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QUANDO LO STATO ESTROMETTE LA RELIGIONE DELLA MAGGIORANZA
di Dino Boffo
 

Con la Legge n. 54 del 5 marzo 1977, cessarono di essere considerate festive in Italia, agli effetti civili, il giorno del Corpus Domini (che veniva celebrato il giovedì successivo alla prima domenica dopo Pentecoste), l’Epifania (6 gennaio), il giorno di San Giuseppe (19 marzo), il giorno dell’Ascensione (il giovedì che cade 40 giorni dopo la Pasqua), il giorno dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (29 giugno). L’operazione coinvolse anche due ricorrenze civili: furono infatti spostate rispettivamente alla prima domenica di giugno ed alla prima di novembre la Festa della Repubblica (2 giugno) e quella dell’Unità nazionale (in precedenza denominata Festa della Vittoria della prima guerra mondiale, 4 novembre). Nel 1985, con un decreto del Presidente della Repubblica venne ripristinata agli effetti civili la festività dell’Epifania.
  Nel 2006 tornò festivo anche il 2 giugno. Le soppressioni furono decise per favorire le attività produttive, rimuovendo delle interruzioni infrasettimanali che venivano considerate deleterie. I lavoratori regolari non ne risentirono perché i giorni così sottratti furono aggiunti a ferie e 'riposi'. Ma è indubbio che festività come San Giuseppe e quella dei Santi Pietro e Paolo (Roma esclusa, dove venne mantenuta) persero di risalto. E credo non ci sia più alcuno che nutra dubbi sul fatto che il guadagno per l’economia del Paese sia stato solo teorico. La riprova è che quelle stesse feste sono ancora celebrate senza alcun pregiudizio in numerosi altri Paesi europei e che anche in questa campagna elettorale si sente ventilare la proposta di abbreviare le vacanze scolastiche estive per aumentare i periodi di pausa primaverile delle lezioni con l’obiettivo di dare impulso e sostenere la principale industria del Paese, cioè il turismo. In questo contesto può forse aprirsi l’opportunità per discutere sul ripristino del riconoscimento civile per le festività soppresse.