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La “compagnia della buona morte” ha realizzato uno spot pubblicitario per promuovere l’eutanasia. Gli ingredienti sono i soliti: puntare sullo shock emotivo, sbattendo in faccia alla gente il volto sofferente di un malato terminale; e giocare sul tavolo l’asso di bastoni, cioè l’opinione della maggioranza, esibendo il solito sondaggio che annuncia la solita propensione degli italiani per la legalizzazione dell’eutanasia.
Il punto non è piangere o lagnarsi per questa ennesima, prevedibilissima e perfino scontata offensiva dell’Associazione Coscioni e dei Radicali. Il punto è chiedersi: come intende rispondere il “popolo della vita”?
E questo è, purtroppo, il vero problema. Siamo infatti di fronte al ripetersi dell’assedio che è iniziato con l’epocale offensiva contro il matrimonio indissolubile (il divorzio), è proseguito con la legalizzazione dell’uccisione dell’innocente (aborto procurato) e con la legalizzazione della produzione dell’essere umano in provetta (diritto alla fecondazione artificiale omologa ). Molti nel fronte pro-life hanno da tempo deciso di smetterla di denunciare l’iniquità di queste leggi, o addirittura hanno smesso di pensare che siano ingiuste, inventandosi la categoria fantasiosa delle “leggi imperfette”.
E per giunta, chi ripete il giudizio di verità su simili non-leggi viene bacchettato e redarguito come “traditore” di una linea saggia e astuta, che sarebbe l’unica in grado di “salvare il salvabile”. Peccato che questa strategia non abbia impedito la legalizzazione della pillola del giorno dopo e della RU486, e che non abbia impedito la demolizione pezzo su pezzo dei famosi “paletti” della legge 40, che oggi sopravvive come un vero e proprio “mostriciattolo giuridico”. Temiamo che questa illuminata strategia non fermerà nemmeno la legalizzazione della morte per motivi pietosi.
La storia ci insegna che, ogni volta che il fronte pro-famiglia e pro-vita è indietreggiato, sperando di contenere la furia del nemico, non ha fatto altro che incoraggiare la cultura della morte e renderla più sicura della sua superiorità.
E così, di fronte allo spot dei radicali, l’unica risposta giuridica ufficiale del mondo pro-life e del mondo cattolico italiano sarà costituita dal testamento biologico e dalla sua legalizzazione. Ci sarà un coro di esecrazione per il “mostro” eutanasia, che verrà però esorcizzato con il suo parente stretto, la “buona morte” travestita da DAT, dichiarazioni anticipate di trattamento.
Il guaio grosso è di coerenza logica e giuridica: sull’aborto, molti pro-life vanno dicendo da anni che “dobbiamo garantire la libertà della donna a non abortire”; che “dobbiamo difendere il bambino senza punire chi abortisce”, che “dobbiamo metterci accanto alla donna che vuole abortire in punta di piedi, accettando la sua scelta”; che “la 194 ha parti buone, ancora da applicare”.
Ora, è facile prevedere che fra qualche anno, lo stesso fronte che oggi avversa l’eutanasia per legge dirà cose molto simili sulla buona morte: “dobbiamo garantire la libertà dei malati di non chiedere l’eutanasia”; “dobbiamo difendere gli anziani senza punire chi pratica l’eutanasia”; “dobbiamo metterci accanto al paziente che vuole l’eutanasia in punta di piedi accettando la sua scelta”; che “la legge sull’eutanasia ha parti buone, ancora da applicare.”
Purtroppo, la strada sembra inesorabilmente segnata.
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