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Contrariamente a quanto accadde nel ’68 con le speranze suscitate dalla Primavera di Praga, la Cecoslovacchia negli anni della Perestrojka era uno degli ultimi baluardi del comunismo brezneviano. La Chiesa si trovava in una situazione drammatica: su tredici diocesi dieci erano vacanti, l’ingerenza dello Stato era capillare, e il tentativo di creare una struttura ecclesiale filogovernativa si era realizzato nel movimento per il clero 'Pacem in Terris'. Eppure nuova linfa scorreva nei canali della Chiesa cosiddetta 'clandestina', composta da piccole comunità e gruppi di fedeli guidati da sacerdoti o laici e diffusa specialmente in Slovacchia. Alla fine del novembre 1987 un gruppo di cattolici moravi, sostenuti pubblicamente dal risoluto cardinale František Tomášek, si rivolse alle autorità statali con una petizione in trentun punti in cui si avanzavano proposte per risolvere il rapporto Stato- Chiesa. Da parte slovacca, ricorda František Mikloško, uno dei leader cattolici, «capimmo subito che non bisognava sciupare le forze, perciò ci associammo all’iniziativa», che raccolse oltre mezzo milione di firme. Nello stesso periodo, in Occidente, il vicepresidente del Congresso mondiale degli slovacchi, Marián Štastný, ebbe l’idea di indire una manifestazione per il 25 marzo davanti alle ambasciate cecoslovacche di vari paesi per chiedere la piena libertà religiosa per i suoi compatrioti.
Nel febbraio ’88 arrivò a Bratislava , avvolta in una tavoletta di cioccolato, la lettera in cui Štastný comunicava l’idea agli attivisti locali e chiedeva loro di unirsi in un gesto pacifico.
Nonostante alcune esitazioni, si decise per una manifestazione di mezz’ora in piazza Hviezdoslav, nel centro di Bratislava, nel tardo pomeriggio del 25, durante la quale i partecipanti avrebbero acceso delle candele e pregato per chiedere la nomina di nuovi vescovi, la libertà religiosa, la fine delle discriminazioni verso i credenti e il rispetto dei diritti umani. Quest’ultima richiesta 'politica' era giustificata dal fatto che i partecipanti, come cristiani, si impegnavano per la libertà, una e indivisibile. I promotori inviarono la richiesta agli organi competenti, forti dei diritti garantiti dalla Costituzione. Prima ancora del divieto ufficiale, il ministro degli Interni autorizzò l’uso di misure speciali contro quella che era considerata una 'provocazione politica'. Così furono stravolti i programmi della Tv e dei cinema in modo da attirare il pubblico, furono spostati eventi sportivi e culturali, si limitò il flusso dei trasporti verso la capitale. I direttori scolastici intimarono agli studenti di tenersi alla larga dal centro, i convitti chiusero il 24 obbligando i pendolari a tornare a casa. Lo stesso accadde sui posti di lavoro: a molti attivisti cambiarono i turni e furono visitati dalla polizia. I direttori degli ospedali furono obbligati a dimettere i degenti per avere letti liberi per eventuali feriti. I media riportarono giudizi e interventi di condanna dell’iniziativa, il regime diede spazio anche ai responsabili della Pacem in Terris, che disorientarono molte anime semplici e cercarono di trattenere i sacerdoti in parrocchia introducendo funzioni pasquali straordinarie.
Il 23 marzo la tensione salì alle stelle: Mikloško ricevette la comunicazione che all’estero non si sarebbe fatto più nulla.
Vennero fermati gli attivisti più noti: Ján Carnogurský e padre Vlado Jukl, bloccato in casa Silvo Krcmery, il vescovo Ján Korec prelevato alla fermata dell’autobus, Mikloško caricato in pieno centro su una Volga nera. Il 25 marzo dal primo pomeriggio, sotto una pioggia battente, le autobotti iniziarono a pulire la piazza. Verso le 17 erano già presenti due-tremila persone, cui se ne aggiunsero altre centinaia nelle vie laterali.
In assenza degli organizzatori, alle 18 presero l’iniziativa gli attivisti di Trnava: accese le candele, si misero a cantare gli inni nazionale e papale, per poi iniziare la recita del rosario.
Dopo un primo avvertimento, le autorità diedero il via libera alla repressione: le volanti entrarono fra la gente in preghiera, intervennero gli agenti in borghese che si scagliarono su giovani e anziani. Poi si aggiunsero le autopompe antisommossa e agenti con cani e manganelli che picchiarono e inseguirono i manifestanti e chiunque capitasse a tiro.
Furono oltre duecento gli arrestati. L’indomani i quotidiani spiegarono che c’era stato «un tentativo delle strutture ecclesiastiche illegali di organizzare una manifestazione il cui scopo era sfruttare i sentimenti religiosi dei credenti e incrinare il rapporto Chiesa-Stato e le trattative con il Vaticano». Durissime le proteste di Tomášek, Korec e di Charta 77, accompagnate dall’indignazione internazionale. Per riportare la calma, il governo di Praga permise a giugno la nomina di due vescovi e di un amministratore apostolico, per poi usare di nuovo il pugno duro contro chi, il 21 agosto, volle ricordare l’invasione del ’68, e all’inizio dell’89 nei giorni dedicati alla memoria di Jan Palach. Ma ormai erano gli ultimi sussulti di un regime che aveva i mesi contati: dopo la caduta del Muro, già il 30 novembre 1989 il parlamento slovacco istituì una Commissione di inchiesta per far luce sulla manifestazione.
«La nostra strada verso la libertà» dal 25 al 27 marzo a Bratislava si svolgerà la commemorazione del 20° anniversario della 'manifestazione delle candele'. Il programma, concepito dalla fondazione Konrad Adenauer assieme all’istituto per la Memoria nazionale, al Comune di Bratislava e ad altri istituti culturali e cristiani, prevede una tavola rotonda (cui parteciperà fra gli altri l’ex attivista Ján Carnogurský), la Messa solenne nel duomo di San Martino e una processione con le candele fino al monumento che verrà inaugurato in piazza Hviezdoslav. Sarà inoltre possibile seguire la proiezione di alcuni filmati (girati dalla polizia politica) sulla repressione dell’88.
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