, che aveva condannato l’avvocato Wolfgang Puetz a nove mesi di reclusione in quanto nel 2007 aveva consigliato una cliente di interrompere di persona i trattamenti artificiali di alimentazione e ventilazione della madre, in coma vigile da cinque anni. La Corte di Cassazione ha affermato che – ove il paziente abbia espresso inequivocabilmente il consenso all’interruzione delle terapie – non sia perseguibile chi stacchi un ventilatore o tagli un tubo dell’alimentazione del paziente medesimo. Il diritto all’alimentazione e idratazione del paziente, considerati «trattamenti medici forzati» vengono sviliti, ma è bene rammentare al riguardo come molte associazioni di medici in Europa e in Italia in particolare affermino al riguardo esattamente il contrario ovvero che la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione a una persona in condizioni generali stabili, in stato di coma permanente da anni, senza l’evidenza di alcun peggioramento clinico che ne indichi l’approssimarsi della fine, è eutanasia, cioè atto dal quale deriva la morte del paziente.
È necessario evidenziare come in questi tragici casi la magistratura, uno dei tre poteri classici dello stato di diritto, abbia l’arrogante pretesa di sostituirsi alla classe medica nello stabilire i criteri clinici con cui dichiarare non più assistibile un paziente.
Questo discutibilissimo criterio di funzione “suppletiva” della giurisprudenza, che va contro ogni codice deontologico della professione medica, ha la presunzione di legittimare nei fatti – oggettivamente – terapie di morte quali l’eutanasia, l’aborto, scavalcando per via “extraparlamentare” la volontà sovrana di ogni popolo, che viene rappresentata dal potere legislativo e non già dalla magistratura,“bocca” e non già “cervello” della legge.

 
Fonte: Corrispondenza Romana, 18/9/2010